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lunedì 18 aprile 2011

Con l'italiano Delli, in scena la pazzia


di Monica Vistali

CARACAS - Venerdì sera la pazzia è andata in scena. L’opera “Geranio” è stata infatti sul palcoscenico del teatro Premium del Centro commerciale Los Naranjos di Caracas, per raccontare ancora una volta le peripezie di un uomo, Gerani, interpretato da Nacho Huet, caduto per errore in un manicomio. Sul palco anche Antonio Delli, attore venezuelano di origine italiana che in questa piece interpreta Nicolás, un ‘bambino grande’ con fantasie platoniche sulla sorella, un’artista famosa che gli fa visita in borghese perchè il pubblico non sappia che custodisce un fratello in un centro di salute mentale.
I personaggi - con il protagonista e Nicolás anche Guy, dagli stratti rapporti con Pitagora e Shakespeare, e Guillermo, uno schizofrenico che si crede Alessandro Magno - sono rinchiusi nel significativo T.E.A.T.R.O (Terapia Experimental para Adultos Radioquinésicos Ocasionales) dove, ammette uno, “si è veramente liberi”. Ma Geranio trascorre il tempo ad inventare sempre nuove prove perché infermieri e viglianti si rendano conto che pazzi sono gli altri, non lui.
Antonio Delli è attore di cinema e televisione. Oltre a telenovelas e numerosi cortometraggi, è apparso nelle pellicole “Anonymous”, “Real Madrid”, “Miranda” e “Una abuela virgen”. Si è laureato in ‘Comunicacion Social’ presso la Ucv di Caracas ed è speaker per i canali History Channel, Sun Channel, Vale Tv. Nonostante svolga svariate attività, l’amore per il teatro non lo ha mai abbandonato: Ha recitato sui palcoscenici di “Ciertas Condiciones Aplican”, “La morte e la fanciulla”, “Sogno di una notte di mezza estate” e sogna i teatri d’Europa. I suoi maestri di recitazione sono Cosme Cortazar, Jack Lemmon, Robert De Niro e John Malcovich.
Anche se è nato a Caracas, Delli conserva l’amore per il Belpaese, da dove provengono i suoi genitori. È grande tifoso del calcio italiano e della pasta alla bolognese.
La piece “Geranio”, scritta da Xiomara Moreno e portata in scena per la prima volta nel 1989, è diretta da Javier Vidal. Nel 2000 è apparsa tra le opere della Bibliografia essenziale del ‘Teatro Hispanoamericano Contemporaneo’ e nel 2002 è stata tradotta in italiano dal drammaturgo catanese Francesco Randazzo.
In scena venerdì e sabato alle 20, la domenica alle 18.

La serigrafía di un italiano accompagna Sartre al Celarg


 di Monica Vistali

CARACAS - Il docente di lingua italiana Fabio Avolio sta accompagnando le rappresentazioni di “A puerta cerrada” di  Jean-Paul Sartre, in scena al Celarg sotto la direzione di  Jonathan Ochoa, con una piccola esposizione di serigrafia, una tecnica di stampa artigianale impiegata in questo caso per l’impressione di scritte e disegni su tessuti.
Prima e dopo lo spettacolo – fino al 30 aprile tutti i giovedì, venerdì e sabato alle 20, la domenica alle 19 – all’entrata dalla Sala 2 del Celarg si possono osservare ed acquistare magliette colorate sulle quali sono stampate artigianalmente con la tecnica serigrafica diverse immagini, tra cui una caricatura de filosofo esistenzialista Sartre e un disegno relativo all’opera teatrale.
La serigrafia è un particolare processo artistico che consente di stampare immagini o altri elementi grafici su diverse tipologie di materiali mediante l’uso di un telaio sul quale viene inciso il disegno e poi passato il colore, in modo che questo penetri attraverso le maglie del telaio e si depositi sul supporto. Le prime opere serigrafate di Avolio sono le magliette che sponsorizzano la piattaforma Mediterraneo-Venezuela (http://mediterraneovenezuela.blogspot.com/).
- Sono stato molto colpito da quanto in Venezuela si utilizzino le magliette serigrafate per diffondere slogan e messaggi politici, culturali. Insomma, per fare comunicazione - ci spiega Avolio -. Per questo ho deciso di avvicinarmi a quest’arte, provare a personalizzare i miei messaggi. In un primo momento sono stato guidato da un amico venezolano, poi ho proseguito da autodidatta. Fermo restando il confronto continuo con i tanti artigiani che studiano serigrafia.
Avolio ha seguito sin dall’inizio e da vicino la costruzione dell’opera teatrale, presentata da Teatro Caracas, ed è menzionato tra i ringraziamenti nel volantino confezionato da Estudio Piso11. Assiste ad ogni rappresentazione, anche con il fine di “verificare alcuni postulati della mia tesi di laurea sull’estetica di Adolfo Sánchez Vázquez”, per l’Università L’Orientale di Napoli.
- Ogni funzione ha una sua originalità. Vivo l’opera in modo vibrante, soprattutto alcune parti dei monologhi, come quando il personaggio di Inés Serrano grida: “Io sono la moltitudine che ti grida ‘Codardo’!”
“A puerta cerrada”, dramma messo in scena per la prima volta nel 1944, è la fonte di quella che è forse la più famosa frase di Sartre: “L’inferno sono gli altri”. Per interpretare i tre protagonisti - Garcin e le due donne, Inès e Estelle - Achoa ha scelto giovani promesse del teatro venezolano: José Ignacio Pulido, Capriela Carlino, Dielis Silva, sul palco con Jonathan Montenegro, il valletto, e  Ediluz Peña, la statua dorata.
Nell’opera sartriana Josè, Estella e Inès si ritrovano nell’inferno: un luogo misterioso senza finestre e senza specchi, che vivono oppressi dai sensi di colpa, dall’angoscia della propria esistenza, impietosamente esposta allo sguardo degli altri. Sono tutti reciprocamente giudici e imputati, che si portano appresso la memoria della vita appena lasciata. Si aspettano di essere torturati, fino a capire di essere lì per torturarsi a vicenda. Nell’adamento di Achoa, sul palcoscenico ci sono anche due televisioni non funzionanti.
     

Casa d’Italia di Maracaibo, Lombardi è il nuovo presidente

di Monica Vistali

CARACAS - La casa d’Italia di Maracaibo ha un nuovo presidente. Si tratta di Francisco Lombardi, connazionale di origine campana che ha vinto su Carlos Alaimo con 367 voti su 360.  Lombardi, 42 anni, presiederà la giunta direttiva per il periodo 2011 – 2013.
Il nuovo presidente da anni è figura nota della collettività italiana. Oltre a partecipare alle attività di Faiv e Fedeciv, è stato collaboratore e segretario nelle giunte direttive guidate dai vecchi presidenti, Cono Siervo e Cesare Mazocca. In un primo momento, in quanto ingegnere elettrico, si occupava del mantenimento del sistema elettronico.
Raggiunto telefonicamente dalla Voce, Lombardi ci tiene a sottolineare l’apatia generalizzata di cui sembrano vittime tutti i club italiani.
- Non ci interessano i riconoscimenti - afferma il neopresidente - quello che vogliamo è lavorare per la collettività. Ognuno di noi deve contribuire con il suo granello di sabbia, a prescindere dalla giunta che presiede il gruppo in un determinato momento. Come ho detto prima delle votazioni, se non fossi risultato vincitore sarei stato comunque tra i principali collaboratori della giunta ‘avversaria’.  
Commentando la nomina di Lombardi, l’ex presidente della Casa d’Italia Cono Siervo afferma:
- Sono davvero felice che abbia vinto lui perchè è un gran lavoratore ed ha tutte le carte in regola per stare di fronte alla collettività. Sono convinto che sarà un buon presidente e che avrà l’appoggio di tutti quelli che lo hanno preceduto.
Per quanto riguarda il programma, Siervo specifica:
- Certamente tra i compiti che dovrà affrontare come nuovo presidente ci sono la ristrutturazione del settore sport, dobbiamo potenziare la pratica del nostro calcio italiano, e il miglioramento della ristorazione all’interno della Casa d’Italia, cercando di offrire un menù mediterraneo più ricco di cucina tipica italiana. Infine, non dovrà abbassare la guardia sulla tutela della nostra tradizione e dei nostri costumi, che rischiano di essere dimenticati.
                          

Funzionario itinerante per il rinnovo del passaporto

di Monica Vistali

CARACAS – I funzionari del Consolato d’Italia a Caracas continuano il viaggio di servizio che sta facendo tappa in diverse città del Venezuela, per la raccolta delle impronte digitali dei cittadini italiani che intendono rinnovare il proprio passaporto. Ancora in calendario, oltre al Centro Italiano Venezolano di Caracas, le città di Puerto Cabello, Porlamar, Acarigua, Valencia, Puerto La Cruz, Ciudad Bolivar, Puerto Ordaz e Barquisimeto. Il Consolato invita gli interessati a prendere contatto fin da subito coi rispettivi Vice Consoli, Agenti Consolari e Corrispondenti Consolari per poter partecipare all’iniziativa.
In viaggio per Maturin, con il funzionario dell’Ufficio Passaporti c'era anche la nuova Console di Caracas, Jessica Cupellini, che ha incontrato i membri del Comites di Puerto Ordaz e decorato Cavaliere della Repubblica italiana il nostro connazionale Armando Urbani, un Generale dei Vigili del fuoco residente da anni a Maturin.
Per facilitare ai connazionali l’iter procedurale per il nuovo passaporto biometrico, l’Ufficio passaporti della sede consolare di Caracas resta aperto dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 12, incluso il mercoledì, giorno di tradizionale chiusura al pubblico.
Il nuovo passaporto elettronico possiede un microchip con una memoria in grado di contenere i dati biometrici del titolare, le foto e le impronte digitali. Contiene inoltre la digitalizzazione della firma del proprietario che eviterà, in caso di smarrimento o di furto, ogni modifica non autorizzata. Per il rilascio del documento è obbligatoria l’acquisizione delle impronte digitali (dito medio di ciascuna mano), al momento della presentazione della richiesta. Il richiedente deve inoltre depositare la propria firma sull’apposito cartellino in quanto la stessa viene automaticamente digitalizzata sul passaporto. I vecchi passaporti continueranno comunque ad essere validi sino alla scadenza naturale e non dovranno essere restituiti.                            

Questo il calendario:
PUERTO CABELLO - 27 aprile
PORLAMAR - 07 maggio
ACARIGUA - 11 maggio
CIV CARACAS  - 13 maggio (pomeriggio)
PUERTO LA CRUZ -18 maggio
VALENCIA - 25 maggio
CIUDAD BOLIVAR - 08 giugno
PURTO ORDAZ - 09 giugno
BARQUISIMETO - 15 giugno

La storia d’Italia vista dai banchi di scuola

di Monica Vistali 
Alla Codazzi la mostra organizzata dall’Istituto italiano di Cultura e curata da Gianni Oliva racconta il ruolo della scuola nella transizione dalla frammentazione dei comuni all’identità nazionale.

CARACAS - La storia dell’Italia dalla frammentazione comunale all’unità nazionale vista attraverso la speciale lente dei banchi di scuola. Questa la chiave di lettura scelta dall’Istituto Italiano di Cultura per la mostra “Essere italiani” inaugurata il 7 aprile negli spazi della scuola italiana ‘Colegio Agustin Codazzi’ di Caracas. La mostra, organizzata in occasione dei 150 anni dell’Italia unita, è curata dall’IIC in collaborazione con lo storico, politico e giornalista piemontese Gianni Oliva nella veste di curatore. Resterà allestita nell’Istituto fino al 21 aprile; a giugno arriverà presso la ‘Scuola Antonio Rosmini’ di Maracaibo.
“Essere Italiani: la scuola elementare e la costruzione dell’identità nazionale 1861-1914”, questo il nome dell’esposizione, si compone di 16 pannelli con documenti e fotografie d’epoca. Si evince il ruolo della scuola nella delicata e progressiva transizione della società italiana dalla diseguaglianza e dall’analfabetismo, all’integrazione degli italiani, alla costruzione della coscienza e all’identità nazionali. “Il cammino dall’Italia frammentata dei Comuni, cui era affidata l’educazione dei giovani, sino alla Legge Coppino e oltre - spiega la Direttrice dell’IIC, Luigina Peddi -, il passaggio da una società diseguale per provenienza, cultura ed educazione, all’integrazione degli italiani, ad un’Italia unita nella diversità, che fa di ogni originalità territoriale un prezioso apporto”.
La Legge Coppino, emanata nel 1877 durante il governo della Sinistra storica capitanato da Depretis, rendeva gratuita l’istruzione elementare e introduceva le sanzioni per chi disattendeva l’obbligo previsto. La legge servì a formare i nuovi cittadini: oltre ad imparare a leggere, a scrivere ed a far di conto, agli alunni veniva insegnata educazione civica in modo da introdurre i giovani nella nuova società. Ma sulla base di quali valori? “Bisognava formare il nuovo cittadino nazionale - risponde Peddi - e quindi si premette sul rispetto dell’autorità, dai genitori alla Chiesa, alla Patria”.
Una mostra per raccontare l’evoluzione dei valori e dei modi di pensare dall’unità d’Italia ai giorni nostri, il rafforzamento del senso d’appertenenza alla nazione in persone abituate a storie, culture e linguaggi differenti. “Siamo passati dal traduttore simultaneo nell’esercito italiano, necessario per comunicare con soldati dal dialetto diverso, ad una scuola veramente nazionale, centro propulsore della formazione permanente - dichiara la Direttrice dell’IIC -. Una scuola che rende consapevole il cittadino del proprio ruolo nella società, della sua capacità di contribuire al progresso della nazione”. Ma “oggi la scuola è solo uno strumento - evidenzia Peddi -, fornisce i mezzi per navigare ed imparare nel mare dell’informazione globale. Ognuno ha il dovere di autoformarsi”.

Fateci odiare Chávez (ma a carte scoperte)


di Monica Vistali

Come scriveva Eduardo Galeano: il mondo alla rovescia.


Aprite Google.news Italia e immettete le parole 'Chávez' e 'silicone': da Vanity Fair al Corriere della Sera, troverete ben ventitré notizie che vi racconteranno l'ultima “crociata bolivariana” lanciata dal presidente venezuelano. Sì, perché la guerra di Chávez alla chirurgia estetica - tanto osannata dalle minorenni ma così “poco socialista” - sembra per i media una notizia da prima pagina, tanto che anche Studio Aperto all'inizio del mese scorso ha dedicato al tema un lungo servizio nel notiziario del primo pomeriggio (sic!), sottolineando come per il presidente venezuelano la fame e la miseria siano ormai problemi di secondo grado.
Ebbene, ognuno può dire la sua sulla rilevanza del silicone nell'agenda dei media globali e sul fatto che persino il New York Times si occupi delle opinioni del Comandante sul tema. Curioso però come bisturi e impianti abbiano soppiantato altre dichiarazioni, ben più importanti, del presidente criollo.
Tornate su Google.news. Cercate notizie relative alla proposta di mediazione diplomatica offerta da Chávez per risolvere la crisi libica. Troverete solo cinque risultati. Cinque contro ventitré. Certo l'utilizzo della chirurgia plastica in Venezuela è un grave problema... ma l'idea di una commissione umanitaria internazionale con latinoamericani, europei e mediorientali - per tentare una mediazione tra le parti e salvaguardare l'integrità della Libia - forse non avrebbe dovuto meritare una microscopica nota a piè di pagina. Che questa invisibilità sia colpa della scarsa credibilità internazionale di cui gode il capo di Stato? C'è da scommetterci. Come si può dare ascolto ad un presidente che inneggia al raìs libico su Twitter? Sì, perché quando Chàvez affidò agli ormai noti 140 caratteri il suo primo commento sul caso Libia scrivendo “Viva la Libia e la sua indipendenza”, alcuni media italiani hanno ben pensato di riassumere il tutto in uno sbrigativo “Viva Gheddafi”. Basta aprire le pagine del Corriere, che parla di “solidarietà tra dittatori” e dichiara che “Hugo Chávez non ha esitato (in realtà ha aspettato del tempo per esprimere una sua opinione, nda) per esprimere un suo significativo Viva Gheddafi” o cliccare sul TgCom, che per lo meno limita sunti devianti alla titolazione.
Il Venezuela non è il paese dei balocchi e il Comandante non è un moderno Robin Hood. Le critiche sono libere ed auspicabili, quando costruttive. Ma si dovrebbe prestare attenzione, parafrasando Dario Azzelin, a non distorsionare la realtà in modo propagandistico, facendo sopravvivere oltremare solo le notizie che liquidano Chávez come l'ultimo dei caudillos latinoamericani. Perchè, tra una critica e l’altra, non si dà merito al governo venezuelano per i buoni risultati conseguiti, insieme al Brasile, rispetto agli Obiettivi del Millennio stabiliti dall'Onu? Secondo l’Istituto nazionale di Statistica, per esempio, la povertà estrema è crollata dal 17,1 al 7,9 per cento dal 1998 al 2007 e il coefficente Gini, che misura la disuguaglianza sociale, è il più basso dell’America latina. Se si è tanto parlato e scritto del referendum sulla rielezione indefinita delle cariche elettive, poco ci si è sforzati di vedere in esso qualcosa di diverso da un tentativo “castrista” di dominio infinito (“Il Venezuela vota su Chávez dittatore a vita”, Il Giornale). Perché non si è fatto cenno al fatto che anche in Italia esiste la possibilità di ri e ricandidarsi, che è stato questo governo a dare al Venezuela il suo primo referendum (esiste qualcosa di più democratico?) o che Chávez è stato l'unico presidente al mondo a sottoporre la sua carica al voto popolare a metà mandato? Ed infine, perché non si è detto che questa legge vale anche per l'opposizione? Esiste per Chávez la possibilità di vedersi governato per anni addirittura da un politico di Acción Democrática!
Non c'è da stupirsi se in Italia Chávez è un personaggio tanto controverso. Quanto siamo liberi di avere delle opinioni veramente nostre, se le basi su cui queste poggiano sono così parziali? Fatelo odiare, questo “caudillo”, da chi lo vuole odiare. Ma con tutte le carte in tavola.

mercoledì 13 aprile 2011

Quei lontani giorni d’aprile...

Chi a Canal8, chi per strada, chi a discutere alla Casa d’Italia. Ecco come gli italiani hanno vissuto il colpo di stato che nel 2002 scalzò Hugo Chávez


Di Monica Vistali
CARACAS – “Quel giorno, mentre i golpisti s’impossessavano di Miraflores, io stavo tornando a casa, a Caracas, da Puerto La Cruz. L’autostrada era deserta, si capiva che stava succedendo qualcosa. Le radio dicevano che Chávez si era dimesso perchè c’erano stati morti e feriti. Io ho creduto a quello che sentivo, alla versione ufficiale. Guidavo pensando che i chavisti erano stati dei selvaggi, che non si meritavano il presidente che avevano. Poi, a casa, ho iniziato a sentire il rumore assordante dei clacson. L’opposizione sta festeggiando, mi sono detto. Mi sono affacciato alla finestra e ho visto centinaia di motociclette ed automobili scendere da Petare. Sono pazzi! Si vogliono far trucidare! ho pensato. Credevo fossero loro i colpevoli… invece stavano solo reclamando il loro presidente”. A parlare è Mario Neri, del Circolo Gramsci di Caracas. Parla da un cellulare, è per strada nel bel mezzo della marcia in ricordo del colpo di stato che nel 2002 strappò il democraticamente eletto Hugo Chávez dalla poltrona presidenziale. “Qui è bellissimo - ci dice - piove, siamo tutti bagnati, ma c’è tanta energia e una gioventù incredibile!”.
Nei giorni del golpe, ad accompagnare Neri c’era l’amico Antonio Mobilia. Anche lui, ci racconta, aveva creduto ai media che accusavano Chávez della strage a Puente Llaguno. “Sono stati momenti terribili. Ho aperto il negozio come tutti i giorni, ma con una grande amarezza nel cuore. Ero deluso. Non potevo credere che il popolo venezuelano si fosse dimostrato così ignorante, che avesse voltato le spalle all’uomo che aveva rotto quella palla di cristallo che erano gli ‘adecos’ e i ’copeyanos’. Non potevo accettarlo ma ci credevo, perchè ero un automa, ero vittima della manipolazione mediatica che era stata orchestrata. Poi ho parlato con la gente per strada, sono trasparite alcune notizie. E allora ho capito...”.
Mobilia e Neri ci dicono che, resisi conto della realtà che il Paese stava vivendo, si attivano immediatamente. Scrivono più volte ai giornali italiani, per far conoscere la situazione, per lasciare la loro testimonianza, ma nel Belpaese “nessuno si distoglie dalla versione ufficiale” dei golpisti. Si recano quindi alla sede di Canal8, manifestando con altri per la sua riapertura. “Eravamo in mezzo alla strada - racconta Mobilia - a gestire il traffico, ad indicare alla gente che arrivava da ogni parte di Caracas dov’era il canale! Era un vero tripudio di persone, moto, automobili. Tutti chiedevano una sola cosa: il Capo di stato per cui avevano votato, la democrazia”.
Mentre Mobilia e Neri lottavano per Canal8, un altro connazionale, Alfredo Amoroso, andava al lavoro a Charallave. “È stato uno schifo. Sono arrivato imbottito di notizie false, manipolate, ma poi ho visto con i miei occhi quello che stavano facendo i golpisti: hanno preso di mira i vertici del Comune, che era filogovernativo. Li hanno malmenati tutti. Hanno usato la violenza: era una vera guerra. La gente per strada urlava, voleva il ritorno di Chávez, ma la tv mostrava solo comiquitas, ondeggiava tra network fasulli e cartoni animati. È terribile quanto i media ci abbiano mentito! Oggi - conclude - c’è chi ancora parla dell’11A come di un ‘vuoto di potere’: beh, è pazzesco”.
Non tutti gli italiani durante i giorni del golpe erano per strada a reclamare il Presidente. Rosa Ruggero, ad esempio, il 13 aprile era rinchiusa con alcuni colleghi in un ufficio a Las Mercedes. Il gruppo si era barricato fino a tarda notte per questioni di sicurezza. “Nei giorni precedenti mi telefonavano dall’Italia chiedendomi cosa stesse succedendo. A me sembrava che semplicemente stesse finendo l’epoca Chávez. Era finalmente arrivato il momento! Già il 12 vedevi un cambiamento nei volti della gente, scorgevi un sorriso, come se ci fossimo liberati di un peso!”. La notte del 13, mentre Chávez tornava dove il popolo lo aveva voluto, Ruggero tornava a casa “piena di delusione e tristezza”. “Io non considero che sia stato un colpo di stato - afferma -. Hanno semplicemente approfittato per avere quello che volevano. Ma non ci sono riusciti perchè sono stati ingenui: dovevano esserci il coprifuoco, i militari per strada...”. E le vittime civili? “Tutta una messa in scena del governo, che oggi può fare la vittima”.
Ruggeri è al lavoro, a Plaza Venezuela. Dall’alto dell’ufficio vede i manifestanti per strada. “Li vedo - ci dice - tutti rossi, sotto la pioggia. Si capisce che vorrebbero tornare indietro ma non possono, li obbligano a marciare”. Non capisce il senso della commemorazione. “Quello che è stato fatto è stato fatto. Basta, ora andiamo avanti”.
Se dalla Capitale le vicissitudini della Storia sembrano e sono più vicine, nelle altre città del Paese la prospettiva cambia radicalmente. Così per Mariano Palazzo, di Maracay. “Ricordo una iniziale situazione di normalità apparente. La Casa d’Italia era aperta, la gente sorseggiava il caffè al bar mentre arrivavano le telefonate dall’estero, dall’Italia. Gente che chiedeva cosa stesse succedendo, se eravamo al sicuro...”. Solo il terzo giorno, racconta Palazzo, “la città era tesa, le notizie arrivavano per telefono, la gente si era mobilitata ed era scesa per le strade”. Intanto, all’interno del club i nostri connazionali discutevano animatamente sulla necessità del colpo di stato. “La comunità era polarizzata. Alcuni tifavano per il presidente, altri pregavano perchè non ritornasse più. Anche tra l’opposizione stessa si era creata divisione. Alcuni criticavano la forma con cui si erano srotolati gli eventi, altri vedevano il golpe come una cosa necessaria”.
Anche Johnny Margiotta, di Maracaibo, ha vissuto quei giorni da lontano. “Ero in Venezuela da soli tre anni - racconta -. Per me i colpi di stato erano qualcosa che si trovava solo sui libri, nei film. Quindi ho seguito gli eventi del 2002 con curiosità, meraviglia, come qualcosa di veramente affascinante. Stavo vivendo la storia”. Oggi, Margiotta vede nel golpe de Abril un grande momento di cambiamento. “Da quel momento in poi Chávez si copre molto le spalle ma non credo che in Venezuela un evento simile possa ripetersi. La gente studia, si è ‘civilizzata’ e non è più d’accordo con questo tipo di azioni violente. Se qualcuno volesse tentare un altro 11A non avrebbe seguito tra la popolazione perchè ora c’è la coscienza della vita”.
L’avvocato Tina Di Battista, interrogata sugli eventi di aprile, ricorda la marcia dell’opposizione che ha dato il via alla tragedia di Puente Llaguno. “La marcia che ci fu quel giorno fu espressione di civiltà e patriottismo. Mi sento orgogliosa di quello che abbiamo dimostrato con quella manifestazione pacifica, ordinata e democratica. Purtroppo, gli eventi successivi si sono tinti dei colori dei partiti e sono caduti nella voracità di appettiti e interessi lontani dai sentimenti e dalle necessità vere del paese. Lo condanno e come professionista del diritto non mi è stato difficile pronosticare molte conseguenze nefaste che oggi ci tocca vivere”.