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martedì 19 luglio 2011

Il ‘caso Rodeo’, una lotta politica sul rispetto dei diritti umani

Se il governo elogia la risoluzione pacifica della rivolta nel carcere venezuelano e il rispetto dei diritti umani dei prigionieri, l’opposizione rimarca il bilancio dei morti e degli evasi, così come le limitazioni nell’accesso all’informazione. Dal canto loro, gli ex reclusi del Rodeo continuano a parlare attraverso le loro pagine Facebook

di Monica Vistali



CARACAS (13/07/2011) – Un migliaio di prigionieri, tra ribelli ed ostaggi, del carcere ‘El Rodeo II’ di Caracas si sono consegnati alle autorità mettendo fine alla rivolta che da metà giugno teneva in scacco il governo venezuelano.
Tutto è iniziato con una telefonata. “Sono Oriente. Alle 7 ci consegnamo. Sentitevi orgogliosi di aver vinto questa guerra, per ora”. Con queste parole il ‘pran’ (boss del carcere) ha iniziato la telefonata al quotidiano d’opposizione ‘El Nacional’, contattato per sollecitare la presenza di media privati e organizzazioni per i diritti umani al momento della resa.
“Siamo disidratati per la mancanza di acqua e cibo, per questo ci consegnamo” ha sottolineato il detenuto di cui ora si sono perse le tracce. “Ci hanno garantito che rispetteranno le nostre vite. Non abbiamo fiducia in loro ma non possiamo continuare qui” ha poi decretato spiegando di essere costretto a ‘depurare’ “l’acqua sporca con il cloro”.
Insomma, presi per sfinimento. Lo ha confermato anche ‘El Yoifre’, che ripreso da un canale di Stato mentre veniva scortato dai militari ha dichiarato, riferendosi alle autorità: “Se abbiamo perso noi, hanno perso anche loro”. Le stesse autorità però, appoggiate da numerosi media filogovernativi, omettono di essere riuscite a penetrare nel Rodeo II solo per l’estenuatezza dei ribelli e la rivolta, ancora avvolta nella disinformazione, sfocia così una guerra mediatica tra governo e opposizione che riapre vecchie ferite.

La posizione del governo
Da una parte, il ministro degli Interni Tareck El Assami ha evidenziato a più riprese come la soluzione al conflitto sia passata “per la via pacifica, per la via del dialogo”, garantendo l’integrità fisica ed il rispetto dei diritti umani dei detenuti. Una modalità che si è espletata nonostante l’azione dei “media della destra e la borghesia”, che “hanno giocato con il dolore dei reclusi e dei loro familiari”. Il riferimento è soprattutto al canale d’opposizione Globovision, denunciato dall’Autorità per le comunicazioni per il trattamento del ‘caso Rodeo’.
- Hanno mentito, quei massacri con cui hanno titolato sono rimasti nella mente di chi odia i prigionieri e non ha mai scommesso sulla loro riabilitazione - ha dichiarato El Assami -. Noi, sì, possiamo ricordare i veri massacri compiuti durante la IV Repubblica (prima del governo Chávez, ndr) hanno ucciso, torturato, massacrato e bruciato carcerati e carcerate. Con la rivoluzione bolivariana trionfa il dialogo: il dialogo si è imposto su coloro che volevano il massacro.
Lo appoggia il ministro Diosdado Cabello: “Quella canaglia della destra è arrabbiata” perchè voleva il sangue mentre tutto si è risolto “come dev’essere nel socialismo”. Il presidente Chávez, nel messaggio Twitter che fino ad ora è l’unica dichiarazione sul caso Rodeo, ha qualificato l’operazione come “esempio del supremo rispetto dei diritti umani” (anche se ha sottolineato la necessità di un’autocritica da parte del governo).
Néstor Revelon, viceministro di Prevenzione e Sicurezza, ha assicurato che “sono stati garantiti i diritti umani fondamentali dei reclusi”, “è stata offerta attenzione integrale, assistenza medica” e “sta avanzando un processo di revisione delle cause” penali. Il governo, infine, promette ora di procedere alla ricostruzione del Rodeo secondo il nuovo modello penitenziario, in linea con il rispetto della dignità e dei diritti umani dei carcerati.
Nel frattempo, ai detenuti è stata offerta attenzione medica, un kit di abiti e di cura personale. In ogni veicolo usato per il trasferimento dei detenuti fuori dal carcere, erano presenti due familiari dei detenuti e rappresentanti delle istituzioni, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani dei prigionieri, così come richiesto da questi ultimi in cambio della resa.
Dalla parte di El Assami le cronache dei primi giorni di rivolta, quando il ministro negoziava, a risultati alterni, con i detenuti per ottenere l’accesso al carcere, la liberazione degli ostaggi (avvenuta a più riprese) e il disarmo del penitenziario. “Resteremo qui - assicurava ai ribelli - incrementando le operazioni che ci permettano il riscatto dei prigionieri, garantendogli integrità fisica” (quel giorno, il risultato ottenuto dal governo fu la consegna di quattro cadaveri in decomposizione da parte dei rivoltosi).
Anche allora il ministro accusava l’opposizione della resistenza dei detenuti, evidenziando come “a causa alla manipolazione mediatica, quelli che si sono imposti con la violenza temono ora per la loro vita”.

Le critiche dell’opposizione
Insomma, una esplosione di rispetto per i diritti dei detenuti prima inesistente, sia durante la VI Repubblica sia durante il governo Chávez. Nelle carceri venezuelane regna il sovraffollamento, non esiste la separazione dei prigionieri in base ai reati, l’80 per cento dei reclusi non ha ancora avuto un processo e scarseggiano i programmi di riabilitazione. È il regno della droga e delle armi fatte entrare dalla polizia, della mafia carceraria (qui due testimonianze italiane: http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article17375&lang=it e http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article17568).
L’opposizione, dal canto suo, diffonde a più voci sempre nuove cifre sui deceduti nella rivolta del Rodeo - tra cui gli ostaggi uccisi nell’ultimo attacco della Guardia Nazionale, come rivelato dal pran ‘Oriente’ - e riferisce violenze riportando anonime fonti: “Li vogliono uccidere, gli sparano, da qui sentiamo gli spari e le esplosioni delle bombe lacrimogene”, avrebbe detto un familiare riferendosi agli attacchi dei militari.
Abbondano le critiche al governo per le limitazioni nell’accesso all’informazione durante i giorni della rivolta, che hanno dato vita ad una vera speculazione sul numero esatto di decessi all’interno del penitenziario.
Secondo Padre Leonardo Grasso, responsabile dell’associazione Icaro per l’assistenza ai detenuti italiani in Venezuela, non c’è ancora nessuna informazione certa ed è quindi necessario aspettare lo smistamento ai penitenziari, quando i detenuti inizieranno a parlare tra di loro e trapeleranno le notizie.
Si attendono anche i primi censimenti, che riveleranno i numeri reali dei deceduti e degli evasi durante la resa (una trentina di prigionieri sarebbero fuggiti al momento della resa nonostante l’accerchiamento dei militari, tra cui il ‘pran’ Oriente).

Il Rodeo su Facebook
L’informazione, però, viaggia sulla rete. Cecchini, spari, morti. Fotografie e video che mostrano strutture fatiscenti e condizioni di vita infraumane. Sulle pagine Facebook dei reclusi del Rodeo abbondano commenti e denuncie. In un video un gruppo di detenuti a volto coperto parla di più di 160 prigionieri uccisi dei militari e critica la disinformazione attuata dal governo circa il ‘caso Rodeo’.
Dicono che ci sono 21 morti quei maledetti... sanno che hanno fatto una strage. Quando tutto si calmerà, se succederà, saranno molti gli ostaggi che scompariranno. Manca solo che dicano che sono fuggiti. Fate un censo! Metteteci la faccia!” scrivevano i primi giorni della rivolta.
Gli attacchi che non risparmiano neppure il presidente Chàvez, accusato di aver parlato solo della sua malattia, senza fare il minimo accenno alla situazione del carcere.

2 commenti:

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  2. CARACAS (17 agosto 2011)- Un cittadino italiano è stato ucciso ieri nel carcere Yare I, nello stato Miranda, in Venezuela, con un colpo di pistola che gli ha trafitto il fianco destro. Si tratta di Giuseppe Sibilli, 56 anni, di Napoli, in carcere per traffico di droga. Come spiega alla ‘Voce’ Padre Leonardo Grasso, responsabile dell’Associazione umanitaria Icaro, “si tratta del primo detenuto italiano che muore all’interno di un carcere, non ricordo neppure feriti gravi tra i nostri connazionali”.

    Sono ancora da verificare le circostanze in cui è avvenuta la morte di Sibilli, che viveva in Venezuela con la fidanzata. Il corpo senza vita è infatti apparso dopo una lite tra reclusi scoppiata nella zona “La Torre”, durante la quale sono stati sparati alcuni colpi di pistola. Stando ad una prima ricostruzione dei fatti, una volta controllata la rivolta gli agenti della ‘Guardia Nacional’ avrebbero incontrato il corpo del connazionale ormai senza vita. Non si sa con certezza, quindi, se l’uomo sia stato colpito per caso da una ‘bala perdida’ sparata nel corso della rissa o se sia stato vittima di un regolamento di conti passato inosservato nel momento di caos.
    Sibilli era stato arrestato il 5 febbraio 2008 con l’accusa di traffico di droga. Le manette scattarono all’aereoporto di Maiquetia, nello stato Vargas, mentre cercava di trasportare sostanze stupefacenti dall’Italia al Venezuela.
    Condannato a 8 anni di reclusione, avrebbe già dovuto godere di un regime di semi-libertà, il cosiddetto ‘regime aperto o di lavoro’ - concesso una volta scontato un quarto della pena - che permette di trascorrere la giornata fuori dalle sbarre: un “primo beneficio” che “non era ancora arrivato per varie questioni” spiega genericamente Padre Grasso “ma lo attendevamo a breve”.
    - Da quando l’avevano arrestato l’abbiamo sempre seguito e accompagnato - ricorda il sacerdote - anche con l’aiuto del Consolato. Lo incontravamo ogni mese e speravamo di poterlo presto aiutare con un programma di reinserimento lavorativo. Era stato lo stesso Sibilli a chiedere di essere trasferito a Yare dal carcere PGV di San Juan de Los Morros, che considerava “troppo pericoloso”. Era entrato nel nuovo penitenziario il 18 gennaio scorso.
    - I detenuti hanno il brutto vizio di pensare sempre che il loro carcere sia il peggiore - afferma il sacerdote. A Yare I e Yare III sono arrivati più di 800 prigionieri dal Rodeo, il carcere di Caracas tristemente famoso per la lunga rivolta del giugno scorso che ha spinto il governo venezuelano a creare un apposito Ministero sul tema penitenziario.
    - L’arrivo dei prigionieri del Rodeo ha peggiorato la situazione all’interno del centro di detenzione, già grave a causa del sovraffollamento. La famiglia del connazionale è già stata avvertita dell’accaduto. Nei prossimi giorni sarà effettuata l’autopsia.

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