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venerdì 24 settembre 2010

L’Italia divisa in attesa del 26s

di Monica Vistali

CARACAS - Membri di associazioni italovenezolane e gruppi filogramsciani, pensionati al bar e attivisti politici. E ancora insegnati, imprenditori, studenti della Ucv e 'jefes de patrulla' del Psuv. Se il popolo degli italiani in Venezuela è estremamente variegato, gli orientamenti politici in vista del 26 settembre sono più che mai contrastanti e, in sostanza, riflettono la realtà bipolare del Paese.

Il 26 settembre
In gioco, questa domenica, ci sono 165 seggi del Parlamento, oggi perlopiù occupati da deputati chavisti dopo che l'opposizione, nel 2005, decise di non partecipare alle elezioni con la speranza di boicottare i risultati del voto. I seggi verranno assegnati per il 60% con il criterio uninominale, per il 40% con il proporzionale.
L’elezione si caratterizza per la formazione di una nuova coalizione politica notevolmente diversificata al suo interno, la ‘Mesa de Unidad Democratica’. Un blocco che raccoglie una trentina di organizzazioni politiche, regionali e nazionali, unite dalla sola volontà di contrapporsi al presidente Chavez. L’appuntamento, quindi, è come in passato maschera di un referendum sul presidente Hugo Chàvez e sull’operato del governo bolivariano. Una presenza forte dell’opposizione all’interno del Parlamento, infatti, impedirebbe l’approvazione delle riforme necessarie all’attuazione della ‘rivoluzione socialista’.
 In ballo, quindi, c’è il futuro stesso del movimento bolivariano e del ‘Socialismo del siglo XXI’.  

Da Chacao a Sarria
In un bar di Chacao, zona di classe media a Caracas, impegnati in un torneo di briscolone gridato e fumoso incontriamo i pensionati Gino Di Virgilio e Giancarlo Giunzone. Il primo, abruzzese, è in Venezuela da sessant'anni; il secondo ci è sbarcato nel '54 da Modena, insieme a quei 300 mila italiani accolti da Pérez Jiménez. La loro idea è chiara: se, come credono, alle elezioni legislative del 26S vincerà, anche se di poco, il Psuv, non sarà certo grazie al loro voto. "Chavez è il nuovo Stalin" afferma Di Virgilio, "vuole arrivare ad una situazione estrema: ogni in ogni casa ci sono due mitragliatrici ma manca l'acqua. E la gente ha paura a parlare perchè teme di essere vittima di rappresaglie". Gli fa eco Giunzone: "A me piace il socialismo ma quando è democratico, come in Brasile, non quando è leninista e dittatoriale come quello venezolano. Il comunismo non ha mai funzionato nella vecchia Russia, non vedo perchè dovrebbe farlo qui". E rimarca: "Sembra che Chavez provi un sentimento di vendetta verso questo popolo, perchè è l'unico che da lui non viene mai aiutato".
Se da Chacao ci si sposta nel 'barrio' di Sarria, le voci cambiano. Incontriamo Julieta Tronconi, figlia di un imprenditore della vecchia destra milanese oggi impegnata nel consiglio comunale della sua zona e nell'attivismo politico come 'jefa de patrulla'. Va di casa in casa a spiegare come votare, a discutere di tutte le conquiste che si potrebbero perdere se non si appoggia il governo. Lei è certa della vittoria del Psuv. Lo diceva anche a suo padre: "Per ogni capo d'azienda d'opposizione come te, c'è una schiera di operai che vuol vedere difesi i suoi diritti".
- Lo vedo ogni giorno intorno a me - ci dice -: la gente ci crede e s'impegna a promuovere la causa perchè è grata al processo in atto. Ha aperto gli occhi, vede i progressi fatti nel campo dell'educazione e della salute, nell'assistenza e nelle piccole grandi cose di ogni giorno, la libertà e il potere di cui oggi gode il popolo. Pensa ai suoi figli e ai suoi nipoti, sa che se il processo non continuerà si tornerà alla quarta Repubblica, alla dittatura che in tanti anni non ha compiuto un solo impegno a favore della sua gente.
Poi critica la campagna elettorale "sporca" fatta dall'opposizione.
- I vicini mi raccontano di un'opposizione che va nei 'barrios' ad offrire soldi per le protesi al seno in cambio dei voti - denuncia -. Il tutto senza presentare un vero progetto politico, a parte quello di mettere il bastone tra le ruote a Chavez. Inoltre, i suoi candidati si sono piu volte insultati pubblicamente. E ai venezolani l'odio non piace.
Siamo nella via principale che attraversa Sarria. Le case sono umili. Dietro di noi un Pdval dove trovare prodotti alimentari economici e un modulo Barrio Adentro per l'assistenza sanitaria di base gratuita. Julieta scherza parlando degli "antichavisti della classe media che fanno la spesa al Mercal ma coprono la borsina con una borsa di plastica nera perchè si vergognano". Poi ci mostra il campo da basket, ci spiega il lavoro fatto dalla comunità per allontanare i giovani dal vortice della droga e della delinquenza, per rendere il 'barrio' sicuro, per dare spazi di gioco ai più piccoli.
- Davanti al 'Comandante' vedo persone emozionate, donne che piangono commosse davanti agli occhi sinceri di una persona che davvero ama il suo popolo e gli ha dato quello che non aveva mai avuto. Ma Chavez non è ne perfetto ne onnipotente. A sistemare per bene tutto il Paese potrebbe pensarci solo Dio! Proprio per questo si responsabilizza il popolo per le conquiste e le sconfitte. Il popolo non puo limitarsi a criticare, deve organizzarsi ed agire in prima persona perchè le cose funzionino.
Anche l’attivista Ilaria Tameni, dalla sede di Radio comunitaria ‘Negro Primero’ a Sarria, è convinta dell’importanza di un ruolo attivo del popolo:
-Il processo - ci spiega - nonostante gli errori che compie in quanto processo umano, ha dato coscienza ai cittadini che la rivoluzione non la fanno i funzionari ma la popolazione stessa, i gruppi sociali, i collettivi. Nonostante gli errori, adelante! - ci dice - per appoggiare come mai prima di oggi il 'pueblo legislator'.


Cinque anni persi
"Io voterò l'opposizione perchè sono una convinta democratica e questo è diventato un Paese antidemocratico". Tina Di Battista, presidente dell'Associazione Abruzzesi e Molisani in Venezuela, non ha dubbi: "Non solo le persone con un'educazione, ma tutti, devono andare a votare, pensando a quello che c'era e a quello che è stato perso". Parla del problema dell'insicurezza, dell'escalation della violenza trasversale alle classi sociali, denuncia leggi "che vanno in senso contrario ai principi democratici con cui siamo cresciuti".
- Gli attacchi costanti alla proprietà privata portano alla dissolvimento della parte produttiva del Paese - afferma - e impediscono i progetti di vita, costringendo i nostri figli a cercare orizzonti nuovi al di fuori dei confini. 
Di Battista critica la scelta fatta dall'opposizione nel 2005, quando non si presentò alle elezioni nel tentativo di delegittimare i risultati del voto, e auspica la formazione di un'Assemblea legislativa equilibrata, centro di un effettivo confronto politico. Una vittoria schiacciante da parte da parte di uno degli schieramenti in gioco, secondo lei, brucerebbe la possibilità di un bilanciamento di forze necessario. 
- L'assemblea deve essere uniforme, plurale, con un equilibrio sufficiente perchè le leggi siano frutto di una serena discussione. L'astensione decisa nel 2005 è stata un grande errore di cui oggi paghiamo le conseguenze - decreta -. La presenza preponderante della maggioranza all'interno dell'An ha infatti eluso tutte le possibilità di dibattito portando all'approvazione di 120 leggi incostituzionali cui il popolo aveva detto 'no' con un referendum, in quanto implicavano un assoluto abuso di potere.
Cinque anni perduti, dunque. Ma non solo per l’opposizione. Lontana dalle posizioni di Di Battista, Tameni rimpiange che "in questi ultimi anni non siano state approvate leggi radicali necessarie (in favore dei diritti dei sessodiversi, per la legalizzazione dell'aborto) e non si sia toccato il codice penale che ha conservato al suo interno articoli anticostituzionali, e quindi nulli, che però sono lì, una minaccia costante contro le donne".


L'Asemblea nacional perfetta
"Non voterei mai l'opposizione perchè voglio che il processo rivoluzionario continui – ci spiega Martino Levi, informatico trentenne -. Spero in un Parlamento composto da una larga maggioranza, cosicchè non si blocchi l'operato del governo". Poi però precisa: "Al tempo stesso vorrei fosse garantita pluralità e che quindi l'opposizione rientri all'An di modo che, attraverso critiche costruttive sinora esili, spinga costantemente il governo ad agire nel migliore dei modi, agisca un'azione di controllo e pressing, smettendo di gridare allo scandalo denunciando una dittatura che non esiste".
Anche Carla Diaz Favuzzi, studentessa all'Università Centrale di Caracas, ha le idee chiare sulla sua idea di Parlamento. Giudicando come "immatura" la scelta dell'opposizione di farsi da parte nelle scorse elezioni, spera oggi in una "Assemblea che rappresenti in parti uguali entrambi gli schieramenti, perché tutti si sentano rappresentati al suo interno". Dichiara poi di voler votare per l'opposizione attirata dal piano di disarmo in quanto, spiega, "quello dell'insicurezza è uno dei temi che più mi preoccupano oggigiorno".


Mass media
"Ci sono 19 mila morti assasinati ogni anno, le aziende nazionalizzate sono in rosso, si sono persi migliaia di posti di lavoro, sono state chiuse 34 emittenti radiofoniche e una televisiva, sono stati regalati 61 miliardi di dollari". Pedro Paolucci, vice presidente dell'Associazione Nazionale Civile Latinoamericani in Abruzzo (Ancla) non sembra aver dubbi sul suo voto. Notizie e cifre, in Venezuela viaggiano, informano, disinformano, si contraddicono. E i media sono uno strumento politico decisivo. C'è chi parla di un “terrorismo mediatico” in un’ottica internazionale e chi invece denuncia una dittatura informativa imposta dal governo. Ed ogni idea riflette una posizione politica ben precisa.
- Purtoppo credo che l'opposizione prenderà piede perchè poggia su un sistema massmediatico potente e ha fatto una buona campagna elettorale sfruttando non solo le parole ma anche le immagini, invisibilizzando il fatto che la rivoluzione è un processo popolare - afferma Tameni -. Così oggi l'opposizione che ha guardato troppa televisione non si rende conto che vogliono svendere il paese agli Stati Uniti e salvaguardare gli interessi economici di pochi fortunati.
Anche i membri del Circolo Antonio Gramsci di Caracas sono certi della cattiva influenza dei media sui venezolani.
- La gente vota l’opposizione perchè è disinformata a causa delle distorsioni dei mass media - affermano -. Ha paura che gli si tolga la casa, che le scuole ‘cubanizzino’ i loro figli.
Poi precisano:
- Certo all'opposizione c'è anche gente in malafede. Sono i vecchi controllori dei monopoli bancari, alimentari. Sono i vecchi Mendoza, i proprietari delle tv che possiedono anche istituti bancari, che scappano a Miami. Quelli delle speculazioni di borsa, dello scandalo Coninvest. Gente che giocava sporco e che oggi non può più farlo impunemente. Dall'altra parte - spiegano - c'è chi non dimentica i benefici di cui gode ogni giorno: materiale scolastico e beni alimentari a prezzi accessibili, sanità gratuita. Tutti da questo governo hanno avuto qualcosa che durante la quarta Repubblica non avrebbero mai potuto avere"

Un'elezione sicura
Contattiamo Antonio Mobilia. La sua famiglia ha lasciato Napoli ed è arrivata in Venezuela quando lui aveva appena dieci mesi. E' convinto della vittoria del Psuv, spera addirittura in un 80 per cento dei seggi. "Vendo macchinari e per lavoro viaggio per tutto il Venezuela. Quando arrivo in un paesino assisto sempre alla stessa scena: un 'padrone' antichavista ed uno squadrone di lavoratori 'rossi'" ci spiega. Ma non si sorprende:
- Il socialismo è una strada giusta anche se piena di buche e spine. Molta della gente che non lo appoggia è arrivata qui con la terza elementare, ha fatto soldi ma è rimasta ignorante. Non sa interpretare Marx, non sa tutto quello che la sinistra ha fatto. Prende la pensione e non sa che questa è figlia delle grandi battaglie della sinistra. Per questo - dice - voterò per Chavez: perchè dice tutto quello che io ho sempre detto, in primis l’importanza vitale dell’educazione. Prima di lui il Venezuela, in questo campo, era peggio del terzo mondo...
Mobilia racconta di quando in passato, nei centri di votazione, assisteva a brogli di ogni tipo ed è certo della sicurezza del sistema di votazione cui questa domenica faranno affidamento 17 milioni e mezzo di venezolani. Anche tutti gli altri italiani contattati credono nella sicurezza dell'attuale sistema di voto che addirittura, scherza Levi, "è certamente più sicuro di quello degli italiani al'estero. Con lui Fabio Avolio, docente di lingua italiana, che confronta il voto a matita e lo spoglio manuale italiani con le "tecniche di voto moderne e sicure" adottate dal Venezuela, che permettono di avere il risultato già a poche ore dalla chiusura dei seggi.
Anche per quanto riguarda lo scenario post-elettorale, gli italovenezolani si sentono tranquilli e non temono particolari disordini. Ma qualche dubbio resta. Se Tameni teme “azioni violente, destabilizzanti e terroriste, come è già accaduto in passato” da parte dell’opposizione, Giunzone ci fa notare che “Chavez ha armato i civili, mentre i suoi avversari al massimo manifesteranno pacificamente in strada”.


Monica Vistali

mercoledì 22 settembre 2010

L'Italia è sempre più innamorata del 'Sistema'

di Monica Vistali

ROMA - Al 62° Prix Italia è stato proiettato in anteprima al Teatro Gobetti di Torino “A Slum Symphony, Allegro Crescendo” di Cristiano Barbarossa, musicato da Andrea Morricone, figlio del celebre Ennio. Il film documentario, che prima di Natale sarà sul piccolo schermo italiano, ha seguito per quattro anni le vite di cinque ragazzi coinvolti nel Sistema di Orchestre Infantili e Giovanili del Venezuela fondato da José Abreu.
Il “Sistema”, com’è comunemente chiamato in Venezuela, offre lo studio gratuito della musica a chi non potrebbe permetterselo. Sullo schermo è rappresentato da Fabio, un ragazzino che vive nella solitudine di un orfanotrofio; Angélica Olivos, violinista, 11 anni nel 2004, che dal ‘barrio Sarría’ di Caracas arriva a suonare in una tournée a Madrid con il grande maestro Dudamel, dopo aver commosso il noto direttore d’orchestra Claudio Abbado, durante un’audizione. Ma c’è anche Heidi, 14 anni che, costretta ad abbandonare la musica dopo un incidente d’auto, con tenacia torna a suonare la tuba; il ventenne trombettista Wilfrido, che realizza il suo sogno e suona alla Carnegie Hall. E ancora Jonathan Gabriel Guzmán Faría, che in una vita tra esercito e case occupate, non rinuncia mai al suo violoncello.
Il “Sistema” creato da Juan José Abreu, nipote di un emigrato italiano, ha portato alla creazione di 150 orchestre giovanili e 140 infantili, insegnando a suonare uno strumento a 250mila under 18. Tra i giovani musicisti sono emersi numerosi talenti internazionali, tra i quali il riconosciuto maestro Gustavo Dudamel. Spiega Abreu: - Il progetto nacque con una finalità prevalentemente sociale: attraverso la musica, togliere dalla strada e riscattare dalla povertà bambini e ragazzi. L’Italia è grande stimatrice del modello venezolano. Lo stesso Claudio Abbado aveva annunciato lo scorso marso di voler trapiantare in Italia il “Sistema” di Abreu, creando una rete di orchestre giovanili regionali. Il Maestro aveva dichiarato che “grazie ad amici ed appassionati stiamo creando gruppi orchestrali con lo stesso sistema didattico e sociale inventado da Abreu”. In quel momento si stavano creando orchestre giovanili a Roma, Bolzano, Milano e in Toscana; Bologna aveva anticipato il progetto quando nel 2004 creò l’Orchestra Mozart gestita da Abbado come Direttore artistico e Metheuz come principale direttore invitato.
Lo scorso ottobre, presenziando ad un concerto dei ragazzi di Dudamel alla ‘Scala’, la sindaco di Milano, Letizia Moratti aveva annunciato il proposito di creare nella sua città un sistema musicale sull’esempio di quello latinoamericano. Inoltre, invitata dalla bacchetta José Abreu, aveva espresso la volontà di recarsi in Venezuela per conoscere il Sistema di orchestre infantili e giovanili.

Espropri, dietro front per il Civ di Ciudad Ojeda

Falso allarme. Il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela ha emesso ieri un decreto per revocare l’esproprio del Centro Italiano Venezolano di Ciudad Ojeda, deciso su due piedi lo scorso martedì dallo stesso primo cittadino.
di Monica Vistali
 
CARACAS, 18/8/2010 – Falso allarme. Il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela ha emesso ieri un decreto per revocare l’esproprio del Centro Italiano Venezolano di Ciudad Ojeda, deciso su due piedi lo scorso martedì dallo stesso primo cittadino.
- La Comunità italiana unita, insieme agli sforzi dell’Ambasciata, del Consolato e della Federazione delle Associazioni italovenezolane ha fatto pressione ed ha vinto - ha spiegato alla Voce il vicepresidente di Faiv, Cono Siervo, reduce da una riunione con l’esponente comunale -. Il nostro Civ tornerà nelle mani dei suoi legittimi proprietari.
Il decreto di utilità pubblica ed interesse sociale del ‘Centro Italiano Venezolano’ di Ciudad Ojeda, il cui terreno appartiene ufficialmente a Pdvsa, era stato emanato dal Sindaco Pirela per impedire che “alcuni membri dei Consejos Comunales della zona” “assaltassero” il Club. Con l’espropriazione, il primo cittadino avrebbe di fatto impedito ai “chavisti” di trasformare il centro in “una delle loro sedi di governo che poi falliscono”. Il presidente del Civ aveva però spiegato alla Voce che l’espropriazione non sarebbe stata altro che la conseguenza di una ‘guerra’ tra chavisti e copeiani per il possesso del terreno e delle sue installazioni.

Diplomatici venezolani a Napoli contro la disinformazione dei media

di Monica Vistali
CARACAS - Alcune realtà associative napoletane si sono incontrate negli spazi del centro culturale “La Città del Sole” di Napoli con le rappresentanze diplomatiche venezolane in Italia. L’obiettivo era discutere nuove strategie di collaborazione tra i nostri due paesi e far conoscere il processo di trasformazione della realtà venezolana, promuovendo un’informazione alternativa a quella dei grandi media internazionali.
All’incontro, tenutosi il 10 settembre, era presente l’Ambasciatore venezolano in Italia Luis José Berroteran Acosta, il Console venezolano a Napoli Bernardo Borges, la Viceconsole Margnolia Hernandez e il deputato German Ferrer (Psuv), coordinatore nazionale dell’Associazione Nazionale di reti e Organizzazioni Sociali (Anros).
Due le proposte di relazione dibattute ed approvate nel corso dell’incontro. In primis la promozione di viaggi di scambio culturale tra delegati italiani e venezolani per una reciproca conoscenza e rilevamento della verità sul territorio. È stato accordato che un primo gruppo di delegati di solidarietà con il Venezuela a Napoli sarà ospite il prossimo novembre di campeggi socialisti organizzati da Anros-Venezuela nello stato Lara.
In secondo luogo, l’organizzazione di una campagna d’informazione alternativa sul territorio italiano. Sino ad oggi il compito di contro-informare sullo stato di cose in Venezuela è stato assolto principalmente dalla rivista l’Alba, nata con l’obiettivo di promuovere l’amicizia e la solidarietà tra i popoli. L’Ambasciata venezolana si è offerta come supporto per la creazione di una banca dati o di un centro di documentazione per la raccolta di materiale audiovisivo, digitale e stampato al fine di appoggiare la campagna d’informazione in Italia, avendo come punto di riferimento il centro culturale “La Città del Sole”. Inoltre, saranno tradotti in lingua italiana o sottotitolati i video che procurerà German Ferrer, per essere poi oggetto di cineforum presso La Città del Sole.
L’ambasciatore Berroterán Acosta ha espresso la sua soddisfazione per l’iniziativa di appoggio al suo paese, sottolineando gli attacchi antigovernativi dei mass media che si sono recentemente inaspriti in vista delle elezioni parlamentari del 26S. Dal canto suo, il Console Borges ha risaltato l’importanza di accordi tra reti sociali d’Italia e Venezuela, nella speranza che “l’esperienza possa servire da modello d’ispirazione per altri popoli che cercano la liberazione dal giogo capitalista”. I cittadini italiani presenti all’incontro hanno quindi potuto conoscere l’organizzazione Anros-Venezuela, nata nel 2001 come rete d’aiuto alla promozione della partecipazione dei cittadini, così come stabilito dalla Costituzione.
Tra i gruppi presenti all’incontro, esponenti della Redazione di AlbainFormazione e di Redporti America - Capitolo Cuba; Circolo Bolivariano “José Carlos Mariategui” di Napoli; Associazione “L’Internazionale”; Circolo Italia - Cuba - Campi Flegrei.

giovedì 19 agosto 2010

Una ‘Calle de diversion’

per riprendersi la città


CARACAS - Miscelate l’energia frizzante dei bambini alla memoria dei grandi, aggiungete dei ‘malandros’ che si riscoprono buoni e coprite il tutto con la fantasia di un sociologo italiano e di un architetto venezolano. Questo mix esplosivo è ‘Calle de diversion’, l’innovativo progetto di Pasquale Passannate e Raphael Marchano che a Roma ha vinto il concorso Smart Future Minds Award.

Alla base dell’idea dei due fondatori del gruppo Lpu, Liga de Partida Urbana, ci sono semplici campetti colorati per giocare a ‘trompo’, ‘beisbol de chapitas’, ‘pelotica de goma’. Un modo per appropiarsi dello spazio pubblico, per trasformare strutture ‘formali’ di cemento in vicoli vivibili attraverso i tradizionali giochi di strada, fulcro di una ‘città informale’ dove convogliare le energie di adulti e bambini.
Marchano e Passannate lavorano nell’ufficio internazionale Think Tank di Caracas, che si dedica al “lavoro interdisciplinare con le comunità nello spazio informale”, come raccontano alla Voce. Per le strade delle zone periferiche della capitale, osservavano le tracce di spazi temporanei di gioco: le impronte di un pallone, le casse di birra usate per una partita a domino. Si rendevano conto che proprio le aree più marginali ed umili erano quelle con gli spazi pubblici più frequentati. Bisognava solo far confluire i momenti puntuali e spontanei in una progettualità, trasformare un’urbanistica ‘imposta dall’alto’ in uno spazio vivibile, una ‘città informale’ costruita dagli abitanti stessi sulla base dei loro comportamenti sociali e delle loro esigenze.
- Abbiamo disegnato campi da gioco per le strade - spiega Passannate - per fomentare l’appropiazione dello spazio urbano e la socializzazione tra i membri delle comunità al di fuori dai parametri socialmente imposti. Non solo al di là della struttura fisica della strada, del cemento e degli edifici; ma anche al di là delle regole imposte dalla città. La nostra finalità è evitare l’alienazione frustrante di una vita confinata nel lavoro, promuovendo un’infanzia libera ed autodeterminata. E rivendicare l’identità del pedone non come persona che passa per la strada, ma come colui che per la strada ‘fa’ la sua vita.
Se in genere gli abitanti non sono parte della costruzione fisica dello spazio e dell’identità, parte vitale del progetto è ora la partecipazione attiva di una comunità che si autoorganizza, che interagisce con l’ambiente che l’ha cresciuta e la vedrà crescere. Nella ‘città del futuro’, sostenibilile e vivibile, Passannate e Marchano individuano quindi due elementi chiave: la costruzione dello spazio pubblico attraverso il disegno autogestito e la relazione con la memoria e l’immaginario del quartiere. Ecco quindi che in una ‘calle de diversion’ ritagliata nel ‘barrio’ si avvicendano genitori felici di tener lontano i propri figli dalla trappola della criminalità o da videogiochi violenti e fagocitanti, bambini entusiasti che indicano i luoghi migliori per disegnare, nonni che raccontano giochi antichi, addirittura ‘malandros’ che con automobili e motociclette sbarrano il traffico per permettere a Marchano e Passannate di disegnare a terra.
- Trascorsi alcuni mesi dal nostro intervento - spiegava il sociologo italiano in un’intervista durante il concorso - siamo tornati e abbiamo scoperto che i cittadini si erano autonomamente organizzati in campionati. ‘Calle de diversion’ era entrata a far parte della loro vita.
I primi cittadini a beneficiare del progetto di Lpa sono certamente i bambini.
- Quello che oggi accomuna tutte le città del mondo - spiega Marchano - è la riduzione dello spazio veramente pubblico. E sono i più piccoli a soffrire maggiormente. Noi stiamo regalando colore e divertimento alla strada con un progetto che tutti possono ricalcare: singole persone, collettivi, istituzioni.
Poi si viaggia nella memoria.
- Se penso alla mia infanzia ricordo che si giocava soprattutto fuori casa, per strada o al campetto. La lista dei giochi sarebbe interminabile. ‘Pelotica de goma’, ‘metra’, ‘pared’, oltre ai tipici basket e calcetto. Giocavamo con il ‘cuartico de jugo’.
E i bambini delle zone più agiate?
- L’unica differenza tra i giochi di un bambino proveniente da una zona ricca ed uno di una zona più umile è la marca del pallone e il contesto - afferma Marchano -. Per il resto il gioco è lo stesso. I bambini, a differenza degli adulti, non differenziano per classe sociale ma costruiscono un proprio linguaggio in base al gioco. Solo con il tempo si fanno contaminare da pregiudizi, preoccupazioni, traumi.
Rimarca Passannate:
- Il gioco, nella sua realtà più collettiva e sociale, ha creato l’umanità. L’umanità è nata giocando. Se pensi a una comunità che si dà delle regole, pensi immediatamente ad una comunità che gioca.
Con il primo premio allo Smart Future Award, Marchano e Passannate hanno vinto 10 mila euro, che invertiranno in ‘Calle de diversion’ e nei prossimi progetti di Lpu. Dai ‘barrios’ di Caracas si sposteranno in Europa, nel quartiere zingaro di Can Tunis a Barcellona, con l’idea di arrivare a Marsiglia e Berlino. Per quanto riguarda l’Italia, Passannate e Marchano hanno buttato l’occhio su Livorno, Napoli e Palermo, buoni esempi di progettazione dello spazio e simbolo di una vitalità che nasce dalla strada, che però oggi sono al fondo delle classifiche in temini di vivibilità. E lanciano un appello.
- Spingiamo tutti gli interessati a contattarci. Attualmente stiamo bussando a tutte le porte per far si che il progetto continui e si sviluppi sempre di più.

mercoledì 4 agosto 2010

Espropriazioni, tema che scotta e terrorizza gli italiani

di Monica Vistali

CARACAS - Secondo il primo rapporto dell’Osservatorio dei Diritti della proprietà privata del Venezuela, coordinato dal ricercatore Felipe Benites, il governo Chávez ha effettuato 762 espropriazioni nel periodo 2005-2009: 23 nel 2005, 42 nel 2006, 127 nel 2007, 196 nel 2008 3 374 nel 2009. Espropri e nazionalizzazioni sono legali anche in Italia. Nell’ordinamento italiano l’espropriazione è regolata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n° 327, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”. Sulla base della normativa sono espropriabili tutti i beni immobili e i diritti relativi a tali beni, al fine di eseguire opere pubbliche o di pubblica utilità.



La guerra delle espropriazioni

“La nostra preoccupazione è che non ci pagheranno il giusto prezzo per le nostre ditte” denunciava mesi fa Vito Tridente Sgherza alla stampa locale del suo paese di origine, Molfetta (Bari), dipingendo la sua condizione di espropriato. Il mondo politico italiano era con lui. Il 26 maggio scorso, infatti, alcuni parlamentari del PD, tra cui la Senatrice Anna Finocchiaro, hanno firmato una interpellanza urgente di solidarietà con gli imprenditori d’origine italiana vittime degli espropri in Venezuela. Claudio Micheloni, primo firmatario della mozione, denunciava l’esproprio di 76 imprese che lavoravano nel settore degli idrocarburi, “molte delle quali di proprietà di italo-venezolani”.
Poco distante arrivò a “Italians”, il blog del “Corriere della Sera” gestito da Beppe Severgnini, la lettera di Giancarlo Volante (“Venezuela. Proprio oggi sono venuti a confiscarci degli autotreni”) in cui si denunciava un esproprio accaduto “senza avere la possibilità di difenderci attraverso le autorità competenti”. Alla lettera - e indirettamente alle altre 14 società proprietà di cittadini italo-venezolani - rispondeva prontamente il nostro Ambasciatore Luigi Maccotta. Il diplomatico illustrava le iniziative attivate dal governo italiano per sensibilizzare le autorità locali (Ministero dell’Energia, Azienda Petrolifera di Stato, Ministero degli Esteri, Gruppo Parlamentare di Amicizia italo-venezolano) e spiegava come fossero stati fatti presenti il danno e il disagio che si venivano a creare in seno alla collettività. Rimarcava, comunque, che una legge di nazionalizzazione rientra nell’autonoma sfera di sovranità dello Stato.
Anche il Console Davoli crede che non si possa “contestare una azione dello stato sovrano se fatta nel rispetto della legge” e, come l’Ambasciatore Maccotta, sottolinea che l’unico atto possibile da parte delle Istituzioni italiane è quello di fare pressione affinchè venga rispettata quella parte della normativa che prevede indennizzi equi, tempestivi ed effettivi.
- Le istituzioni italiane - asserisce il Console - sono impegnate su questo fronte con la stessa forza e con la stessa efficacia degli altri paesi europei. Il loro intervento diplomato è risultato essere in molti casi prezioso.


Interrogazioni

Dopo la senatrice Poli Bortone (Pdl), anche l’on. Marco Zacchera, presidente del Comitato italiani all’estero della Camera, ha presentato un’interrogazione al Ministro Frattini sul tema delle misure adottate dal governo italiano come risposta alle espropriazioni e alle nazionalizzazioni attuate in Venezuela. Zacchera sosteneva che la “crisi venezuelana” avesse ormai assunto “caratteristiche di estrema gravità” che “impongono interventi determinati e senza indugio a tutela della democrazia”.
Durante i lavori della II Commissione Mista italo venezolana dello scorso maggio, cui hanno partecipato il presidente Chávez, il ministro degli Esteri Franco Frattini ed il suo omologo Nicolas Maduro, quello delle ‘espropriazioni’ è stato uno dei temi ‘caldi’. Il ministro ha spiegato alla collettività italiana l’azione di sensibilizzazione svolta dalla Delegazione nei confronti delle autorità venezolane, soprattutto grazie ad un incontro avvenuto tra l’Instituto Nacional de Tierras ed i rappresentanti delle famiglie italiane vittime di espropri ed invasioni. Tutto per garantire indennizzi effettivi, equi e tempestivi.
Secondo un recente sondaggio della ‘Voce’, la metà degli italiani intervistati presso il Centro Italiano venezolano di Caracas teme di essere espropriata addirittura della propia casa. Questo non è mai accaduto. Si è però proceduto ad espropri previsti dalla “Legge Organica che riserva allo Stato i Beni e i Servizi Connessi alle Attività Primarie degli Idrocarburi” ed a quelli di utilità pubblica.

Sindaco copeiano espropria un Centro Italo dello Zulia per non lasciarlo ai chavisti

di Monica Vistali

CARACAS – È stato annunciato il decreto di utilità pubblica ed interesse sociale del ‘Centro Italiano Venezolano’ di Ciudad Ojeda che, in poche parole, è stato espropriato. Ma questa volta a compiere il “crimine”, come tanti lo definiscono, non sono state le fila rosse del Governo né Pdvsa, ufficiale proprietaria del terreno che avrebbe potuto rivendicarlo, ma il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela.
Secondo il primo cittadino, raggiunto telefonicamente dalla ‘Voce’, “alcuni membri dei Consejos Comunales della zona” avrebbero avuto intenzione di “assaltare il Club”. Con l’espropriazione, pensata il lunedì e messa in atto il martedì, avrebbe di fatto impedito ai “chavisti” di trasformare il centro in “una delle loro sedi di governo che poi falliscono”.
- Quelli della Giunta direttiva (del Civ, ndr) sono tutti amici miei! Decretando l’espropriazione ho salvato il Centro Italiano - ha spiegato il Sindaco.
Il primo cittadino ha assicurato che il club si trova in totale stato di abbandono (cucina inutilizzabile, aria condizionata ed impianto elettrico malfunzionanti, infiltrazioni di pioggia nelle sale) e che con questa espropriazione verrà recuperato a totale beneficio della comunità, invece che diventare “sede di uffici chavisti”. Inoltre, ha voluto sottolineare che solo otto dei 148 soci erano al giorno con il pagamento della propria quota.
- La misura si riferisce ad un terreno di circa 23 mila metri quadrati - ha detto il Sindaco durante una conferenza stampa -. Lo utilizzeremo per gli abitanti di Lagunillas, come complesso sportivo comunale che ospiterà anche attività culturali e sociali.
La parole del Primo cittadino di Lagunillas non trovano però riscontro nelle affermazioni del presidente del Civ di Ciudad Ojeda, secondo il quale l’espropriazione del Centro non sarebbe altro che conseguenza di una ‘guerra’ tra chavisti e copeiani per il possesso del terreno, ubicato nella ‘urbanización’ Tamare.
- Con le invasioni le baracche del ‘barrio’ a ridosso della recinzione - spiega Oscar Framiglio - stavano avanzando sempre di più, era aumentata la criminalità. Dall’altra parte c’era il Comune, che voleva per sè le istallazioni. Così si è inventato l’assalto dei chavisti e che tutto era a pezzi, in stato di degrado, quando in realtà la situazione non è così grave.
Secondo il presidente, i problemi che affliggono gli spazi del Civ sono “dettagli minimi”, comunque risolvibili: qualche bagno che non funziona, qualche sala senza aria condizionata. Che comunque non hanno mai impedito ai connazionali di frequentare le istallazioni.
Per i bilanci il discorso cambia. La quota mensuale del Centro di Ciudad Ojeda è BsF 25. Però solo per la piscina, venivano spesi BsF 4,000 e per sopravvivere il Club avrebbe bisogno di circa BsF 12,000 ogni mese. Fino all’anno scorso i soci attivi con i pagamenti erano 250, mentre ora sono meno di una quarantina.
- Pensavamo di aumentare la quota per affrontare alcune spese di mantenimento e manutenzione ma i soci hanno smesso di pagare. Possiedono azioni di imprese espropiate della zona e la loro situazione economica è incerta.
Secondo quanto ha però spiegato alla ‘Voce’ il presidente di Federazione delle Associazioni italovenezolane, Mariano Palazzo, il Civ di Ciudad Ojeda “presentava da tre - quattro anni grandi difficoltà economiche”, “aveva debiti con Faiv” e non proprio tutti i 170 soci pagavano le quote. Inoltre i membri del Club “non presenziavano alle riunioni”, il Centro non aveva partecipato ai Giochi di Maracaibo, non si era iscritto per quelli di Merida e la struttura, in special modo la piscina, era “in disuso”. Insomma un Centro in agonia, come ce ne sono altri, anche se Palazzo ricorda che c’era stato un “gruppo che aveva tentato di riattivarlo”.
Ieri c’è stato un primo incontro tra il Sindaco Pirela e alcuni rappresentanti della collettività italiana – tra cui anche il console reggente di Maracaibo - rimasto però infruttuoso. Dalla bocche di una cinquantina di persone sono nate proposte diverse - regalare al Comune azioni morose del Civ per poi investire insieme nella rimordenizzazione delle strutture; lasciare al Sindaco il possesso del terreno ed in cambio restare con il controllo dell’immobile - ma non si è arrivati ad un accordo finale.
L’unica voce fuori dal coro, piena di speranza, è qualla del vicepresidente di Faiv e presidente del Comites di Maracaibo, Cono Siervo. Secondo lui la riunione è stata “positiva” ed il Sindaco “potrebbe cambiare idea riguardo all’espropriazione”. “L’Ambasciatore Luigi Maccotta ha mostrato disponibilità e potrà avere un ruolo importante nelle trattative”, insieme alla comunità italiana che è “unita nella lotta contro un’azione che non possiamo permettere”.
Domani i soci del Centro Italiano si incontreranno per pianificare un’offerta ed una strategia comuni da presentare lunedì, in un gruppo di sole 4 o 5 persone, al Sindaco Pirela.
Secondo quanto riportato dal quotidiano ‘Panorama’ di Maracaibo, per compiere con il decreto, il 2010-043, il procuratore è stato autorizzato a realizzare in tempi brevi l’iter legale necessario. Inoltre, il Comune avrebbe consegnato alla comunità un lotto di terreno confinante con il Civ da destinare alla costruzione di abitazioni.

lunedì 2 agosto 2010

Il leghista Castelli: infrastrutture italiane in Venezuela grazie all'amicizia tra Chávez e Berlusconi

CORTINA – Parla di colonizzazione, allude alla dittatura quando parla del Venezuela e di rapporti tra ‘grandi capi’ quando tratta di economia. È il vice ministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli, parlando dell’export italiano durante una tavola rotonda organizzata nell’ambito di “Cortina Incontra”.
- Le aziende italiane lavorano in Venezuela grazie al rapporto personale che c’è tra Berlusconi e il presidente Ugo Chavez. Chavez ci fa fare le cose - ha detto - perché siamo bravissimi e c’è una storia delle imprese italiane in Venezuela, ma anche grazie ‘al mio amigo Berlusconi’, ‘salutami Berlusconi’ e ‘viva Berlusconi’. Le grandi opere infrastrutturali - ha poi aggiunto - vengono fatte quasi sempre in Paesi dove non c’è grande democrazia e mercato: decide l’autorità politica, che spesso è dittatoriale, per cui il rapporto personale tra il grande capo di quel paese e il grande capo del nostro paese è fondamentale.
Il vice ministro ricorda poi le cifre italiane:
- Conosciamo Ferrari e Valentino ma quello che hanno fatto i nostri costruttori nel mondo è di più: dal 2004 al 2008 è stato raddoppiato il fatturato di queste aziende nel mondo. Tre miliardi di euro nel 2004, sei miliardi e mezzo nel 2008’. Le aziende italiane - prosegue - vincono il campionato mondiale delle infrastrutture, hanno saputo colonizzare il mondo e questo mi rende orgoglioso da italiano. Ma c’è bisogno di supportare queste aziende con un programma di infrastrutture e con l’appoggio politico all’estero.
Per quanto riguarda il Ponte sullo Stretto, ‘’fare un’opera unica al mondo - ha detto Castelli - sarebbe un bel biglietto da visita per le nostre imprese. Io lo farei anche solo per questo ritorno d’immagine’’.

Siciliani, dalla Regione 20 polizze Rescarven

di Monica Vistali

CARACAS – Per rimediare ai danni che le forbici sempre più affilate della Finanziaria stanno regalando agli italiani dentro e fuori dai confini, l’associazionismo cerca intese con le Regioni e lavora per far arrivare oltreoceano il denaro necessario ad alleviare lo spettro della povertà. Su questo binario non solo gli abruzzesi del Venezuela, cui a breve arriveranno 80 mila euro, ma anche i siciliani, che quest’estate hanno ottenuto per la prima volta un fondo per 20 polizze sanitarie Rescarven da donare ai corregionali in forte difficoltà economica. Undici di queste assicurazioni sono già state consegnate durante una cerimonia svoltasi negli spazi del Centro Italiano Venezolano lo scorso 10 luglio - alla presenza del Console generale d’Italia Giovanni Davoli, il presidente del Comites Michele Buscemi, il presidente della Casa Sicilia Paolo Cozzo e il presidente dell’Associazione liminese Giuseppe Noto - altre sono in viaggio e arriveranno a breve.
È stato il presidente dell’Associazione Siciliani nel mondo di Caracas, l’editore Eligio Restifo, ad illustrare durante il suo intervento al Civ il percorso che ha portato alla concessione del fondo.
- La nostra lotta è iniziata quando ancora i nostri immigranti in Venezuela erano considerati dal governo italiano i ‘fratelli ricchi dell’America del Sud’ - spiega Restifo -. È stato un duro lavoro convincere l’Italia che la realtà del Paese era cambiata e che esistevano gruppi di persone con estreme necessità.
Restifo ha poi ricordato ai presenti l’incontro con il deputato regionale Carmelo Lo Monte il quale, ascoltate le esigenze dei suoi corregionali all’estero, creò l’Associazione Siciliani nel Mondo, integrata da più di 60 Comuni dell’isola che, sommando i loro sforzi, riuscirono a raccogliere velocemente il denaro necessario per le polizze sanitarie, triennali, e l’acquisto di farmaci per indigenti.
Ad aiutare l’Associazione nella scelta dei primi 11 beneficiari della polizze la sig.ra Miriam Guevara, di Rescarven, il cui sforzo si è unito a quello del Consolato generale d’Italia. Anche se i membri dell’Associazione sono tutti abitanti della capitale, gli 11 beneficiari Rescarven sono di Caracas, Valencia e Barinas, selezionati dalle siciliane Elisabetta Autieri e Josefina Di Salvio tra centinaia di candidati sparsi per il Paese.
Già in passato, il gruppo di siciliani aveva presentato alla sede consolare di Caracas i nominativi di 16 corregionali in difficoltà che oggi, per l’acquisto dei propri farmaci, si possono rivolgere alla rete Pharmatención, di proprietà del dott. De Lucca, un medico siciliano che offre loro prezzi solidali.

domenica 1 agosto 2010

Franco de Vita, l'orgoglio della stella della Solidarietà italiana

Il noto cantautore italo venezolano, decorato commendatore della Repubblica italiana durante una cerimonia al Centro Italiano Venezolano, ci spiega cosa significa essere un emigrante

di Monica Vistali

CARACAS - Scarpe classiche color oro ai piedi del celebre cantante Franco De Vita, che giovedì è stato decorato della Stella della solidarietà italiana dal Consigliere politico dell’Ambasciata d’Italia, Alberto Pieri. Alla cerimonia, svoltasi negli spazi del Centro Italiano Venezolano di Caracas, hanno partecipato numerosi esponenti della collettività, rivelatosi fans dell’artista in feroce caccia di fotografie ed autografi.
Il Consigliere Pieri, intervenendo dopo i saluti del Presidente del Civ, Mario Chiavaroli, ha sottolineato il valore della Stella donata al neo-commendatore De Vita, la più importante in termini di prestigio e prima nella storia, che nel dopoguerra italiano decorava coloro che si erano distinti per i loro contributi alla ricostruzione ed oggi premia gli ambasciatori dell’italianità nel contesto internazionale, gli sforzi ed i successi di chi dona lustro al Paese d’origine.
- Franco de Vita - ha sottolineato Pieri - è un esponente di primo grado di un’Italia prodiga di genio e risorse. Conta più di 25 milioni di dischi venduti e 1500 concerti in ben 50 Paesi nel mondo. Si dice che il nostro è un ‘popolo di poeti, santi e naviganti’ - ha concluso il diplomatico - oggi vorrei aggiungere a questi anche i cantanti e i musicisti.
Un artista diviso tra Italia, Venezuela e Spagna, dove oggi vive. Un figlio di migranti che ha trascorso l’infanzia nella Penisola - dove ha vissuto dai 3 ai 13 anni - per poi vivere da emigrante ritornando in quella Venezuela che gli ha dato i natali. Un’adolescenza in quella ‘terra di nessuno’ che sono i banchi delle scuole italiane all’estero, come la A. Codazzi di Caracas, dove ha studiato.
- Quando sono tornato in America latina ho dovuto imparare lo spagnolo, non avevo amici. Ero forestiero nella mia terra. Lo stesso vale per quando torno in Italia: i luoghi e le persone non sono più le stesse. Una volta che lasci il tuo Paese - decreta De Vita - sarai straniero per sempre.
Tutto cambia, certo.
- Ricordo un’Italia ‘di paese’, i giochi giù in strada, il calcetto con gli amici. Una terra viva. Oggi - si rammarica il cantante, originario di Pellare, a Salerno - tutto è più moderno ma più spento, più stanco.
E il Venezuela?
- Non è un fatto politico - spiega De Vita - ma anni fa la gente viveva meglio. Sento che questa terra paradisiaca si sta deteriorando. Criminalità, insicurezza... e in Italia purtoppo è lo stesso.
Qualcosa di buono, però, è nato: una coscienza stimolata anche da alcuni suoi brani, tra i quali spicca ‘Extranjero’.
- Anni fa essere italiani, e migranti, era una vergogna. I genitori cercavano di nascondere l’italianità dei propri figli perchè non venissero discriminati, non gli insegnavano la lingua della loro terra. Oggi invece la gente è orgogliosa di essere italiana e le seconde, terze generazioni portano con fierezza all’estero la bandiera italiana.
Il cantante, che ha segnato con le sue note il panorama musicale di tutta l’America latina con più di quindici album e canzoni composte per il collega Ricky Martin, tra gli altri, ha ringraziato calorosamente per il riconoscimento ricevuto ma, dopo pochi contatti con il pubblico e il tempo dedicato alla stampa, come una vera star ha lasciato presto il Civ abbandonando i suoi fans al ricco buffet.

giovedì 29 luglio 2010

Ps Lgtb

A cavallo con la decisione del Parlamento argentino e della tragedia alla Love Parade, un due articoli sul tema della diversità sessuale datati maggio 2009.

Lesbliche, gay e trans: tra speranza e discriminazione - maggio 2009

Una chiaccherata con la Fondazione Reflejos e un sondaggio tra gli italiani sul tema della diversità sessuale. "Noi combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini".


di Monica Vistali


CARACAS – Domenica si è celebrata la giornata mondiale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. La comunità LGTB, ma non solo, è scesa in strada per commemorare quel 17 maggio 1990, giorno in cui l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) rimosse ufficialmente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.

“Dobbiamo conquistare gli spazi degnamente, senza obbligare nessuno. E’ una guerra senz’armi ma non possiamo permetterci di perdere gli spazi vinti” ci dice serena e risoluta Elena Hernaìz, presidentessa della Fondazione Reflejos.
Anche se, non a caso, le statistiche sulla comunità LGTB (lesbiche, gay, transessuali, bisessuali) sono quasi assenti, secondo gli ultimi dati disponibili il 17% della popolazione è omosessuale, mentre una persona su 2000 è transessuale. Riconoscendo questo segmento di cittadini, negli ultimi anni sempre più Paesi hanno redatto norme in difesa dei diritti dei sessodiversi e, almeno a livello normativo, hanno agito per tutelare questa realtà. La Svezia abbattè un muro storico legalizzando le unioni omosessuali (l’Argentina sarà il primo Paese latinoamericano a farlo) e l’adozione per coppie dello stesso sesso (in marzo un giudice brasiliano ha concesso l’adozione di due gemelline ad una coppia omosessuale). Proprio in questi mesi all’Assemblea Nazionale venezolana è in discussione un articolo che, fra le altre cose, permetterebbe le “unioni di convivenza”.
Nonostante questo avanzamento sociale, in molti Paesi si continua a castigare severamente la diversità sessuale con pene che vanno dal carcere, alle frustate, alla morte. L’assurdità è così forte che si discrimina anche all’interno della discriminazione stessa: in molti Paesi - Singapore, India, Uganda, Birmania, Jamaica, Kenia tra gli altri - è legale l’omosessualità femminile ma non quella maschile.
Nelle nostre due terre divise dall’oceano, gli omosessuali non devono subire questi oltraggi ma nello stesso tempo sono una categoria non considerata a livello legale, spesso vittima di violenze verbali e fisiche per mano del folto gruppo di omofobici presenti nella società o nascosti tra le fila dei corpi di polizia, dei professionisti della salute, del clero. Lo scorso marzo l’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha denunciato la costante escalation di reati e discorsi di odio nei confronti di gay e lesbiche.
Anche a livello lavorativo l’emarginazione è più che viva: pochi giorni fa il vicino Perù ha legiferato contro le persone omosessuali, cui ora è vietato l’ingresso nelle forze dell’ordine, e in Italia molto spesso i gruppi genitoriali non accettano gay o lesbiche come insegnanti per i propri figli. Si teme che l’omosessualità si possa ‘insegnare’ o ‘contagiare’, e che comunque non possa ‘dare il buon esempio’.
“Evidentemente la diversità sessuale non è ancora accettata. C’è rispetto ma non accettazione - dichiara Elena -. Vanno bene infedeli e sadici, non gay e lesbiche”. Come puntualizza la compagna di Elena, “gli omosessuali sono il capro espiatorio della promisquità”.
Nonostante le difficoltà, la rappresentante della Fondazione Reflejos porta in sè molta speranza. “Alcuni anni fa la situazione era molto peggiore. Oggi il mondo ci sta aprendo pian piano le porte, spinto da un numero sempre maggiore di persone che esce allo scoperto e lotta a livello istituzionale. Ma il cammino dev’essere quello di una sinergia tra legge e società. La prima deve obbligare legalmente all’accettazione, la seconda deve premere perchè si modifichino le norme. Questo è il momento. Se non ci muoviamo ora, non ci riconosceranno più”.
Educare, formare ed informare. Questa la linea di lavoro per un’attivismo che significhi linguaggio coerente e visibilità.
“Ancora oggi molti presunti attivisti si presentano in televisione con nomi fittizi o con il volto nascosto - si rammarica Elena -. Ed alcune associazioni si ghettizzano nella loro lotta. Noi invece combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini. Vogliamo educare riguardo ciò che ci unisce, più che puntare su quello che ci differenzia”.
Su questa linea, la Fondazione Reflejos è impegnata oggi in un programma radio (il primo in Venezuela riguardante la tematica LGTB), una pagina web (http://www.fundacionreflejosdevenezuela.com/) e in ben quattro progetti. Il primo, “Soy Mujer y punto”, è diretto alle lesbiche e alle transessuali considerate solo in quanto donne, e nulla più mentre il secondo, “Trans...pasemos las barreras”, riguarda le barriere ideologiche, sociali, legali ed individuali che ostacolano il cammino di transessuali e trangender. Poi c’è “Nuevos Modelos de Familia” dedicato ai nuclei familiari composti da genitori o figli sessodiversi ed infine “Hagamos un hecho de nuestro Derecho”, per tutti quei diritti umani che ancora non sono realtà per una frangia significativa di cittadini.
“Quello che manca - insiste Elena - è l’educazione. Una volta ho tenuto una conferenza sull’omosessualità senza parlare di sesso e tutti si sono stupiti. ‘Com’è possibile?’ mi chiedevano. Non capiscono che è un problema di diritti umani e civili, non di sesso. Purtroppo, ancora oggi, quando si parla di omosessualità si pensa subito a orgie, promiscuità, degenerazione e morbosità sessuale. Significativo che fino a poco tempo fa in tv non si potevano trattare tematiche LGTB prima delle undici di sera, in quanto era considerata pornografia. Questo frutto dell’ignoranza, invece che aiutare, pregiudica la nostra immagine”.
La mancanza di contatto con il “diverso” si vede con chiarezza nelle dichiarazioni degli italo-venezolani riguardo al tema della diversità sessuale.
Alcuni, soprattutto giovani, rimarcano l’uguaglianza di tutte le persone e il divieto, sancito per legge, a qualsiasi forma di discriminazione. Parlano dell’omosessualità come “normale inclinazione sessuale ed affettiva” e criticano la sua “scarnificazione da qualsiasi aspetto sentimentale e amoroso”.
Altri invece parlano di “malattia psicologica”, “atto contronatura”, “degenerazione”; dichiarano la necessità che le “effusioni omosessuali” siano espresse “al chiuso, in privato, non pubblicamente” al fine di “non intaccare il pudore delle persone normali”. Queste idee generano poi un sentire diffuso che si diffonde e si rigenera. Come ci dice un intervistato: “Anche io sono infastidito nel vedere atti omosessuali per la strada. Questo perchè sono figlio dei condizionamenti della società che mi ha cresciuto. Ma vorrei trovare la forza di ribellarmi a questo plagio”.
“Non siamo abituati a vedere un bacio tutto al maschile, mentre la sessualità tra donne appare tutti i giorni in tv” ci dice un giovane italiano. Ascoltando altri pareri, sembra che effettivamente l’omosessualità femminile, definita “glamour” ed “elegante”, sia più accettata di quella maschile, considerata invece una “pratica rozza e violenta” che “intacca il ruolo virile dell’uomo in società”. Evidentemente, come ci viene detto, “agli uomini non basta sentirsi parte del genere umano. C’è bisogno di creare sottoinsiemi entro cui iscriversi”.
Davanti all’idea di un figlio omosessuale, nessun intervistato sembra tranquillo. Anche chi accetta la diversità sessuale teme sberleffi ed emarginazioni. O peggio. Questo perchè quasi tutti hanno assistito in prima persona ad episodi di violenza verbale e fisica nei confronti dei sessodiversi.
A quanto pare, c’è ancora molto lavoro da fare. Gli ostacoli sono in chi prova a curare l’omosessualità con electroshock e terapie di gruppo, in chi reagisce con una risata, con un pugno o con le sempre più diffuse ‘ronde antitrans’, in chi teme per il sacramento del matrimonio, l’istituzione della famiglia ed il volere divino.
Fortunatamente numerose associazioni si mobilitano in modo sempre più pressante per far sì che questa segregazione abbia un termine. Per far sì che sui giornali non si possano più leggere articoli come quello, datato 6 aprile 2009, che titolava: “Papà, sono gay! Il padre lo caccia, il prete vuole esorcizzarlo”.

mercoledì 28 luglio 2010

E’ di origini italiane la prima trans della tv venezolana - Intervista maggio 2009

di Monica Vistali

CARACAS - Mi apre la porta Giannina Cadenas, una ragazza di origini italiane, bellissima ed elegante. Sorride e sembra molto indaffarata. “Sto preparando due nuovi progetti per la televisione” mi spiega mentre guarda lo specchio dietro di me per aggiustarsi un po’ i capelli.
Giannina ha le unghie e il seno artificiali. Niente di strano per una giovane donna del piccolo schermo latinoamericano. Ma a differenza di tutte le altre ragazze in tv, lei ha un pene che per ora non intende eliminare.
“Sono una pioniera - mi dice con soddisfazione -. Sono la prima transgender a condurre un programma televisivo in Venezuela, “La Brujula sexual”. Resterò nella storia del mio Paese e questo mi riempie d’orgoglio”.
Giannina sa di essere fortunata. Ha un buon lavoro, una famiglia che ha accettato la sua “sessodiversità” ed un fidanzato, da ben sette anni. E’ l’esempio di come la parola “trans” non sia necessariamente un’icona morbosa o un sinonimo di “prostituta”.
“I miei genitori non si aspettavano questo da me, non erano preparati. Ma, con l’aiuto di uno psicologo, sono stati in grado di appoggiarmi in tutto. Se avessero reagito in modo diverso, se mi avessero rifiutato o abbandonato, sarei diventata una persona vulnerabile, debole. Sarei finita per strada, avrei abbandonato tutti i principi e i valori in cui credo”.
Ecco, a quel punto, la voce di chi ce l’ha fatta: fa eco a chi non ha voce. “Siamo esseri umani, come tutti. Ma per il solo fatto di essere noi stessi la comunità spesso ci condanna e ci travolge. Ti senti solo, inaccettato, depresso. Perdi la sicurezza in te stesso, l’autostima. E così, in un attimo, puoi cadere nella tossicodipendenza. Se a questo si aggiunge il fatto che il percorso medico per il processo di transito è altamente costoso e per noi è molto difficile trovare un impiego - aggiunge -, si capisce perchè molti transessuali e transgender lavorano sui marciapiedi. Quando in realtà potremmo, in quanto persone normali che siamo, fare qualsiasi lavoro”.
Giannina non ha torto. Per tutti, purtroppo, un transessuale allo sportello di una banca o al supermercato sarebbe una novità. Molto piu comodo pensare al trans in strada, o in uno streap club.
Con il suo programma irriverente, dedicato alla sessualità in tutte le sue forme, Giannina ha lottato contro gli “alti indici di discriminazione che ancora oggi pendono sulla vita di chi non rientra nei confini della società eterosessista dominante”. Ha combattuto per “eliminare la croce portata da tutti coloro che, per vivere, sono costretti a camminare per strada in giacca e cravatta e dentro si sentono infelici”.
Alla base della sterile tolleranza diffusa in questo momento storico nei confronti della diversità sessuale, “ben lontana dalla vera accettazione sociale”, secondo Giannina c’è una profonda ignoranza e una forte difficoltà a parlare della propria sessualità.
“Bisogna reinventare l’educazione, potenziarla. Sono stufa della gente che, per confermare la leggenda della particolare ‘dotazione’ dei trans, mi chiede quanto misura il mio pene. Bisogna far capire che essere transessuali non è una malattia, ma una semplice condizione di dissociazione tra anima e corpo, tra sesso biologico e psicologico”. Giannina è risoluta nella sua volontà: “Si deve eliminare dalla diversità sessuale e di genere la coltre morbosa che la circonda e la trasforma in qualcosa di negativo e sporco a livello sessuale, quando invece contempla rilevanti aspetti psicologici ed affettivi. Bisogna spiegare qual’è la differenza tra un transessuale ed un transgenero, illustrare il percorso di transito da un punto di vista medico, far capire che un uomo attratto da una transessuale non è gay. Quest’uomo cerca infatti la figura femminile. Bisogna poi chiarire la distanza che intercorre tra anosessualità e omosessualità. La gente - continua la conduttrice - deve avere un panorama chiaro di ogni orientamento affettivo e sessuale, a 360 gradi, e per far questo dobbiamo parlare e mostrare che esistiamo. Qui, non su un altro pianeta. La gente crede che dato che il mondo è configurato in un certo modo, non ci possono essere varianti. Eppure eccoci qui, in bella mostra, come tanti nella storia”.
C’è molto per cui lottare. Il percorso umano, per un sessodiverso, è arduo e spesso pieno di sofferenza. Fin dai primi anni di vita: “Quando sei piccola i vestiti che ti mettono ed i giochi che ti regalano non ti piacciono - racconta Giannina -. Già a cinque anni capisci che la realtà esterna non è quella che hai nella tua testolina, nel tuo piccolo mondo. E che sei costretta a seguire una strada per il solo fatto di avere un pene”.
Crescendo, le cose diventano ancora piu difficili: “Durante l’adolescenza sei in un tragico limbo e ti chiedi chi sei. La gente attorno ti osserva e ti giudica. I compagni di classe ti prendono in giro dandoti dell’omosessuale quando in realtà tu sai che non sarai mai gay perchè semplicemente ti senti una donna, non un uomo”.
“E quando finalmente decidi di ‘diventare chi sei’ - prosegue Giannina - tremi per la paura. Temi la reazione della famiglia e degli amici, temi di non piacerti dopo un’operazione, temi per la tua salute, temi di restare sotto i ferri, temi al pensiero di vivere il resto della tua vita come un discriminato ed un segregato, inaccettato, solo. A causa di tutti gli omofobici e transfobici, vittime di un meccanismo incosciente che li porta a coprirsi le spalle di fronte al nuovo che non conoscono, a ciò che gli fa paura e li attrae. Hanno paura di essere toccati da quella debolezza della carne che nella nostra cultura è qualcosa di assolutamente negativo”.
Soprattutto in un Paese come il Venezuela governato dalle leggi della bellezza, sono particolarmente acute le difficoltà per le transessuali femminili. Come ci fa notare Giannina, “se ad un transessuale maschile spesso basta tagliarsi i capelli e adottare una postura particolare per sentirsi a proprio agio, non dare troppo nell’occhio e quindi sentirsi piu accettato, le transessuali femminili non particolarmente aggrazziate o affascinanti soffrono terribilmente: sono la categoria piu maltrattata ad ogni livello. Alla fine - si rammarica - quello che si approva è il bello, il gradevole esteticamente”.
A livello generale, per i transessuali restano intatte le remore a confessare la propria sessodiversità a familiari ed amici; gli inarrestabili episodi di violenza verbale e fisica a causa della transfobia; la pratica diffusa di ‘confinare’ il partner transessuale o transgenero in una sfera di clandestinità perchè, come ci spiega Giannina, “l’altro ha paura di mostrarsi in pubblico e quindi, anche se desidera una relazione stabile, non si sbilancia”.
Ma fortunatamente anche la nostra società è in transito: i giovani non hanno più eccessive difficoltà ad accettare la propria diversità; alcuni Paesi come Spagna, Colombia e Cile hanno iniziato a riconoscere la possibilità di cambiare nome sui documenti, la comunità trans è sempre piu visibile e preme in ogni parte del mondo per vedere rispettati i propri diritti di cittadini.
Essere riconosciuti come cittadini votanti e con pieni diritti è fondamentale per far sì che non solo la forma attuale della società sia un ostacolo. Anche la legge dello Stato, infatti, può configurarsi come un impedimento notevole per la vita quotidiana di un transsessuale o di un transgender. Un Paese che non riconosce il tuo percorso di vita è, infatti, un Paese che può non accettarti in una clinica perché il tuo corpo non rispecchia ciò che c’è scritto sui documenti, un Paese che legittima il caos quando una transgenero desidera utilizzare la toilette per signore o deve entrare in un reparto ospedaliero maschile o femminile; un Paese che ti costringe a raccontare e certificare qualcosa di assolutamente intimo ogni qualvolta devi utilizzare un passaporto o una carta di credito.
Un paese che viola la privacy di una minoranza per cui non esistono leggi di tutela.
Ma il risvegliarsi è generale ed il momento storico è perfetto per una lotta su tutti i fronti. Certamente, come si auspica Giannina, “c’è bisogno di un’unione profonda tra tutte le associazioni civili a livello globale, che portano avanti la loro lotta separatamente mentre dovrebbero fondersi e combattere come fronte unico”.
Nel frattempo, facciamo gli auguri a Ruben, un transessuale spagnolo che aspetta due gemelli in arrivo a settembre, frutto di un’inseminazione artificiale.

Colombia, si rompe il silenzio sui paramilitari, fossa comune con 2 mila corpi

Il ‘Movimiento de Víctimas en Colombia’ ha registrato più di 75 stragi con oltre 4 mila vittime. La testimonianza di un contadino: “Tagliavano le persone e le seppellivano a pezzi”

BOGOTÀ - I contadini colombiani della zona nord di San Onofre, nella zona Sucre, hanno rotto il silenzio denunciando ai media i massacri dei paramilitari che hanno subito negli ultimi dieci anni. Il ‘Movimiento de Víctimas en Colombia’ ha registrato più di 75 stragi con oltre 4 mila vittime, molte sepolte in fosse comuni, mentre molti sfollati non sono mai ritornati nelle loro case a causa dell’insufficienza di garanzie offerte dallo stato.
Vari abitanti della zona hanno testimoniato di assassini e mutilazioni, così come di incendi appiccati dai paramilitari per cancellare qualsiasi prova.
“Facevano un piccolo buco, tagliavano le persone e le seppellivano a pezzi” ha denunciato a TeleSur Jauiro Arnda, contadino. La corrispondente di TeleSur in Colombia, Angie Camacho, ha raccontato che vari contadini stanno esortando i compagni a denunciare tutto sulle stragi, anche se minacciati di morte. “Diciamo alla comunità internazionale la crisi umanitaria che si vive realmente in questa regione” ha aggiunto Eder Torres, abitante della zona.
Diversi famigliari di leader assassinati esigono dal governo colombiano una commissione che investighi sui fatti che accadono da più di un decennio in queste località ma sono convnti della complicità che lega autorità e paramilitari.
La senatrice Gloria Inés Ramírez, per il Polo Alternativo, ha affermato che “qualificando come terroristi le vittime e i difensori dei diritti umani, il governo dice alla sue truppe ufficiali che siamo obiettivi militari”. E ha aggiunto: “Non si è mai sentita nei discorsi presidenziali una sola linea di condoglianze per le vittime”.
Intanto, una delegazione di Europa e Stati Uniti, con in testa sei eurodeputati, ha certificato lo scorso venerdì, dopo un’udienza pubblica a Macarena, l’esistenza di una fossa comune con due mila cadaveri non identificati. “Sono guerriglieri morti in combattimento”, hanno dichiarato fonti ufficiali. Gli attivisti dei Diritti Umani colombiani chiedono che questa, la fossa comune più grande dell’America latina, venga investigata. La certificazione della fossa accredita quanto andavano da tempo denunciando alle autorità colombiane i contadini del luogo e gli abitanti del circondario.
I militari dell’esercito usano ammazzare persone innocenti, anche ragazzi, dopo averli condotti centinaia di chilometri da casa, e dopo averli travestiti da guerrilleri delle Farc, con tanto di fucile in mano. Un macabro rituale, quello dei cosidetti “falsi positivi” per ottenere promozioni e licenze premio, oltre a più soldi dal Plan Colombia.
I contadini di Macarena sono vittime di un conflitto armato dal 2003, reso più acuto con l’arrivo del ‘Plan Colombia’ promosso dagli Stati Uniti per lanciare una presunta guerra contro il narcotraffico e il crimine organizzato.
Dopo la visita degli osservatori degli Usa e dell’Ue, il ministero degli Esteri colombiano ha dichiarato che non esistono fosse comuni nella zona e il più importante quotidiano del paese, El Tiempo, i cui maggiori azionisti sono sia il neo eletto presidente Juan Manuel Santos nonché ex ministro della Difesa, sia suo cugino Francisco Santos attuale vicepresidente, hanno ignorato completamente la notizia.

Dall'Abruzzo al Venezuela 80 mila euro per polizze sanitarie

Di Monica Vistali

CARACAS - Già la prossima settimana arriverà una parte degli 80 mila euro stanziati martedì dal Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (Cram) e destinati ai corregionali in Venezuela che necessitano una polizza sanitaria ma versano in situazione di forte disagio economico.
Questa prima parte di finanziamento, ci spiega Riccarco Chiavaroli, consigliere regionale del Pdl e componente del Cram, “servirà ad aprire il conto corrente che sarà legalmente affidato alla Fondazione Abruzzo Solidale, la quale ha fatto richiesta del finanziamento ed ha attivato la procedura. La Fondazione - prosegue Chiavaroli - dovrà poi coordinarsi con tutte le altre associazioni del Venezuela per individuare i corregionali più bisognosi e stilare un elenco con i nomi degli abruzzesi cui stipulare le polizze sanitarie. Solo a quel punto, il gruppo di lavoro del Cram provvederà all’erogazione completa del denaro”.
Un lavoro in concerto, quindi, come assicurato dal Presidente della Fondazione Abruzzo Solidale, Amedeo Di Lodovico. “Convocheremo tutte le associazioni abruzzesi e molisane del Paese - afferma - per scegliere i beneficiari del finanziamento e gestire il tutto in forma onesta, comunitaria e trasparente”. Una puntualizzazione importante, date le continue diatribe che separano tra le associazioni regionali, soprattutto la Fondazione Abruzzo Solidale e la Federazione delle Associazioni Abruzzesi.
Anche la sedi diplomatiche italiane sono state e saranno chiamate in causa dal progetto. Come spiega Chiavaroli, “l’Ambasciata ha svolto un grande lavoro di verifica della fattibilità del finanziamento e della validità delle associazioni abruzzesi ed ora - come annunciato martedì dal Consigliere politico Alberto Pieri - avrà certamente un ruolo di supervisione” e controllerà che i destinatari dei fondi non siano favoriti già da altri contributi statali. Per quanto riguarda il Consolato generale, se Chiavaroli afferma che "non avrà nessun compito" e che il finanziamento non sarà dato alla sede consolare perchè "i beneficiari i passato si sono dimostrati reticenti a richiedergli soldi", Di Lodovico auspica la presenza di “una figura di riferimento incaricata di aiutare Abruzzo Solidale ad accertare l’effettiva ‘abruzzesità’ dei potenziali beneficiari e la loro situazione economica”.
Certamente 80 mila euro non saranno sufficienti a soddisfare in toto le esigenze della comunità abruzzese nel Paese. Come ci ricorda Di Lodovico e come dichiarato in passato dal Console generale Giovanni Davoli, infatti, il costo di un’assicurazione sanitaria Rescarven “non è più quello di una volta”. Ma Chiavaroli assicura che, con il suo gruppo di lavoro, cercherà in futuro di far arrivare in Venezuela nuovi finanziamenti.
Oggi il gruppo di lavoro del Cram spedirà alla Fondazione Abruzzo Solidale e di riflesso a tutte le associazioni abruzzesi riconosciute una lettera d’istruzioni in cui si spiegherà nel dettaglio il procedimento da seguire per ricevere i fondi stanziati.
La Fondazione Abruzzo Solidale è nata da un’idea dell’ex Presidente del Cram, Donato Di Matteo, con la precisa finalità di portare aiuto sanitario ai corregionali in difficoltà economiche.
La richiesta di un fondo economico per abruzzesi in condizione di disagio presentata in un primo momento dalla Fondazione, venne accantonata temporaneamente a cavallo del noto ‘buco sanitario’ abruzzese. Dopo il il cambio della guardia dei vertici politici regionali, è stato ripreso il progetto con cui ora alcuni emigranti potranno godere finalmente di adeguate cure assitenziali, mediche e farmaceutiche.

giovedì 22 luglio 2010

Colombia e Venezuela, rotte relazioni diplomatiche

Un contadino ucciso dai paramilitari in Colombia
Parlando all’OEA, l’ambasciatore colombiano ha presentato presunte prove della presenza di guerriglieri e paramilitari in suolo venezolano. Matos: “Falsi positivi che rientrano in un progetto d’invasione”. Vivas, AN: “dimostrazione di spirito bellicista”

di Monica Vistali

CARACAS - “Non ci resta altro che rompere totalmente le relazioni diplomatiche con la Colombia”. Così ha affermato il presidente Hugo Chávez dopo la sessione straordinaria dell’OEA di ieri durante la quale l’ambasciatore colombiano Luis Alfonso Hoyos ha mostrato le presunte prove della presenza di guerriglieri e paramilitari in suolo venezolano. Il diplomatico ha anche proposto la costituzione di una commissione internazionale che entro trenta giorni accerti l’esistenza di gruppi armati nel territorio, rifuitata dalla controparte.
Secondo l’ambasciatore venezolano all’OEA, Roy Chaderton Matos, le prove presentate dall’omologo colombiano sono “senza fondamento”, “confuse e imprecise”. “Non ci sono evidenze, non ci sono prove, sono fotografie scattate non si sa dove e molte sono discutibili” ha affermato. Della stessa idea la presidente dell’AN, Cilia Flores, secondo cui le foto e i video presentati, dove si vedono guerriglieri, “dimostrano solo un problema interno della Colombia”.
Matos ha poi sottolineato che molte delle zone indicate dal governo colombiano sono già state ispezionate da funzionari venezolani che hanno dimostrato come questi non siano mai stati utilizzati come campamenti da forze straniere. Si tratterebbe, secondo il diplomatico, di “fantasias garciamarquianas” che quando arrivano alla politica e alle relazioni bilaterali “creano un danno tremendo”, “falsi positivi che rientrano in un progetto di invasione militare del Venezuela”.
Secondo il vicepresidente dell’AN, Dario Vivas, la condotta del governo colombiano dimostra uno “spirito bellicista”, mentre “il presidente Chávez ha sempre dimostrato la sua vocazione pacifista, con l’accettazione in suolo venezolano di milioni di colombiani sfollati a causa della guerra. Più di 4 milioni di colombiani vivono in pace in Venezuela e non pensano di tornare nel loro Paese”.

mercoledì 21 luglio 2010

Erano poliziotti gli assassini di Marcos Tassino

Il presidente di origini italiane del Centro Uruguayo Venezolano di Caracas sarebbe stato ucciso da funzionari della Polizia Metropolitana, che l'avrebbero intercettato organizzando con altri agenti un finto posto di blocco.

di Monica Vistali

CARACAS - Il ‘Cuerpo de Investigaciones Penales y Criminalísticas’ ha arrestato due degli assassini di Marcos Osvaldo Tassino Asteazu, 67 anni, presidente di origini italiane del Club Social Centro Uruguayo Venezolano. In manette Pedro Emilio Ramírez Punchilupi, 32 años, e l’agente Atilio José Fermín Echezueria, entrambi funzionari della Polizia Metropolitana.
Secondo la ricostruzione, Ramírez Punchilupi avrebbe organizzato con altri agenti di polizia un ‘posto di blocco fantasma’ lungo la strada principale de Los Ruices, con l’intenzione di intercettare Tassino e derubarlo dei contanti raccolti in serata tra la collettività uruguaiana.
Alla vista del posto di blocco Tassino, che si dirigeva a casa in macchina con la moglie, si sarebbe fermato per fornire i documenti. Nello stesso istante, i delinquenti avrebbero raccolto velocemente i coni segnaletici e assalito l’automobile di Tassino, ordinando alla vittima di mettersi in marcia in direzione di Caurimare. Durante il tragitto, gli assassini avrebbero intimato al presidente del Club Uruguayo di consegnare il denaro, che però non aveva con sè. A quel punto, avrebbero cambiato veicolo e si sarebbero diretti al Club, nella zona Los Chorros, dove avrebbero iniziato a picchiare Tassino per convincerlo a rivelare la posizione del denaro. Le lesioni provocarono però lo spegnimento del peacemaker cardiaco e il conseguente decesso della vittima per infarto. Gli assassini si sarebbero quindi dati alla fuga, non senza prima rubare due televisori al plasma appartenenti al Club.
Punchilupi e Echezueria sono stati identificati attraverso i video di sicurezza installati all’interno del centro uruguayo.
Il direttore del Cicpc ha rivelato che presto ci saranno altri arresti. La polizia è infatti sulla pista di altri tre soggetti che avrebbero partecipato all’omicidio.

martedì 20 luglio 2010

“Mediterráneo y Caribe”, mari e culture in poesia

L’IIC ha presentato al pubblico il volume contenente i componimenti selezionati dal poeta Davide Rondoni. Al centro il mare come luogo d’incontro di civiltà, idee ed esperienze. Presenti gli autori

di Monica Vistali

CARACAS – Due mari che si offrono come convergenza di esperienze e culture nelle poesie selezionate dal noto poeta Davide Rondoni e raccolte nel libro “Mediterráneo y Caribe”, presentato giovedì sera nella Sala Cabrujas della ‘Fundación Cultural Chacao’ alla presenza di alcuni autori.
Il volume è il risultato di un progetto iniziato nel 2007 che ha visto la partecipazione di Istituto Italiano di Cultura, Università di Bologna, Fundapatrimonio e Dipartimento di lingua italiana della Ucv. L’idea iniziale era quella di valorizzare attraverso la poesia le affinità comuni ai popoli ‘caribeñi’ e mediterranei, riflettendo sull’apporto positivo degli incontri tra culture diverse. Tanti poeti, tra cui numerosi italo-venezolani, si erano presentati con le loro poesie davanti al romagnolo Rondoni, per l’occasione selezionatore e giudice.
- L’iniziativa è scaturita anni fa dall’interesse venezolano per la poesia - dichiara alla Voce la direttrice dell’IIC, Luigina Peddi - e dalla serie di affinità culturali e storiche che Italia e Venezuela condividono. L’IIC ha voluto dar seguito alla proposta raccogliendo i componimenti scelti. Poesie di buon livello, alcune ottime.
Un volume di ampio respiro, che spazia dalle esperienze personali sino ai grandi temi dell’emigrazione, della paura del nuovo. Al centro di tutto, rotte marittime come luogo ideale d’incontro: non solo relazioni commerciali ma anche scambi di lingue ed idee che hanno sviluppato la curiosità intellettuale dei popoli protagonisti.
- Il nostro mare - spiega Peddi - è stato accentratore e propulsore di culture, il ‘Caribe’ crocevia di civiltà che si sono susseguite e mescolate. La cultura globalizzata - dichiara - c’è sempre stata.
Durante la serata, che ha riscosso un grande successo di pubblico, quattro finalisti sono stati chiamati sul palco a leggere i propri componimenti. Il pubblico ha ascoltato attentamente ‘La cama’, poesia vincitrice di Eleonora Requena e le rime degli altri poeti sul podio: Alda Rippi, Reinaldo Bello Guerrieri, Isaidi Vega, Ruth Hernandez Buzcan.
- All’inizio il pubblico provava un certo timore reverenziale nei confronti degli artisti - racconta la direttrice dell’IIC - perchè la gente non è più abituata ad ascoltare le emozioni. Inoltre la poesia è un linguaggio controcorrente che si scontra con la sovrabbondanza di parole ed informazioni che ci bombardano quotidianamente. Bisogna concentrarsi, sforzarsi di capire, interpretare ogni termine.
Dopo la proclamazione delle opere, il pubblico ha potuto confrontarsi con i poeti in un dialogo diretto.

domenica 11 luglio 2010

Trapianto di midollo osseo, l’Italia tende la mano al Venezuela

Tre nuovi ospedali italiani per curare gratuitamente i bambini venezolani che hanno bisogno di trapianto del midollo osseo. Questo il nucleo dell'accordo firmato martedì tra Pdvsa Salud, l'onlus Ftmo e Regioni italiane, a riprova di come la cooperazione tra Italia e Venezuela non si limiti solo a petrolio ed infrastrutture. Grazie a questa rete di cooperazione, già 120 giovani venezolani hanno potuto beneficiare di un'operazione di trapianto di midollo osseo in Italia totalmente gratuita. La collaborazione con le tre città si aggiunge a quella giá esistente con le regioni Toscana, Lazio e Umbria, che partecipano offrendo le proprie strutture ospedaliere e percorsi di formazione specifica ai medici venezolani. A breve parteciperanno anche 4 ospedali della regione Lombardia.

di Monica Vistali

CARACAS - Non solo petrolio ed infrastrutture. Italia e Venezuela collaborano anche nell’ambito della salute, con progetti contenuti ma efficaci, capaci di salvare le vite di molti bambini ed adolescenti. A confermarlo la firma di martedi negli spazi di Pdvsa Salud, con cui tre ospedali di Padova, Bologna e Genova sono entrati a far parte dell’accordo di cooperazione vigente tra la Fundación para el Trasplante de Médula Ósea di Maracaibo (Ftmo), Pdvsa Salud e Regioni italiane: un accordo grazie al quale già 120 giovani venezolani con patologie oncologiche e ematologiche hanno potuto beneficiare di un’operazione di trapianto di midollo osseo in Italia totalmente gratuita.
La collaborazione con le tre città si aggiunge a quella già esistente con le regioni Toscana, Lazio e Umbria (a breve si uniranno al progetto anche quattro cliniche della regione Lombardia) che partecipano offrendo le proprie strutture ospedaliere e percorsi di formazione specifica ai medici venezolani.
Presenti all’incontro il Primo Consigliere dell’Ambasciata d’Italia, Alberto Pieri, il presidente di Pdvsa Salud, Dott. Dario Merchán, la presidente della Ftmo, Mercedes Álvarez, con la direttrice generale della Fondazione, Enrica Giavatto, di origini siciliane, e la responsabile degli affari del Venezuela in Italia, Yvelise Martínez.
- Nell’ambito delle relazioni tra i due Paesi, dal protocollo d’intesa del 2006 all’accordo intergovernativo siglato dalla II Commissione mista, il tema della salute non è mai stato dimenticato - spiega alla Voce il Primo Consigliere Alberto Pieri - e come Ambasciata vogliamo istituzionalizzare e rafforzare ancora di piu la cooperazione in atto, sviluppando però le capacità del Venezuela nell’operare autonomamente, soprattutto nel settore pubblico. Al momento - prosegue - ci sono solo due ospedali nel Paese per il trapianto di midollo osseo, decisamente insufficienti rispetto alla domanda.
Le due strutture venezolane di cui parla il diplomatico, quella privata della capitale, l’Hospital de Clínicas e quella pubblica di Valencia, la Ciudad Hospitalaria Enrique Tejera (che ha chiuso il 2009 con 38 operazioni), operano solo trapianti di midollo a compatibilità familiare. Qui entra in gioco l’accordo. Leucemia, cancro, malformazioni congenite. La fondazione, una onlus a contatto con gli ospedali venezolani, viene a conoscenza dei casi più gravi, soprattutto bambini di estrazione umile che non hanno la possibilità di curarsi in Venezuela e cerca i donatori all’estero. Organizza il viaggio in Italia per il paziente e la famiglia e sopratutto pensa alla loro permanenza nel paese che, tra trattamenti vari ed operazione sfiora i due anni. Un programma che non comprende solo gli appuntamenti clinici ma anche quelli sociali: la scuola, i corsi d’italiano, qualche piccola gita nelle principali città d’Italia.
- Il bambino non deve ricordare l’Italia come una corsia d’ospedale - sottolinea la Dott.ssa Mercedes Alvarez, presidente della Fondazione.
Nel progetto, Pdvsa Salud contribuisce con 13-15 mila euro a paziente, al resto ci pensano le Regioni.
- Quello dei trapianti di midollo è un problema puntuale e ad alto costo - spiega il Dott. Dario Merchán, medico onncologo e Presidente di Pdvesa Salud -. Ogni anno nel Paese sorgono cento nuovi casi ma il Venezuela ancora non possiede il know how, la tecnologia e le infrastrutture necessari per curare questi malati mentre gli Stati Uniti, che potrebbero farlo, vedono questi bambini come merce e chiedono 750 mila dollari soltanto per l’operazione. Grazie a questo accordo con l’Italia - continua - Pdvsa contribuisce a risolvere i problemi del paese, mantenendo la sua promessa di investire i proventi del petrolio in altri settori, come quello primario della salute. Ma c’è ancora tanto da fare. Un bambino che non riesce a rientrare in questo progetto - decreta - è un bambino che muore.
L’idea su cui si fonda la cooperazione tra Italia e Venezuela, accanto all’operazione nella Penisola, è un progetto articolato di formazione, che standarizzi la diagnostica e il protocollo di cura attraverso corsi e seminari medico-scientifici. Già 35 medici venezolani sono stati invitati in Italia per specializzarsi, e 15 italiani hanno tenuto conferenze sul tema in Venezuela. L’Umbria è la regione piu impegnata su questo fronte, grazie anche al contributo del prof. Aversa e del prof. Martelli, unici esperti in Europa in trapianti con famigliari a bassa compatibilità.
- L’accordo con l’Italia e la Fondazione soddisfa il il nostro bisogno di formazione e preparazione accademica - afferma il Dott. Merchán - ma è importante che i medici poi restino ad operare nel settore pubblico. Purtroppo sono tanti i cervelli che fuggono all’estero o passano al privato, mettendo la loro vocazione medica al secondo posto rispetto al portafoglio.
Gli fa eco la Dott.ssa Mercedes Alvarez:
- L’idea che ‘privato è bello’ va combattuta facendo il nostro dovere come membri di una società che si definisce civile. Il sistema di salute pubblico in Venezuela è in pieno sviluppo e si sta facendo tanto. Al paziente oncologico, ad esempio, oggi è garantita l’attenzione primaria e la gratuità dei farmaci ad alto costo. Ma la strada è ancora lunga.
L’impegno del governo è un fattore primario per lo sviluppo del sistema salute. Quello che la Fondazione di Maracaibo è riuscita a fare negli otto anni tra il 1997 e il 2005 con il settore privato, curare 31 bambini, lo ha superato in meno di due anni (2006 - 2008) con il contributo del governo, riuscendo a soddisfare le necessità di quasi 50 minori. Come ha detto alla Voce la Dott.ssa Alvarez, riprendendo le parole del Presidente Chavez, “i finanziamenti e la cooperazione non devono essere necessariamente visti da un punto di vista monetario: le possibilità di formazione offertaci dall’Italia sono un esempio perfetto di aiuto e investimento per il futuro”.
Sottolinea il primo Consigliere Alberto Pieri:
- L’accordo relativo ai trapianti di midollo è un progetto piccolo ma importantissimo, esperienza pilota per le future possibilità di cooperazione al di fuori del settore petrolifero.
L’Italia sostiene anche il progetto umanitario dell’Unione Europea, inaugurato nel 2002, che destina fondi robusti all’ospitalizzazione e alla cura di cittadini stranieri non appartenenti all’Ue.