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martedì 26 luglio 2011

Maracaibo, agosto con il cinema italiano

Presto al via la II edizione del Festival di Cinema italiano. Un mix di generi per portare sugli schermi di Maracaibo la contraddittoria realtà italiana: dalle leggi razziali all’immigrazione moderna, dalla apertura dei manicomi alla follia dell’adolescenza, dall’utopia comunista alla tragedia delle morti bianche

di Monica Vistali

Il II Festival di Cinema Italiano che si trasferisce in agosto a Maracaibo porta con sé tutto il divertimento intelligente che aveva caratterizzato l’edizione capitolina.
La kermesse, nel Teatro Bellas Artes della capitale zuliana, inizierà l’8 agosto e si concluderà il 14 dello stesso mese. Organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura (IIC) in collaborazione con Ambasciata e Consolato Generale d’Italia, il Festival è un appuntamento fisso nell’agenda annuale delle manifestazioni dedicate all’Italia.
Come già sottolineato in occasione dell’edizione di Caracas - un successo serata dopo serata nella Sala Plus 2 del Cine Paseo del Transocho Cultural - il Festival di Cinema Italiano di quest’anno lascia in soffitta il neorealismo e le pellicole in bianco e nero, la magia della Loren e la poesia di Fellini, per portare sullo schermo lungometraggi moderni (il più vecchio è del 2005) diretti dalle nuove promesse della Settima Arte nostrana.
Generi diversi, dal dramma alla commedia al noir, che però ispirano il pensiero, la riflessione su temi di viva attualità: le morti sul lavoro, l’omosessualità, il razzismo, l’immigrazione, il precariato, i pericolo dell’adolescenza, la disillusione politica, il rapporto tra sanità e follia.

Diversi?
Protagonista di “Diverso da chi?”, che verrà proiettato lunedì 8 agosto alle ore 19.30, è il gay 35enne Piero. Per testimoniare il “diritto alla diversità” partecipa alle primarie del centro-sinistra. Le vince, si ritrova candidato sindaco, tra i pregiudizi degli avversari e lo sgomento del partito. Come può un gay diventare sindaco nel “profondo nord”? Gli affiancano Adele, tradizionalista conosciuta come “la furia centrista”. Piero inizia a corteggiarla politicamente ma la situazione gli sfugge di mano: il “gay duro e puro” e la “moderata di ferro” precipitano in una relazione che va contro i loro valori, identità, linea politica.
Piero, sceso in campo per difendere il diritto alla libertà sessuale, ora vive di nascosto una storia proibita con una donna. Lui, che della sua “diversità” aveva fatto un cavallo di battaglia dovrà affrontare la situazione di uomo “due volte diverso” fino a chiedersi: ma diverso da chi?

Il razzismo
Martedì 9 agosto (ore 19.30) in scena “Hotel Meina”, di Carlo Lizzani, che racconta il massacro di 16 ebrei italiani in quella che è stata una lussuosa gabbia di paura e dolore: l’Hotel Meina. Uno scorcio di storia italiana - i prigionieri sono assassinati ed abbandonati nel Lago Maggiore - per far capire ai più giovani il dramma delle leggi razziali.

Tra i libri e il pallone
Mercoledì 10 il noto sequel (in realtà il regista Fausto Brizzi lo chiama ‘newquel’) “La notte prima degli esami, oggi”. A differenza di “Notte prima degli esami”, dove si raccontavano le vicende dei ragazzi nell’89, il film è ambientato nel 2006, con la corsa della Nazionale di calcio italiana alla vittoria dei Mondiali, e racconta le vicende di Luca, preso tra l’amore per un’addestratrice di delfini e l’immaturità del padre, il tutto alla soglia della maturità.

Vertigine adolescente
Giovedì 11 (ore 19.30) bad girls in scena con “Un gioco da ragazze” di Matteo Rovere. Protagoniste un gruppo di figlie viziate di ricchi imprenditori, studenti in un prestigioso liceo privato. Inneggiano a Kate Moss e Paris Hilton, si atteggiano con pose spregiudicate sotto le strobo e l’effetto di ecstasy, cannabis e coca. Tutto finché non arriva un professore idealista deciso ad aprire le menti ai suoi alunni con le letture di Roth e Salinger. La leader del gruppo decide di coinvolgere l’insegnante in un gioco pericoloso…

Cooperative post-Basaglia
Prima della legge 180/78, detta anche ‘legge Basaglia’, i manicomi erano spazi di contenimento dove venivano utilizzati metodi di ogni tipo, dall’elettroshock alla malarioterapia. Il film “Si può fare”, di Giulio Manfredonia - proiezione fissata per il 12 agosto (ore 18.30) - si colloca proprio negli anni in cui venivano chiusi i primi ospedali psichiatrici e s’incarica di raccontare un mondo che il cinema frequenta raramente, non tanto quello trito della follia ma quello dei confini allargati in una società impreparata ad accoglierne gli adepti. “Si può fare” è un film ispirato alle storie vere delle cooperative sociali nate degli anni ‘80 per dare lavoro ai pazienti dimessi dai manicomi dopo la Legge 180.

Vite meccaniche

“Provincia meccanica”, opera prima del documentarista Stefano Mordini in scena anche questo il 12 ma alle ore 20.30, racconta la storia di una famiglia anomala della provincia di Ravenna. Marco è un operaio che cerca di mantenere moglie e figli con i turni di notte, Silvia si occupa dei figli a modo suo, lasciandoli crescere liberamente insieme a cane e iguana. In casa regna il caos: uno stile di vita interrotto bruscamente dalle regole della società civile quando una figlia viene portata via dall’assistente sociale.

Il sogno russo

Sabato 13 (ore 18) verrà proiettato “Cosmonauta”, film d’esordio di Susanna Nicchiarelli. Ambientato tra il 1957 e il 1963, racconta la storia di una bambina comunista convinta come tanti che la rivoluzione sovieticapossa trionfare dovunque e che anche lei un giorno cambierà il mondo. Il film è giocato sul parallelismo tra l’utopia di una nuova società e il sogno dello spazio visto con l’occhio della protagonista. Tutto per raccontare la divergenza italiana, ma non solo, tra la visione innocente ed ingenua di chi crebbe con il mito della grande Russia (il giornale L’Unità titolò: ‘La tecnologia socialista sfida la forza di gravità’ per annunciare il lancio dello Sputnik) e l’occhio disincantato di oggi.

Frammenti noir
Un’autostrada. Un ladro d’auto ipocondriaco, un chirurgo ambiguo, una telefonista maliziosa e sprovveduta. Una valigia di strumenti chirurgici antichi e gallerie. Questi gli elementi che si mescolano nel film “La velocità della luce” (sabato 13 alle ore 20), un noir velato di humor freddo, dove i protagonisti sono artefici del loro destino, inseguiti dai propri fantasmi. Tutti si infilano in un tunnel senza uscita, disegnando un triangolo ambiguo, tra innocenza e erotismo, che li risucchierà in una trappola mortale.

Morti bianche
“Apnea” - proiettato domenica 14 alle ore 18 - è l’esordio alla fiction del documentarista Roberto Dordit. Siamo nella ricca provincia del Nord Est, belle case costruite con i soldi. Una mattina, nel parcheggio di un pronto soccorso, Franz viene trovato morto in auto. Paolo scoprirà che l’amico non era la persona che credeva, scoprirà lo spietato mondo delle concerie, dei frequenti incidenti che vi accadono. Sono luoghi pericolosi: le vasche dove la pelle subisce i trattamenti per la colorazione contengono gas pericolosi e la loro pulizia è rischiosa perchè da svolgersi in completa apnea. Se si respira quell’aria si muore, intossicati in pochi minuti.
In Italia la questione delle morti bianche registra cifre preoccupanti, le istituzioni sono incapaci di rimediare. Spesso le vittime sono stranieri che lavorano silenziosi, disposti a sopportare ogni umiliazione per di ottenere pochi soldi. Fanno i lavori che oggi nessuno più vorrebbe fare: lo sfruttamento della manodopera a basso costo, al di là della legge e d’ogni principio di sicurezza è la chiave attorno a cui è costruito il freddo giallo sociale di Dordit.

Rumeni e precari

Carmine Amoroso, nel film “Cover Boy. L’ultima rivoluzione” in scena domenica 14 alle ore 20, riesce a raccontare con sensibilità il rapporto tra due uomini dalla vita precaria riuscendo a farci percepire l’incontro tra due modi di affrontare la vita senza cadere nella facile sociologia. E collocando la vicenda al Mandrione (di pasoliniana e rosselliniana memoria) ci mostra uno spazio periferico in cui sorgono baracche e edifici abusivi, oggi meta di molti extracomunitari.
Protagonisti del film un rumeno, un italiano e l’incontro tra due mondi: lo sforzo di un giovane figlio della rivoluzione post-comunista che lascia la patria in cerca di un futuro migliore, e le difficoltà di chi vive la crisi del lavoro in Occidente.

Chávez ritrova il suo popolo

A poche ore dal suo ritorno nel Paese, il venezuelano Hugo Chávez ha parlato dal balcone presidenziale davanti ad una folla immensa arrivata per festeggiare il suo ritorno


di Monica Vistali

CARACAS (4/7/2011) – "Viva Venezuela! Viva la Rivoluzione bolivariana! Viva il popolo venezuelano! Viva l’unione dell’America latina, i popoli dell’America latina e del Caribe, Fidel, Cuba e la vita. Viva Chávez!”. Con queste parole e con la vivacità di sempre il presidente venezuelano Hugo Chávez, sorridente e in tenuta militare, ha aperto il breve discorso che, a poche ore dal suo ritorno in Venezuela dopo il lungo mese trascorso a Cuba, ha riunito migliaia di suoi simpatizzanti sotto il ‘Balcon del pueblo’ del palazzo presidenziale Miraflores.
L’immensa folla di affezionati - che proprio negli spazi circostanti la sede del governo ha concluso una lunga marcia organizzata per festeggiare il ritorno del Comandante - si perdeva a vista d’occhio. Magliette rosse spuntavano appollaiate sugli alberi, sui pali della luce, sui chioschi di giornali; c’era chi sventolava bandiere e striscioni in solidarietà con il Presidente, più volte interrotto dagli slogan e dagli inni che sgorgavano dal pubblico in delirio. “Uh, Ah, Chávez no se va” urlava la folla rossa. E ancora: “È tornato! È tornato! Grazie Fidel per esserti occupato di lui!”.
- L’amore è il miglio rimedio per ogni malattia - ha detto Chávez - grazie per avermi fatto arrivare i vostri messaggi di solidarietà, non solo dal Venezuela ma da ogni parte del mondo.
Per iniziare il suo discorso, preceduto dall’inno nazionale che lui stesso ha intonato, il presidente non ha aspettato che si risolvessero i problemi tecnici che hanno minacciato il sistema audio. “Non devo stare qui molto tempo, voi lo sapete” si è giustificato riferendosi al suo stato di salute, per poi rassicurare il suo popolo con un confortante “lo supereremo” che ha ripetuto più volte.
Il capo di Stato non ha fatto distinzioni ed ha ringraziato indifferentemente “Dio, i santi, gli spiriti della savana, la magia del popolo, i medici e la scienza medica” per aver superato l’operazione chirurgica contro il cancro cui è stato sottoposto a L’Avana. Ha poi ringraziato “la vita e Fidel Castro”, ma soprattutto “questa grande volontà, questa grande passione che ho nel petto e nel cuore”.

- Io, figlio di questo popolo, non potevo mancare alla festa bicentenaria - ha detto poi Chávez in riferimento alle celebrazioni per i 200 anni dell’indipendenza del paese, che si festeggiano domani - Viva la Repubblica bolivariana, la figlia di Bolivar.
Prima di salutare l’immensa folla di seguaci che ha sfidato la pioggia per salutare il suo presidente, il capo di Stato ha esaltato la patria, la rivoluzione socialista e la figura dell’eroe nazionale Simon Bolivar, di cui ha rispreso alcune parole. Non sono mancate dimostrazioni d’affetto per il popolo. “Sono qui, nell’epicentro del mio amore più grande” ha dichiarato riferendosi all’immensa folla di affezionati che lo circondava.
Il discorso presidenziale si è concluso con un significativo “Hasta la victoria” cui il pubblico ha risposto in coro.
Chavez, apparso verso le 17.40, aveva convocato i cittadini per le ore 17 parlando al canale Venzolana de Televisión, appena atterrato all’aeroporto Maiquetia di Caracas.

Gran Missione Casa Venezuela: al via la costruzione di 40 mila abitazioni

A carico di Pdvsa, del Potere Popolare e della Missione Ribas una parte delle 2 milioni di case in programma entro il 2017. L’opposizione: quello del governo è uno show mediatico, le cifre non tornano

di Monica Vistali

CARACAS (17/7/2011) – Prenderà il via questo lunedì la costruzione di 40 mila case in 22 stati del Paese, nell’ambito della “Gran Missione Casa Venezuela”: il programma sociale che vuole dimunire il deficit abitazionale della nazione sudamericana.
Oggi il coordinatore dell’“Órgano Superior de Vivienda y Hábitat”, Rafael Ramírez si è incontrato con i rappresentanti del Potere Popolare e della Missione Ribas per rivedere 2.246 progetti; eleborare un cronogramma di esecuzione; accordarsi sui preventivi e la quantità di materiali necessaria per i lavori di costruzione, per il sumministro dei quali si firmeranno 34 accordi con imprese private e pubbliche.
Ramírez, che è anche ministro dell’Energia e del Petrolio e presidente della società statale petrolifera Pdvsa, ha dichiarato che è in programma la costruzione di 12 mila abitazioni per lo stato Anzoátegui; 300 per quello insulare di Nueva Esparta; 1090 per Guárico; 1.800 per Miranda; 455 per Amazonas; 692 per lo stato Bolívar; 2.975 per Sucre e 4.385 per Monagas. Inoltre, 778 per il Delta Amacuro; 600 per Yaracuy; 19 per Cojedes; 1600 per Carabobo; 300 per Aragua; 1.315 per Falcón; 500 per Lara; 830 per Portuguesa; 1.700 per Barinas; 875 per Apure; 1.310 per Trujillo; 732 per Táchira; 938 per Mérida e 5.400 per lo stato Zulia.

La edificazione dei nuovi immobili è a carico di Pdvsa, del Potere Popolare e della Missione Ribas. Ramírez ha spiegato che quest’ultima ha preso l’impegno di costruire 15 mila abitazioni “che saranno innalzate dalle Brigate della Costruzione di questa Missione”.
La Gran Missione Casa fu lanciata il 30 aprile. L’obiettivo è la edificazione di 2 milioni di abitazioni entro il 2017, meta cui dovrebbero convergere gli sforzi del governo, del settore privato e del popolo organizzato. I 40 mila immobili fanno parte delle 96.366 abitazioni che il governo ha intenzione di edificare con le risorse approvate la scorsa settimana dal presidente della Repubblica, Hugo Chávez: 14 mila milioni di bolívares e 1.700 milioni di dollari. In calendario per quest’anno 153 mila case.
Da L’Avana, dove si è recato per proseguire i trattamenti medici contro il cancro, Chávez ha esaltato i meriti della “Gran Missione Casa Venezuela” con un messaggio Twitter.
“Molto bene la Gran Missione Casa Venezuela! Complimenti a Rafael Ramírez e a questo esercito di costruttori! Vivremo e vinceremo” ha scritto.

L’opposizione, nella persona del coordinatore nazionale di “Primero Justicia” Julio Borges, evidenzia però le lacune dei progetti governativi, additati di essere un puro “show mediatico farcito di bugie e inconsistenze, dove neppure le cifre coincidono”.
Secondo quanto dichiarato dal diputato, fino ad oggi sono solo 5.002 le case terminate e consegnate, a fronte delle 82.962 che dovrebbero già essere abitate dalle famiglie venezuelane. Inoltre, secondo Borges si scorgono contraddizioni tra i numeri dichiarati dal ministro Ramírez (18.161 abitazioni concluse, delle quali 12.115 edificate dal settore pubblico e 6.045 dal settore privato) e quelli che risultano dai dossier della Banca Centrale del Venezuela, secondo cui da gennaio a marzo 2011 erano state costruite 11.598 abitazioni in tutto il Paese (di cui solo 1.601 ad opera del settore pubblico).
“Siamo seri, smettetela con questo show della Gran Missione Casa, ingannando il popolo che continua a sperare di avere una casa degna” ha concluso Borges.

Dalle vie di Caracas all’ospedale di Cuba, un filo rosso lega Chávez al suo popolo

Da quando il presidente venezuelano si è diretto al Paese per comunicare il suo stato di salute, si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà dei cittadini che auspicano una sua pronta guarigione

di Monica Vistali

CARACAS - (3/7/2011) Nessuna convocatoria. Spontaneamente, una volta saputo della malattia che sta affrontando il presidente Hugo Chávez, il popolo venezuelano è sceso in strada e si è ritrovato nelle piazze per manifestare la sua solidarietà al capo di Stato ed augurargli una pronta guarigione.
Venerdì Caracas era in fervore. Mentre il leader ancora si recuperava dall’operazione chirurgica contro il cancro cui è stato sottomesso a L’Avana e i mass media continuavano a speculare su possibili scenari post-Chávez, sui muri del Paese sono apparsi i colori di nuovi murales e per le vie hanno risuonato gli inni della rivoluzione. Sulle colonne di un giornale della Capitale appariva addirittura il testo di una preghiera da dedicare al presidente.

Studenti, casalinghe, indigeni, militanti, pensionati, rappresentanti di organizzazioni popolari. Tutti per strada, sotto la pioggia, sotto il sole, con allegria. Nonostante le lacrime apparse su qualche viso, la preoccupazione e l’angustia, com’è tipico a queste latitudini, sono state sopraffatte dalla confortante fiducia in un veloce ritorno del ‘Comandante’. In bocca un solo grido: “Pa’lante (avanti) Comandante!”. E così, in concomitanza con l’inizio delle celebrazioni per il Bicentenario dell’Indipendenza che si festeggerà ufficialmente il 5 luglio, migliaia di cittadini hanno riempito enormi striscioni con frasi e dediche dirette al capo di Stato ricoverato oltremare. Messaggi d’amore, solidarietà e appoggio incondizionato. Con le ginocchia sull’asfalto hanno lasciato la loro testimonianza di affetto, un ‘voler bene’ difficilmente comprensibile per noi italiani, disaffezionati alla politica e diffidenti nei confronti dei nostri leader.
Le manifestazioni sono partite dal quartiere caraqueño ‘23 de Enero’, zoccolo duro del chavismo e storica roccaforte dei ribelli. Intanto, della Piazza Bolivar della capitale, il rappresentante del 'Frente Francisco de Miranda’, Luis Ramírez ricordava come “il Comandante Chávez ha sempre dato allegria, entusiasmo e speranza al popolo venezuelano” e quindi “può riporre nel suo popolo la più assoluta fiducia”. “Ti amiamo presidente e siamo qui per te - ha detto - perché hai riempito il nostro spirito e hai dato costanza alla nostra lotta”.
Il popolo si è riversato in strada anche oggi, domenica, con marce, manifestazioni, sante messe. In assenza del programma domenicale ‘Aló Presidente!’, diretto dallo stesso Chávez, la gioventù bolivariana ha invaso ogni piazza della Capitale sventolando le bandiere nazionali e del partito, ballando e cantando. Una disposizione d’animo poco condivisa dall’opposizione, preoccupata più per la salute del Paese che per quella del presidente, come ha fatto intendere in un intervento il sindaco di Caracas, Antonio Ledezma.

La marcia è partita in tarda mattinata da Piazza Madariaga con direzione Piaza Miranda. Presenti anche il ministro degli Interni, Tareck El Aissami e il vicepresidente della Repubblica, Elías Jaua.
- Migliaia di giovani da tutto il Venezuela marciano con allegria per la vera libertà, per la costruzione di una patria più degna, approfittando per dare mille benedizioni al Comandante Chávez - ha proclamato il ministro dello Sport, Héctor Rodríguez - sperando che si rimetta, con coraggio, come fa sempre nell’affrontare le sfide.
Mentre al microfono si alternavano decine di giovani militanti per esprimere a gran voce il loro appoggio al processo bolivariano, il presidente Chávez si faceva vivo attraverso messaggini Twitter.
- Che discorsi quelli di questa ragazza, civile e militare - ha commentato da Cuba il capo di Stato - mi congratulo dal profondo della mia anima. Figli cadetti, figli liceisti, figli della mia anima... Vinceremo!
Tra i giovani militanti che esultavano la loro speranza lungo le strade di Caracas, anche la ex senatrice colombiana Piedad Cordoba.
- Anche in Colombia stiamo esprimendo tutta la nostra solidarietà al presidente Chávez - ha dichiarato - Siamo venuti per dirgli che anche in Colombia c’è tanta gente che gli vuole bene.
Il capo di Stato le ha risposto pochi minuti dopo, sempre attraverso Twitter.

Venezuela in semifinale, a vincere è un intero Paese

La terra del ‘beisbol’ esulta in coro l’entrata della Vinotinto nelle semifinali della Coppa America di calcio. L’euforia è contagiosa e dalle strade arriva ai vertici del governo che identificano il successo sportivo con un senso di riscatto nazionale 

di Monica Vistali

CARACAS (17/7/2011) - Ai tre successi - contro il Brasile, l’Ecuador e il Paraguay - che già avevano acceso l’animo venezuelano, si è aggiunta ieri una vittoria, quella del 2-1 contro il Cile, che ha catapultato la nazionale ‘Vinotinto’ nella semifinale della Coppa America 2011. Si tratta di una prima volta per gli 11 di Cesar Farias, dati per spacciati ancor prima dell’inizio del torneo ed ora in alto come non mai nella storia della coppa sudamericana.
Il presidente Hugo Chávez ha seguito la gara da L’Avana, dove prosegue i trattamenti medici contro il cancro, ed è intervenuto più volte, attraverso Twitter, nei commenti di gioco.
“Goooooooolllllll della patria! Viva Venezuela! Sono qui, guardando la partita con Fidel (Castro, ndr) Vivremo e Vinceremo!” - ha scritto il capo di stato al momento della prima palla in rete e prima di accennare ad un Fidel ‘portafortuna’ - “Fidel è venuto e ha portato fortuna alla Vinotinto. Ha cantato il gol ed ha indovinato la vittoria”.
Se Fidel è di buon augurio, in questa Coppa America non si può dire altrettanto dell’etichetta di ‘favorite’. È stato infatti disilluso chi contava sulle nazionali di Colombia, Argentina, Brasile e Cile.
Il c.t. Farias commenta a caldo dopo l’ultima vittoria la reazione degli sconfitti:
"Mi sorprende il fatto che dopo ogni partita che giochiamo, le altre squadre dicono che abbiamo giocato male o che non meritavamo. Ma va bene così, lasciate che continuino a guardarci dall'alto in basso".
E zittisce chi commentava che “il Venezuela esporta telenovelas, non calcio”, rispondendo orgoglioso:
Il rispetto non ce l’avevano e ormai non lo chiediamo, lo guadaganamo”. “L’allegria è come la nostra bandiera, piena di stelle e colori. Abbiamo giocato quando dovevamo giocare, sofferto quando dovevamo soffrire e castigato quando dovevamo castigare”.
Nella terra del baseball, a fine partita migliaia di tifosi - in attesa della semifinale di mercoledì contro il Paraguay (con cui la Vinotinto ha già pareggiato in rincorsa) - si sono riversati nelle strade delle città urlando e sventolando bandiere in omaggio ad un evento di “fútbol” quanto mai inedito nella storia della nazione.
L’euforia ha contagiato tutti, nelle piazze, nei bar, nelle affollate ‘liquorerie’ ed è arrivata sino alle figure della politica che non hanno tardato ad esprimere felicità per la vittoria.
Il governo Chávez ha emesso un comunicato ufficiale in cui “rende un emozionato tributo all’impresa storica raggiunta” dalla squadra.
"Ci uniamo al giubilo che avvolge il nostro popolo e rinvigorisce il nostro fervore patriottico per questa vittoria così significativa” che “riempie di orgoglio tutti i venezuelani” ed è “uno stimolo straordinario per continuare la festa” per il Bicentenario dell’indipendenza.
Non solo un successo sportivo, quindi, ma una vittoria nazionale in un momento storico di rivendicazione patriottica che affida ai risultati sportivi - ma non solo - l’immagine del riscatto di una nazione.

Da Leonardo a Ruby, l'Italia in scena alla USB

Un gruppo di studenti del prestigioso ateneo di Caracas hanno organizzato per il "VI Encuentro en la Torre de Babel" un divertente show in lingua con musica, quiz e personaggi famosi

di Monica Vistali

CARACAS - Federico Fellini, Ruby, Cannavaro e Leonardo Da Vinci: sono solo alcuni dei personaggi interpretati dagli alunni del corso di lingua italiana dell'Università Simon Bolivar di Caracas, sul palco per il "VI Encuentro en la Torre de Babel" svoltosi giovedì.
Lo spettacolo, dal titolo "Io amo l'Italia", è stato pensato dalle insegnanti Giovanna Pascal, Susana Turci e Alessandra Turci prendendo spunto da un programma di Rai International. Gli studenti si sono messi in gioco con un quiz show tutto all'italiana, squadra del 'Nord' e squadra del 'Sud' si sono scontrate in una gara di cultura generale sul Belpaese: dalla gastronomia, lo sport e l'arte, fino ai posti preferiti per fare l'amore e alla protesta che nel 2007 ha tinto di rosso la fontana di Trevi. Tutto intervallato da studenti in maschera - Fellini, Ruby, Cannavaro, Da Vinci, Cala Bruni, Valentino Rossi, Sophia Loren, Donatella Versace - e show musicali, come il duetto Laura Pausini - Andrea Bocelli, in scena con "Vivo per lei".
E' la sesta volta che gli studenti dei corsi ascritti al decanato di estensione universitaria, aperto a tutti e frequentato in passato anche da casalinghe, pensionati ed alunni di altre università, organizzano uno spettacolo in lingua. Quest'anno però la giovane età degli alunni ha permesso di mettere in scena uno show più colorato e divertente del solito, che ha fatto sbellicare di risate il pubblico.
Le insegnanti sperano ora di esportare il recital fuori dai confini universitari, mettendolo in scena al Centro Italiano Venezuelano o alla Casa d'Italia. Inoltre, si sono messe in contatto con il presidente del Civ per organizzare un corso di "lingua, cultura e gastronomia italiane" diviso in due livelli: uno basico per chi vuole imparare l'abc della lingua, utilizzando come veicolo la 'cucina', ed uno avanzato destinato a chi desidera conoscere l'arte italiana in senso stretto.
Ma - sostengono con decisione le professoresse - per promuovere la lingua e la cultura italiana sono fondamentali i programmi di scambio che permettano ai giovani di imparare l'idioma e conoscere in prima persona, non solo sui libri, il Paese e la sua cultura.
I 14 studenti sul palco frequentano il primo e il secondo livello del corso extracurricolare della rinomata Università capitolina e, come spiegano le insegnanti dimostrando la carenza del sistema di promozione dell'italiano all'estero, sono in buona parte italo-venezuelani che non conoscono la lingua della penisola. Ora la studiano da un trimestre con la speranza di partecipare ai programmi di scambio organizzati tra la USB ed alcuni atenei italiani, e visitare così l'Italia beneficiando di una borsa di studio. O, magari, espatriare, come sognano tanti oriundi stanchi del Venezuela, dei suoi alti tassi di criminalità e del suo sistema politico.
- Ho famiglia italiana e passaporto italiano - spiega "Donatella Versace" - mi vergognavo di non sapere la lingua.
In Venezuela ancora oggi il numero di matricole accettate dagli atenei è limitato ed i test operano più una scrematura sociale che di merito.
L'Università Simon Bolivar, forse la più rinomata della capitale venezuelana, è pubblica ma è frequentata per la maggior parte da ragazzi appartenenti a famiglie di ceto medio o alto. Le prove d'ingresso sono difficili da superare ed è raro che uno studente di origini umili, che è stato costretto a frequentare istituti di basso livello, riesca ad avere accesso all'ateneo.
Il risultato è che, passeggiando per le immense strade dell'Università che ricordano i college dei film made in States e attraversano gli smisurati spazi verdi e fioriti che si stagliano sotto il sole caraibico, di afrodiscendenti se ne vedono davvero pochi.

martedì 19 luglio 2011

Il ‘caso Rodeo’, una lotta politica sul rispetto dei diritti umani

Se il governo elogia la risoluzione pacifica della rivolta nel carcere venezuelano e il rispetto dei diritti umani dei prigionieri, l’opposizione rimarca il bilancio dei morti e degli evasi, così come le limitazioni nell’accesso all’informazione. Dal canto loro, gli ex reclusi del Rodeo continuano a parlare attraverso le loro pagine Facebook

di Monica Vistali



CARACAS (13/07/2011) – Un migliaio di prigionieri, tra ribelli ed ostaggi, del carcere ‘El Rodeo II’ di Caracas si sono consegnati alle autorità mettendo fine alla rivolta che da metà giugno teneva in scacco il governo venezuelano.
Tutto è iniziato con una telefonata. “Sono Oriente. Alle 7 ci consegnamo. Sentitevi orgogliosi di aver vinto questa guerra, per ora”. Con queste parole il ‘pran’ (boss del carcere) ha iniziato la telefonata al quotidiano d’opposizione ‘El Nacional’, contattato per sollecitare la presenza di media privati e organizzazioni per i diritti umani al momento della resa.
“Siamo disidratati per la mancanza di acqua e cibo, per questo ci consegnamo” ha sottolineato il detenuto di cui ora si sono perse le tracce. “Ci hanno garantito che rispetteranno le nostre vite. Non abbiamo fiducia in loro ma non possiamo continuare qui” ha poi decretato spiegando di essere costretto a ‘depurare’ “l’acqua sporca con il cloro”.
Insomma, presi per sfinimento. Lo ha confermato anche ‘El Yoifre’, che ripreso da un canale di Stato mentre veniva scortato dai militari ha dichiarato, riferendosi alle autorità: “Se abbiamo perso noi, hanno perso anche loro”. Le stesse autorità però, appoggiate da numerosi media filogovernativi, omettono di essere riuscite a penetrare nel Rodeo II solo per l’estenuatezza dei ribelli e la rivolta, ancora avvolta nella disinformazione, sfocia così una guerra mediatica tra governo e opposizione che riapre vecchie ferite.

La posizione del governo
Da una parte, il ministro degli Interni Tareck El Assami ha evidenziato a più riprese come la soluzione al conflitto sia passata “per la via pacifica, per la via del dialogo”, garantendo l’integrità fisica ed il rispetto dei diritti umani dei detenuti. Una modalità che si è espletata nonostante l’azione dei “media della destra e la borghesia”, che “hanno giocato con il dolore dei reclusi e dei loro familiari”. Il riferimento è soprattutto al canale d’opposizione Globovision, denunciato dall’Autorità per le comunicazioni per il trattamento del ‘caso Rodeo’.
- Hanno mentito, quei massacri con cui hanno titolato sono rimasti nella mente di chi odia i prigionieri e non ha mai scommesso sulla loro riabilitazione - ha dichiarato El Assami -. Noi, sì, possiamo ricordare i veri massacri compiuti durante la IV Repubblica (prima del governo Chávez, ndr) hanno ucciso, torturato, massacrato e bruciato carcerati e carcerate. Con la rivoluzione bolivariana trionfa il dialogo: il dialogo si è imposto su coloro che volevano il massacro.
Lo appoggia il ministro Diosdado Cabello: “Quella canaglia della destra è arrabbiata” perchè voleva il sangue mentre tutto si è risolto “come dev’essere nel socialismo”. Il presidente Chávez, nel messaggio Twitter che fino ad ora è l’unica dichiarazione sul caso Rodeo, ha qualificato l’operazione come “esempio del supremo rispetto dei diritti umani” (anche se ha sottolineato la necessità di un’autocritica da parte del governo).
Néstor Revelon, viceministro di Prevenzione e Sicurezza, ha assicurato che “sono stati garantiti i diritti umani fondamentali dei reclusi”, “è stata offerta attenzione integrale, assistenza medica” e “sta avanzando un processo di revisione delle cause” penali. Il governo, infine, promette ora di procedere alla ricostruzione del Rodeo secondo il nuovo modello penitenziario, in linea con il rispetto della dignità e dei diritti umani dei carcerati.
Nel frattempo, ai detenuti è stata offerta attenzione medica, un kit di abiti e di cura personale. In ogni veicolo usato per il trasferimento dei detenuti fuori dal carcere, erano presenti due familiari dei detenuti e rappresentanti delle istituzioni, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani dei prigionieri, così come richiesto da questi ultimi in cambio della resa.
Dalla parte di El Assami le cronache dei primi giorni di rivolta, quando il ministro negoziava, a risultati alterni, con i detenuti per ottenere l’accesso al carcere, la liberazione degli ostaggi (avvenuta a più riprese) e il disarmo del penitenziario. “Resteremo qui - assicurava ai ribelli - incrementando le operazioni che ci permettano il riscatto dei prigionieri, garantendogli integrità fisica” (quel giorno, il risultato ottenuto dal governo fu la consegna di quattro cadaveri in decomposizione da parte dei rivoltosi).
Anche allora il ministro accusava l’opposizione della resistenza dei detenuti, evidenziando come “a causa alla manipolazione mediatica, quelli che si sono imposti con la violenza temono ora per la loro vita”.

Le critiche dell’opposizione
Insomma, una esplosione di rispetto per i diritti dei detenuti prima inesistente, sia durante la VI Repubblica sia durante il governo Chávez. Nelle carceri venezuelane regna il sovraffollamento, non esiste la separazione dei prigionieri in base ai reati, l’80 per cento dei reclusi non ha ancora avuto un processo e scarseggiano i programmi di riabilitazione. È il regno della droga e delle armi fatte entrare dalla polizia, della mafia carceraria (qui due testimonianze italiane: http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article17375&lang=it e http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article17568).
L’opposizione, dal canto suo, diffonde a più voci sempre nuove cifre sui deceduti nella rivolta del Rodeo - tra cui gli ostaggi uccisi nell’ultimo attacco della Guardia Nazionale, come rivelato dal pran ‘Oriente’ - e riferisce violenze riportando anonime fonti: “Li vogliono uccidere, gli sparano, da qui sentiamo gli spari e le esplosioni delle bombe lacrimogene”, avrebbe detto un familiare riferendosi agli attacchi dei militari.
Abbondano le critiche al governo per le limitazioni nell’accesso all’informazione durante i giorni della rivolta, che hanno dato vita ad una vera speculazione sul numero esatto di decessi all’interno del penitenziario.
Secondo Padre Leonardo Grasso, responsabile dell’associazione Icaro per l’assistenza ai detenuti italiani in Venezuela, non c’è ancora nessuna informazione certa ed è quindi necessario aspettare lo smistamento ai penitenziari, quando i detenuti inizieranno a parlare tra di loro e trapeleranno le notizie.
Si attendono anche i primi censimenti, che riveleranno i numeri reali dei deceduti e degli evasi durante la resa (una trentina di prigionieri sarebbero fuggiti al momento della resa nonostante l’accerchiamento dei militari, tra cui il ‘pran’ Oriente).

Il Rodeo su Facebook
L’informazione, però, viaggia sulla rete. Cecchini, spari, morti. Fotografie e video che mostrano strutture fatiscenti e condizioni di vita infraumane. Sulle pagine Facebook dei reclusi del Rodeo abbondano commenti e denuncie. In un video un gruppo di detenuti a volto coperto parla di più di 160 prigionieri uccisi dei militari e critica la disinformazione attuata dal governo circa il ‘caso Rodeo’.
Dicono che ci sono 21 morti quei maledetti... sanno che hanno fatto una strage. Quando tutto si calmerà, se succederà, saranno molti gli ostaggi che scompariranno. Manca solo che dicano che sono fuggiti. Fate un censo! Metteteci la faccia!” scrivevano i primi giorni della rivolta.
Gli attacchi che non risparmiano neppure il presidente Chàvez, accusato di aver parlato solo della sua malattia, senza fare il minimo accenno alla situazione del carcere.

‘El Rodeo’ ancora avvolto nel mistero

Padre Grasso ci aggiorna sulla situazione dei reclusi ora nelle mani delle autorità ma spiega che è ancora presto per avere informazioni riguardo al numero di morti ed evasi. Quel che è certo è che di ‘Oriente’, il ‘pran’ accusato del sequestro e dell’omicidio di un italiano 29enne, si sono perse le tracce. Sulla pagina Facebook dei detenuti del Rodeo, il fuggitivo ha scritto: “Sono già dove dovevo stare”. A ‘Yare II’, dove si trovano i 4 detenuti italiani, la situazione è tranquilla

di Monica Vistali

CARACAS (15/7/2011) – Un migliaio di prigionieri, tra ribelli ed ostaggi, del carcere ‘El Rodeo II’ di Caracas si sono consegnati ieri alle autorità mettendo fine alla rivolta che dalla metà del giugno scorso teneva in scacco il governo venezuelano. Si sarebbe però dato alla fuga Yorvis Valentín López Cortez, alias “Oriente”, 25 anni, uno dei due ‘pranes’ (boss) che controllavano il penitenziario, implicato nel sequestro e nell’omicidio del 29enne italiano Gian Carlo Colasante, rapito a Guarenas il 27 ottobre scorso. Il secondo pran, “El Yoifre” appena uscito dal carcere ha dichiarato: “Non lo troverete”.
La maggiorparte della popolazione carceraria sarà presto trasferita al ‘Penitenciario Yare II’ (dove il 19 giugno sono stati dislocati anche i 4 italiani che si trovavano al ‘Rodeo I’ durante la rivolta) mentre una cinquantina di reclusi, i ribelli più agguerriti ed i ‘pranes’, saranno portati al ‘Centro Penitenciario de Tocuyito’. “El Yoifre” (20 anni) sarebbe invece già in una cella del Sebin, il Servizio bolivariano de Inteligencia. Degli 831 ostaggi sequestrati dalla mafia carceraria, 140 avrebbero ricevuto un documento di scarcerazione.

Padre Leonardo: poche le notizie certe
Padre Leonardo Grasso, responsabile dell’Associazione Icaro che si occupa, tra le altre cose, di fornire assistenza ai detenuti italiani in Venezuela, riferisce in un colloquio telefonico di non avere avuto ancora nessuna conferma riguardo al trasferimento dei prigionieri che, dichiara, “hanno passato la prima notte nelle installazioni del ‘Rodeo III’”, un penitenziario non ancora ufficialmente inaugurato.
Padre Leonardo ribadisce, come già in precedenti occasioni, che il limitato accesso alle fonti ostacola la disponibilità di notizie e dati certi riguardo allo sviluppo del caso ‘Rodeo’, che ha lasciato sul terreno un numero imprecisato di morti ed evasi. Secondo il sacerdote “bisogna aspettare i prossimi giorni, quando la situazione sarà più chiara”.
- Quando avverrà lo smistamento ai diversi penitenziari - spiega - i prigionieri inizieranno a parlare tra di loro e trapeleranno più informazioni. Si procederà all’identificazione dei reclusi e verrà fatto un censo per sapere il numero dei fuggitivi e, soprattutto attraverso i parenti delle vittime, il numero esatto dei morti. Per ora prendiamo per buone le notizie ufficiali.
Secondo Padre Leonardo, non si può fare affidamento neppure sulle informazioni diffuse dai detenuti stessi attraverso Facebook (“Rodeo II la Realidad” e “El Rodeo no se calla 123 Rodeito”). Le fotografie ed i video di denuncia, che parlavano di massacri avvenuti per mano della Guardia Nazionale e che avrebbero provocato la morte di più di 160 detenuti, secondo il prete sono tendenziosi.
- Dicono che ci sono 21 morti quei maledetti... sanno che hanno fatto una strage - si leggeva sulla bacheca Facebook del Rodeo II durante i primi giorni della rivolta -. Quando tutto si calmerà, se succederà, saranno molti gli ostaggi che scompariranno. Manca solo che dicano che sono fuggiti. Fate un censo! Metteteci la faccia!
Le rivolte nei penitenziari Rodeo I e Rodeo II iniziarono il 17 giugno scorso, quando le autorità decisero di perquisire il carcere e smantellare l’arsenale in possesso dei reclusi, dopo che in uno scontro a fuoco morirono 22 prigionieri. Il governo procederà ora alla ricostruzione del Rodeo secondo il nuovo modello penitenziario, che permetta di rispettare la dignità ed i diritti umani dei carcerati. Solo in quel momento questi ultimi, e quindi anche i quattro italiani, verranno riportati nella prigione della rivolta.
Intanto, a ‘Yare II’, il carcere dove si trovano i quattri connazionali, “la situazione è tranquilla”. Lo hanno confermato gli italiani durante una telefonata avvenuta mercoledì con il responsabile di ‘Icaro’.

Il mistero “Oriente”
“Sono già dove dovevo stare”. Con questo messaggio lasciato all’una di notte del giorno della resa sulla bacheca della pagina Facebook “Rodeo II La Realidad”, “Oriente” ha confermato le voci su una sua probabile fuga. Il pran - accusato di sequestro, omicidio, rapina aggravata e lesioni gravi - sarebbe fuggito dal carcere con un bottino milionario (quasi 2 milioni di bolivares).
Resta il mistero sulla dinamica della fuga, avvenuta mentre i militari accerchiavano l’edificio, e sul numero dei compagni evasi insieme a lui. Voci smentite dalle autorità rivelano che l’evasione sia stata chiesta dal prigioniero come controparte della resa.
- Oltre ad “Oriente” sembra che siano fuggiti una trentina di detenuti - dichiara il sacerdote italiano - ma è ancora tutto da verificare.