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domenica 20 giugno 2010

Merida, vecchia mafia made in Italy

CARACAS - Il noto sito web Aporrea.org ha ripreso lunedì scorso una denuncia apparsa il 23 aprile 1987 sul periodico “Polémica”, che circolava in quegli anni a Mérida. Una storia a cui più volte abbiamo assistito, quella di “una famiglia d’italiani che arriva con una mano dietro e una davanti, si dedica alle costruzioni mangiando mortadella e pepsi e poco dopo è padrona di un’immensa fortuna”, come sostiene Aporrea.
Il protagonista è l’imprenditore Pietro Grespan Bolzonello, arrivato a Mérida negli anni Cinquanta con “un pugno di lire che non rappresentavano nemmeno cento dei nostri bolivares”, raccontava “Polémica”. Mérida si descrive sul suo periodico cittadino come una città aperta all’immigrazione italiana, che è stata - si legge - “tra le migliori delle diverse nazionalità che, prodotto di guerre e crisi economiche, si sono disperse nel mondo in cerca di un destino migliore”. Gli italiani, continua il giornale, “hanno dato un vigoroso impulso al nostro sviluppo come nazione, grazie alla loro laboriosità e la loro stupefacente capacità di assimilazione”.
Aporrea sottolinea però che non una sola volta i venezolani hanno visto gli immigrati italiani “montare un’impresa di costruzioni e simultaneamente comprarsi un mezzo di comunicazione sociale con cui favorire, o sfavorire, i politici che si comportavano bene con i loro affari”. Infatti, sulle colonne di “Polémica” si racconta di come, all’improvviso, il povero migrante Bolzonello diventa un vero mago degli affari e compra un sofisticato aereo che va e viena tra Caracas, Miami, New York.
Si narra l’acquisto dell’Hotel Valle Grande di Mérida, l’appalto per il nuovo piano dell’Hotel Caracas Hilton per duecento milioni di bolivares (sono gli anni Ottanta, ndr), l’acquisizione di Radio Continente per ventisei milioni di bolivares attraverso una “scandalosa operazione additata di sospetti di frode al fisco nazionale”. Si spiega come Bolzonello si associ poi alla costruzione del noto CCCT di Caracas, il centro commerciale più costoso dell’America latina, compra Radio Central e Radio Cumbre, oltre a favolose ‘fincas’ in tutto il territorio. Non contento, spiega il periodico, il connazionale acquista a San Cristóbal il “Diario Pueblo” e a Mérida il “Correo de los Andes”, e prova addirittura di arrivare al quotidiano “El Nacional”, quando girava voce che era in vendita. Infine, per concludere la sua opera, si associa allo sviluppo turistico della località di Morrocoy e si butta nella finanza montando “Financiadora Cordillera” e “Fondos de Activos Líquidos Cordillera”.
Numerose iniziative imprenditoriali, non tutte redditizie. Aporrea.org si chiede: “Come e da dove è spuntato tutto quel denaro?”. “Polémica” azzarda quindi un’idea “semplice quanto pericolosa”: sono tutte facciate per reciclare i “dollari maledetti, i dollari della cocaina, i dollari del narcotraffico”.
Quella narrata da “Polémica” è una storia da leggere non per gettare fango ma per far luce, e non è mai abbastanza, sulla migrazione all’italiana. La verità non può che farci onore. Il fatto che negli anni Sessanta gli italiani erano proprietari o amministratori di un terzo delle industrie venezolane non collegate al settore petrolifero, certo non era solamente caso, fortuna, bravura. Non tutti eravamo angeli. E non è il caso di nascondere la testa sotto la sabbia. Ma, nonostante l’indiscussa presenza di ‘mele marce’, il nostro arrivo, come affermava “Polémica”, sembra stato un toccasana per il Venezuela.
Che valga lo stesso per le minacciose facce scure che ogni giorno arrivano nel nostro, cosidetto, Belpaese?

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