Visualizzazioni totali

martedì 20 aprile 2010

Due ruote e il continente americano, l'avventura di Antonio a difesa dei più deboli

di Monica Vistali

CARACAS - Una bicicletta da corsa e un messaggio contro lo sfruttamento minorile e la violenza sulle donne. Questo il bagaglio del 31enne Antonio Tomaselli, partito il 25 aprile di due anni fa da Ancholage, in Alaska, con in mente la titanica impresa di percorrere su due ruote l’intero continente americano, sino alla Patagonia.
- Vivevo in India da un anno e mezzo - racconta il siciliano, oggi a Caracas -. Ero volontario in un centro per lebbrosi di Maria Teresa di Calcutta e gestivo alcune attività per i bambini di strada. Per tre notti di fila ho sognato di fare questo viaggio e, alla fine, ho deciso di partire.
Antonio, curriculum in aereonautica, arriva in America dopo un lungo allenamento sulle strade di Italia, Francia, Spagna, e lungo il famoso ‘Camino di Santiago’. Alaska, Canada, la West Coast: attraversa rapido gli Stati Uniti "perchè lì la maggior parte dei problemi sono legati al mondo del benessere" e scende veloce in America centrale, "dove le problematiche sono di un’altra natura: eredità di dittature passate e conseguenza di governi sfruttatori". Inizia a rallentare il ritmo per conoscere il paesaggio umano, quelle "difficoltà di cui, come occidentale, sono in parte responsabile".



L’America centrale
Antonio attraversa Messico, Guatemala, Belize, El Salvador, Costa Rica. E ancora Panamà, Nicaragua, l’Honduras post - golpe. Lungo la strada collabora con le comunità indigene, nei centri per nativi disabili, nelle unità educative per emarginati. Insegna teatro ai bambini indigeni del Chiapas, aiuta a portare l’acqua in una zona difficile del Nicaragua, concretizza quella "politica del rimboccarsi le maniche" di cui ribadisce la vitale importanza, ma sempre attento a non alimentare un meccanismo di ‘dipendenza’ tra chi ha e chi non ha. Organizza piccole conferenze sul tema dello sfruttamento minorile (nel mondo ne è vittima un bambino su 5, in Nepal il 100 per cento dei minori) e quando possibile mostre fotografiche con i suoi scatti.
- Non mostro l’estremo che commuove: fame, povertà. Mi piace la bellezza che si trova in un paesaggio, nel sorriso di un bambino, negli sforzi dei centri di volontariato dove sono stato.
Le porte, per lui, sono sempre aperte e la gente è bendisposta ad offrirgli un piatto caldo. Antonio ricorda con particolare affetto la coppia che lo ha ospitato in Guatemala: lei responsabile per i diritti umani dei nativi nel paese che detiene il record di indigeni uccisi, lui ex membro di un gruppo di contadini che gestiva le informazioni tra la ‘guerrilla’ e il governo.
- Dell’associazione di cui faceva parte il marito - racconta - sono stati uccisi 19 membri su 21. Ma lui, con la moglie, continua la sua lotta attraverso il nucleo educativo. A parte questi piccoli paradisi, il governo non agisce e gli indigeni vivono incoscienti la loro condizione di emarginati.
La situazione non cambia nel resto dell’America centrale. Il Trattato di pace del 1998 è una carta irrispettata e ai governi fa comodo l’ignoranza della comunità indigena, che non ha voce, non ha diritti politici e sociali, alla quale non è garantita nè l’educazione nè la sanità.
- La cosa più grave - spiega alla ‘Voce’ Antonio - è che non c’è via d’uscita per chi vuole migliorare la sua condizione. Se nelle città c’è quelche chanches, fuori, per loro, non esiste la libertà di scegliere la propria vita".



I grandi poteri
Gli indigeni non sono completamente ignorati dal ‘sistema’, ma comprati e raggirati da una serie di messaggi inquinanti che, per mancanza di coscienza, non vengono elaborati.
- La situazione è contraddittoria. La storica cittadina messicana di San Cristobal - cita ad esempio Antonio - ha venduto la sua ultima risorsa d’acqua alla Coca Cola che ora, in regime di monopolio, rivende le bottiglie a prezzi altissimi. Però il Messico è il paese in cui si beve più Coca Cola al mondo, e all’interno del Messico è lo stesso Chiapas a consumare la maggior quantità di bibita.
Alle ingiustizie delle grandi multinazionali non rispondono adeguatamente le organizzazioni internazionali, null’altro che "la facciata di un grande business".
- Sono un fallimento. Hanno enormi interessi economici e non garantiscono il controllo che dovrebbero esercitare. Ad esempio, in Cambogia, ora hanno assunto una compagnia per disinnescare le migliaia di mine antiuomo che attanagliano il territorio. Peccato - continua - che la ditta incaricata è la stessa che le ha disseminate per tutto il paese.
I grandi poteri non restano estranei neppure per quanto riguarda il mercato della droga e dei migranti. Antonio ha disegnato una sua personale ‘piramide gerarchica’:
- In testa ci sono i grandi governi. Stati Uniti, Messico, Colombia: tutti hanno enormi entrate e posizionano gli alti dirigenti nei porti, nelle zone di frontiera. Poi ci sono i narcotrafficanti, spesso poliziotti, ed infine, in fondo, i ‘pandilleros’.
Istituzioni viziate, dunque. Avanza chi ha istruzione e furbizia per perseguire i propri interessi, scendere a compromessi, vendere idee e comprarne altre. Ideologie mescolate alla realtà, che fanno del sandinismo moderno come del Fondo monetario Internazionale null’altro che galline dalle uova d’oro. Quindi, cosa resta di pulito?
- C’è ancora chi ci crede, chi ha coscienza, interesse sociale. Rispetto verso l’essere umano – ci dice convinto Antonio -. La soluzione per ‘cambiare il mondo’ è l’unione di tutte queste persone, di tutti questi gruppi, che come i governi sfruttatori devono saper ‘fare sistema’. Adesso ci sono ancora troppe lotte: Greenpeace che si arrabbia perchè gli hanno rubato il patrocinio, i Verdi se la prendono con quelli che proteggono l’Amazzonia perchè sono apolitici...
Provo a lasciare una piccola scintilla dentro il cuore di ognuna delle persone che incontro, se poi il fuoco appica dipende dalla materia che ognuno ha dentro quindi dalle scelte che ognuno liberamente deve poter fare... Per lo meno - dice - contribuisco a fornire piccoli strumenti per crescere, secondo la mia personale veduta della vita.



Il Venezuela
Macao, Maracaibo, Coro, Tucacas, Valencia, Caracas. "Rispetto agli altri paesi dove sono stato, il Venezuela vive nell’oro" afferma sicuro Antonio. In America centrale, racconta, "si guadagna un quinto del necessario per vivere, in Costa Rica e Panama comandano i grandi latifondisti, sopprattutto per quanto riguarda la coltivazione delle banane, in Colombia agli emarginati non vengono date possibilità di riscatto o di lavoro. In Venezuela, quelli che si lamentano lo fanno solo perchè vogliono ancora di più".
Antonio è abbagliato dal calore umano e dall’accoglienza dei volti che incontra in questa nostra terra. "Un contatto sociale unico" dice, anche nella Casa di riposo Villa Pompei, dove è ospitato per qualche giorno, e ha ritrovato un po’ della vecchia Italia e ha incontrato le "donne antiche che discutevano su quale pastasciutta da preparare al prete". E rispetto al tasso di criminalità di cui ha tanto sentito parlare, crede che spesso si confonda la povertà con la violenza.
- In Asia ci sono molte più persone e molta più povertà: manca l’acqua, il cibo. Esistono brutalità ed ingiustizie, ma non c’è questo tipo di violenza rabbiosa che si respira nel mondo occidentale. Forse questo è dovuto alla spiritualità, al ‘karma’ che ti fa accettare tutto ciò che arriva nella vita. O forse questa violenza contro chi incontri per strada è solo frutto di un bombardamento di messaggi sbagliati. L’informazione deformata di una società deformata. Se credi che devi per forza avere un blackberry, quando i soldi non ti basteranno lo ruberai senza pensarci due volte...

mercoledì 14 aprile 2010

I problemi del Venezuela. Ecco cosa pensano gli italiani

di Monica Vistali

CARACAS - Non solo insicurezza e crisi economica. I componenti della nostra Collettività, interrogati riguardo ai problemi che attraversa il Venezuela in questo momento storico, spaziano tout court il loro senso critico dai grandi temi della politica e della società fino a toccare l’emergenza rifiuti, il sistema dei trasporti, il problema energetico, l’educazione, la sanità. Quando non sono gratuite aggressioni, le critiche sono preziose perle da analizzare con attenzione per rafforzare il processo di miglioramento in atto. Così dev’essere anche quando queste provengono da una comunità che, come quella italo-venezolana, divide il proprio patriottismo tra due terre lontane. Le radici europee, infatti, non impediscono ai connazionali di spingere con forza, da parti distinte, per un continuo e proficuo progresso del paese latinoamericano che oggi è anche loro.

La politica in casa
Basta accendere la tv: quello che in Italia è il calcio, in Venezuela è la politica. Schieramenti ben delineati, tifo da stadio, pochi incontri amichevoli. Una polarizzazione che non resta chiusa in Parlamento ma - la colpa è bipartisan - s’insinua nei rapporti tra vicini di casa, compagni di scuola, amici e colleghi.
“La gente è troppo politicizzata - afferma Mauricio Tagliatela, produttore musicale - e questo incide sulle relazioni personali di ognuno. Le discussioni diventano litigi e la gente resta sempre con il dente avvelenato”.
La causa di questa “eccessiva disgregazione sociale”, secondo Martino Verdana, è “la famosa legge della pentola che bolle, bolle, bolle ed alla fine esplode se qualcuno tiene il coperchio schiacciato giù”. Secondo il consulente informatico, classe 1979, “troppo tempo è passato con ingiustizie ed incomprensioni da ambo i lati, ed ora questo vedere solo il ‘chavista’ o l’’escualido’ si riflette in tutti gli ambiti della vita perché diventa un modo di vedere le cose ed affrontare la quotidianità. Purtroppo - conclude - è difficile stare da una parte mantenendo la propria criticità”.
Tina Di Battista, presidente dell’Associazione Abruzzesi e Molisani in Venezuela, teme che lo strappo creatosi in seno alla popolazione sia difficile da ricucire.
- Dobbiamo ricapirci, ricomprenderci - sostiene - per evitare una situazione di non ritorno, una situazione insanabile.
Anche Mario Neri, membro del Circolo Antonio Gramsci, riconosce la “politicizzazione delle idee che impedisce il confronto a tutti i livelli, da quello universitario a quello parlamentare”.
- Basta osservare i mezzi di comunicazione - afferma - autoreferenziali e monchi di un format di vero dialogo politico, come quello che esiste nei programmi tv italiani.
Questa polarizzazione, secondo Neri, si sta gradualmente riducendo.
- L’opposizione ha capito che non può criticare tout court, e i sostenitori del governo che le critiche devono esistere in quanto possono essere utili e costruttive. Ora non resta che imparare, come in Italia, a rimproverare in modo vero e documentato.
Il rischio di una posizione ‘con me o contro di me’, che “ricorda quella del Belpaese dove si aspetta solo l’elezione che potrebbe determinare la caduta dell’imperatore”, come sostiene Emanuele Caglieris, 1979, impresario nel settore turistico, rischia nel frattempo di “far perdere il concetto di programmazione e miglioramento quotidiano”.
Il clima da ‘guerra fredda’ s’intuisce senza sforzo ascoltando i toni duri di quegli italiani preoccupati per i movimenti politici in corso. A Renzo Scuteri, presidente dell’Associazione Marchigiani in Venezuela, che parla di una “politica sempre più dittatoriale, autocratica”, fa eco Davide Morbidelli, classe 1981, quando parla di “regime” e denuncia “la chiusura di tutti i mezzi di comunicazione dell’opposizione”.
Anche Tina Di Battista non risparmia parole severe:
- Siamo in un paese dov’è in discussione lo stato di diritto, la sicurezza giuridica, la punibilità dei delitti, la separazione dei poteri. Questo ci fa chiedere: siamo davvero in democrazia o esiste solo il manto della democrazia?
Facendo “dell’antifanatismo la mia bandiera”, taglia corto Attilio Frugoli: “Si dovrebbero sostituire le urla di tutti gli schieramenti politici con l’ascolto, il dialogo e la tolleranza”. Del resto, lo diceva anche un antico proverbio: “Abbiamo due orecchie ed una sola bocca per parlare di meno ed ascoltare di più”.

Sprechi e reciclaggi
La politica, e l’identificazione dell’avversario con il ‘diavolo’, non è altro che un “catastrofico alibi dietro il quale nascondere i gravi difetti del singolo cittadino”. Tra questi, quello della poca cura dell’ambiente che sfocia nel grave problema dei rifiuti che affligge tanto i centri urbani quanto le zone verdi. Ne è convinto Emanuele Caglieris, dando voce alla sua esperienza a Isla Margarita.
- Margarita è un’isola in parte molto sporca. Ma non è il governo a dire di tirare in ogni dove lattine di birra ed altra spazzatura. Nessuna parte politica - afferma - può cancellare i cattivi comportamenti del singolo cittadino.
Per affrontare e risolvere l’emergenza, secondo Mario Neri, deve “aumentare lo sforzo dei singoli e dello Stato perchè il problema è trattato oggi ancora a livello superficiale. Ad esempio - continua - la tv non trasmette quasi mai messaggi ecologici”. A rimarcare l’idea Fabio Avolio, insegnante trentenne:
- Nonostante esperienze positive, ma purtroppo puntuali, che riguardano il riciclaggio della carta e del vetro, l’interesse per il problema è ancora solo latente. Manca una transizione definitiva verso un sistema integrale di raccolta differenziata, un piano alternativo a quello, obsoleto, basato su discariche e non differenziazione, che rischia di avvicinare il Venezuela al rischio di collasso dei rifiuti a cui abbiamo assistito in Campania.
La filosofia dello spreco si riversa anche sul settore energetico, la cui crisi è un problema per numerosi concittadini. Per Carla Diaz Favuzzi, classe 1986, studentessa dell’Università Centrale di Caracas, quello della mancanza di energia elettrica per far fronte alla necessità della popolazione è addirittura il primo problema che affronta il Paese.
Probabilmente la causa di questa crisi - che tocca anche altre nazioni dell’America latina e centrale - è “culturale”, come afferma Mario Neri, perchè in Venezuela “tutti, dal singolo cittadino alle istituzioni, sono abituati a sprecare”. A questo, certo, si aggiunge una ragione più... accidentale: la siccità. La scarsità di piogge che ha caratterizzato quest’ultimo periodo, ha infatti portato alla luce il limite strutturale di una ‘monocoltura energetica’, un sistema basato, per il 70 per cento, su un’energia di tipo idroelettrico.
Problema antico, quello energetico, eredità di politiche passate o mancanza da parte di quelle attuali. Certo è che, oggi come oggi, sembra “ineludibile il ricorso a soluzioni d’emergenza quali il risparmio energetico da applicare a tutti i livelli”, come sostiene Renzo Scuteri.

... ma non solo
“Pobre país rico... están acabando con este paraíso” sospira Gesualdo Paternò, di Guanare. Certo, come in tutti i Paesi, anche in Venezuela i problemi non mancano.
Romano Nosei, Presidente dell’Associazione Toscani in Venezuela, tocca il tema scottante dell’insicurezza, preso sottogamba e non sufficientemente considerato dall’apparato statale.
- Il problema non è preso in considerazione e non vengono adottate le misure adeguate. La politica è sempre il primo pensiero, mentre si scordano i problemi della gente. Si fanno tanti discorsi - prosegue - per i morti in guerre lontane o tragedie vicine, ma poi ci si dimentica dell’indice delittivo che a Caracas è primordiale: il problema non è la piccola delinquenza, ma la costante minaccia di morte - decreta.
Piero Armenti, ex giornalista della ‘Voce’ ed autore de “L’altra America. Tra Messico e Venezuela storie dell’estremo Occidente”, sottolinea la necessità di una magistratura che sia indipendente dall’esecutivo, “più celere nell’emettere le sentenze e formata da un corpo giudiziario di qualità”. Inoltre, nota la “mancanza di un sistema ferroviario esteso sul territorio” e critica la retribuzione eccessivamente bassa concessa al corpo insegnanti di livello universitario, che limita la crescita scientifica del sistema e impedisce di essere competitivi a livello internazionale.
I limiti del sistema d’istruzione si riversano poi sul settore lavorativo. Martino Verdana critica la “scarsa presenza di personale preparato e preciso”, sostenendo che “spesso la gente è portata ad affrontare con superficialità compiti e carriere professionali”. Una difficoltà nel reperire “materiale umano” affidabile che “si può risolvere con formazione, promozione della cultura e meritocrazia: tre aspetti che, per fortuna, l’attuale governo sta cercando di introdurre nella società”.
Pedro Paolucci, presidente dell’Associazione A.n.c.l.a., aspira invece ad “una nuova revisione del sistema sanitario, anche prendendo spunto da quello italiano”. Desiderio condiviso da Alessandra Ricciolo, 45 anni, volontaria della Caritas di Barinas. Secondo l’intervistata, il problema è “la difficile accessibilità al servizio sanitario pubblico per coloro che non sono coperti, in parte o in toto, da un’assicurazione, a causa delle lunghissime liste d’attesa negli ospedali. Il numero di medici e chirurgi - spiega - non è sufficiente, anche se i professionisti del pubblico sono di ottimo livello”.
Le preoccupazioni degli italo-venezolani riguardano anche la situazione socio-economica del Paese.
Paolucci, riprendendo la parola, si dimostra preoccupato per i “costi sociali” del processo di trasformazione in atto in Venezuela che, secondo lo psicologo, “gradualmente convertono lo Stato in unico e solo datore di lavoro” mentre Renzo Scuteri resta perplesso dinanzi alla carenza d’investimento estero nel Paese, dovuta, secondo lui, alla “poca credibilità derivante dall’insicurezza giuridica”. Il presidente dei Marchigiani in Venezuela, che è anche imprenditore nel campo dell’abbigliamento, fornisce inoltre il suo punto di vista riguardo l’attuale situazione dell’imprenditoria, che secondo lui sopravvive ad un tris pericoloso: “forte calo nelle vendite, recessione, riduzione del mercato”.
- L’effetto Cadivi è letale perchè non vengono pagate le materie prime come si dovrebbe, e questo alza i costi interni. Gli imprenditori non possono lavorare perchè non sanno se e quando Cadivi approverà il cambio, e dopo quanto tempo avverrà il pagamento. Quindi, conviene importare dall’estero i prodotti pagandoli con il dollaro parallelo piuttosto che produrre gli stessi nel Paese. È molto più economico. Ormai tutti lavorano con il dollaro parallelo, è il prezzo di riferimento. Questo certo non stimola la produzione: noi che già ci siamo ‘tiriamo avanti la baracca’ finchè restiamo a galla, ma per i nuovi è dura...

domenica 11 aprile 2010

Lega Nord in Venezuela. Ma non era il Sud del mondo?

di Monica Vistali

CARACAS - Marco Polesel, membro sostenitore della ‘Lega Nord Italia’, invita ad iscriversi al gruppo ‘Lega Nord Estero Venezuela’ (LNEV). “Perchè al momento della elezioni in Italia, non ci troviamo all’ultimo minuto con domande e dubbi” precisa Polesel, che è anche leader del ‘Movimiento Autonomista de la Derecha Liberal’ in Venezuela e direttore politico del Movimiento Democrata Liberal.
Ricordando il "sangue crociato" dei deliri di Borghezio, le elezioni nella mia natia Brescia che hanno messo sulla poltrona Renzo "La trota" Bossi, autorevole autore del giochetto "Rimbalza il clandestino", eletto dal popolo grazie al suo prestigioso curriculum, decido che la nota si commenta da sola.

lunedì 5 aprile 2010

Noi, che partiamo per l’Italia ma poi preferiamo il Venezuela

“Gli oriundi sono trattati da stranieri nella loro patria - denuncia Pedro Paolucci, vice-Presidente di Ancla - e il 90 per cento è costretto a tornare in America latina”

Di Monica Vistali

CARACAS – Poco lavoro, burocrazia inconcludente, rifiuto sociale. Partono convinti di trovare il paradiso, e tornano delusi dopo pochi mesi. Sono i latinoamericani, la maggior parte di origine italiana, che abbandonano la terra del Sud in cerca di una vita migliore in Italia, dove arrivano con una valigia di speranze gonfiate dai media e dai racconti nostalgici dei nonni. A denunciare la situazione è Paolo Paolucci, vice-presidente dell’Associazione Nazionale Civile Latinoamericani in Italia (Ancla), composta per la maggior parte da venezolani e italovenezolani.
- Il sogno americano oggi è rovesciato - spiega lo psicologo - e disilluso. Quando atterrano in Italia, gli oriundi sono stranieri in quella che dovrebbe essere anche la loro patria. E, alla fine, il 90 per cento di loro ritorna a casa.
Originariamente il gruppo si rivolgeva solo ai latinoamericani in Abruzzo, regione che oggi accoglie 20 mila venezolani, tra cui Paolucci. Solo a Pescara, dove vive, sono in 5 mila, con tre caratteristiche ‘areperas’.
Il presidente dell’Associazione, che da Pescara gestisce anche un omonimo portale web ed una radio di orientamento e sostegno ai connazionali in Italia, ‘Sabor del Caribe’, illustra come drammatica la vita dei nuovi arrivati. Un “popolo di colf e maggiordomi”, come afferma la rivista “Terre di Mezzo” in riferimento all’ultimo rapporto “Caritas-Migrantes”.
- Il primo ostacolo è sicuramente la lingua, che diminuisce le già scarse opportunità di lavoro offerte agli stranieri. Le occupazioni possibili sono solo quelle rifiutate dagli italiani perchè considerate ‘non sufficientemente dignitose’: dall’assistenza agli anziani alla pulizia delle strade. L’atteggiamento difensivo, per un popolo bombardato da cifre allarmanti sulla disoccupazione e la cassa integrazione, non stupisce.
Le difficoltà continuano quando i migranti provano a regolarizzare la loro posizione sociale e lavorativa, soprattutto ora che “lo Stato italiano redatta leggi sempre più severe e restrittive” nei loro confronti.
- Quasi sempre si lavora ‘in nero’ perchè il datore di lavoro non si preoccupa dei permessi di soggiorno e delle relative pratiche. Cosìcchè l’80 per cento degli stranieri è costretto a restare senza documenti in regola, a vagare nella clandestinità - denuncia Paolucci.
Una clandestinità non uguale per tutti. Un “sentimento di razzismo latente”, come lo definisce lo psicologo, che si muove ancora tra gli animi italiani, fa sì che ogni nazionalità latina venga abbianata a determinate caratteristiche. Ecco allora che il ragazzo di Santo Domingo appare come ribelle ed insofferente alle regole, a differenza del più tranquillo argentino; così la brasiliana diventa una ‘poco di buono’ e la cubana una donna che rincorre esclusivamente i soldi di ricchi cinquantenni.
La radio, il portale web e l’Associazione, fondata nel 2008, sono di grande utilità sia per chi pensa di lasciare l’America latina sia per chi è appena giunto nel Belpaese.
- Ci contattano in tanti. Noi consigliamo di prendere in esame attentamente la decisione di partire perchè prima di avventurarsi bisogna essere coscienti del fatto che l’Italia, oggigiorno, non è il paradiso. Poi forniamo un orientamento di tipo lavorativo e chiariamo eventuali dubbi e problematiche relative ai documenti personali. Lo facciamo perchè sappiamo cosa significa arrivare in un nuovo Paese e non trovare nessuno disposto a darti una mano.
Le esperienze dei migranti, secondo Paolucci, sembrano dimostrare che, nonostante tanti problemi, il Venezuela sia ancora in grado di offrire buone opportunità socio-lavorative mentre l’Italia, la tanto decantata Italia, regali ai nuovi arrivati solo tante porte chiuse. Posizione contraddittoria per un Paese che nel XX secolo ha visto più di 5 milioni di suoi cittadini accolti dall’America del Sud e ben 900 mila dal solo Venezuela.
- La gente si rende conto di quello che ha solo quando se ne va lontano - conclude Paolucci.