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domenica 28 marzo 2010

Claudio Abbado trapianta in Italia il “Sistema” delle orchestre venezolane

La bacchetta Abbado riproduce in Italia “El Sistema” venezolano: rete nazionale di orchestre giovanili che si pone come riuscito modello di partecipazione, integrazione e riscatto sociale. Il “Sistema” creato da Juan José Abreu, nipote di un emigrato italiano, ha creato 150 orchestre giovanili e 140 infantili, diminuendo il numero dei ragazzi di strada.

di Monica Vistali

CARACAS - Il celebre direttore d’orchestra, Claudio Abbado, ha deciso di trapiantare in Italia il “Sistema” Fesnojiv (Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela) del venezolano Juan José Abreu, di cui da anni è profondo stimatore, creando una rete di orchestre giovanili regionali. Il Maestro ha dichiarato infatti che “grazie ad amici ed appassionati stiamo creando gruppi orchestrali con lo stesso sistema didattico e sociale inventado da Abreu”.
Per il momento si stanno creando orchestre giovanili a Roma, Bolzano, Milano e in Toscana; Bologna aveva anticipato il progetto quando nel 2004 creò l’Orchestra Mozart gestita da Abbado come Direttore artistico e Metheuz come principale direttore invitato.
Abbado va e viene continuamente tra l’Italia e il venezuela per dirigere l’Orchestra Simón Bolívar, tanto nel suo paese d’origine come durante i tour. L’ultimo concerto è stato il 20 marzo, quando ha aperto con l’Orchestra venezolana il Festival svizzero di Lucerna.
Il “Sistema” creato da Juan José Abreu, nipote di un emigrato italiano, ha portato alla creazione di 150 orchestre giovanili e 140 infantili, insegnando a suonare uno strumento a 250mila under 18. Tra i giovani musicisti sono emersi numerosi talenti internazionali, tra i quali il riconosciuto maestro Gustavo Dudamel. Spiega Abreu: “Il progetto nacque con una finalità prevalentemente sociale: attraverso la musica, togliere dalla strada e riscattare dalla povertà bambini e ragazzi”.
Lo scorso ottobre, presenziando ad un concerto dei ragazzi di Dudamel alla ‘Scala’, anche la sindaco di Milano, Letizia Moratti aveva annunciato il proposito di creare nella sua città un sistema musicale sull’esempio di quello latinoamericano. Inoltre, invitata dalla bacchetta José Abreu, aveva espresso la volontà di recarsi in Venezuela per conoscere il Sistema di orchestre infantili e giovanili.

giovedì 25 marzo 2010

Gli italovenezolani e la Ley Organica de Educaciòn

Un coro di ‘no’ dalle associazioni italo-venezolane. E i giovani?

CARACAS – L’opposizione non è sola. Nella dura lotta contro la Legge Organica dell’Educazione approvata dall’Assemblea Nazionale e promulgata dal presidente venezolano Hugo Chavez lo scorso sabato 15 agosto, può contare sulle fila delle associazioni italovenezolane, schierate contro quella che, ne sono certi, è l’azione di un dittatore che vuole manipolare le menti dei più giovani e limitare la libertà. Più che un’idea un preconcetto, dato che molti questa legge non l’hanno mai neppure letta.
Quasi sempre senza citare articoli particolari, i rappresentanti degli italovenezolani si dichiarano preoccupati per il futuro dei propri figli, a causa di quelle “tendenze mussoliniane del Governo” che mirano ad impartire “lezioni d’ideologia”. Indottrinamento, insomma. C’è addirittura chi, intimorito, sceglie di non identificarsi “perchè loro sono pericolosi” ma non si nega quando gli si chiede un’opinione: “È un disastro, un atto dittatoriale. Il 99% degli italiani in Venezuela la pensa come me: andiamo verso un sistema che non accetteremo mai perchè l’abbiamo già vissuto con il fascismo italiano. La soluzione sarebbe quella di andarsene tutti!”.
“È un tipico atteggiamento comunista. Vogliono manipolare i nostri bambini con la speranza di poterli dominare nel futuro” ci dice Renzo Scuteri, dell’Associazione Marchigiani nel mondo. E prosegue: “D’ora in poi tutte le decisioni verranno prese dal Governo, non dalle scuole. E il Governo farà il lavaggio del cervello ai nostri giovani, com’è accaduto in Italia ai tempi di Mussolini”.
Parole forti anche da Enzo Gandia. Il presidente dell’associazione friulana Fogolar Furlan esordisce sottolineando come questa legge che “proibisce tutto e lascia al Governo ogni libertà”, “fatta in fretta e furia ed accettata ad occhi chiusi”, preoccupa gli italiani, soprattutto quelli che hanno figli a scuola. Secondo Gandia, ora che è stata approvata la LOE “invece d’insegnare l’importante, ossia dare istruzione, s’impartiranno lezioni d’ideologia”. “Ma in fondo - continua - possono insegnare qualsiasi cosa. Sono convinti che la gente non abbia bisogno d’istruzione perchè il Governo promette di mantene tutti. Poi bisogna vedere se lo farà. In vista c’è solo fame e disinformazione”.
Il presidente conclude sottolineando che “fino ad oggi quella venezuelana era una buona scuola” e che i laureati “hanno trovato lavoro in tutto il mondo e sono apprezzati”. Che, alla fine, “non c’era bisogno di cambiare nulla”. I laureati, certo. E tutti gli altri?
L’idea che la LOE sia solo l’ultimo passo di un regime antidemocratico, è forte anche in Fernanda Moglia. La presidentessa dell’A.C. Piemontesi nel Mondo in Venezuela riserva per i “sostenitori chavisti” parole d’indignazione.
“Me l’aspettavo da questi. È una legge fatta con i piedi, non con la testa. Io, con la mia mentalità europea, non potrei mai accettare questo lavaggio del cervello che vuole solo piccoli robot che pensano allo stesso modo. Io, se avessi figli, non li farei andare i queste scuole dove non si può opinare!”.
Pasquale Di Pasquali, presidente dell’A.C Abruzzesi e Molisani nel Mondo:
“I valori e le ideologie si devono insegnare in famiglia, non a scuola. La LOE è uno strumento legale per agire in modo dittatoriale, per far crescere i nostri figli con la mentalità del Governo”.
Proseguono le critiche nelle parole di Mariella Passarelli, presidentessa dell’A.C. Campani in Venezuela, che denuncia come si stia toccando “l’autonomia universitaria quando le università devono essere libere!” e Marisela Neppi, presidentessa dei Marchigiani in Venezuela che dichiara: “Ci hanno messo dentro tutto in questa legge. E quello che ci aspetta non è per nulla positivo”.
Ascoltando le parole degli italovenezolani delle associazioni, si percepisce con chiarezza un’avversione che prescinde gli articoli di una legge che in pochi hanno davvero letto. Si parla di dittatura, fascismo, libertà strozzata, lavaggio del cervello. Ma non si chiarisce bene in che modo venga attuato tutto questo, con quali strumenti. Si parla anche dell’imposizione di un’ideologia, quando è ben noto che qualsiasi insegnamento sottostà ad un sistema di pensiero, sebbene nascosto. Ma la Legge, in questo, non è criptica: nell’ar­ticolo 11, infatti, si dichiara esplicitamente che l’istruzione si baserà “sulla dottrina bolivariana”.
Sembra, a conti fatti, che la contrarietà alla Ley de Educaciòn provenga più dall’avversità ai ‘loro’, i chavisti, piuttosto che da un’analisi attenta della stessa. Una presa di posizione politica piuttosto che un’analisi critica.
I principi ed i valori che reggono la legge sono, secondo l’articolo 3, “vita, amore, democrazia partecipativa e protagonista, convivenza, libertà, emancipazione, uguaglianza, equità, indipendenza, sovranità, pace, solidarietà, cooperazione, bene comune, giustizia sociale, gratuità, obbligatorietà, uguaglianza di genere, integralezza, identità, diversità, laicità, carattere pubblico, interculturalità, pluriculturalità, multietnicità, plurilinguismo, permanenza, non discriminazione, valoralizzazione etica dal lavoro, inclusione, onestà, pertinenza, creatività, innovazione, critica e ecologia”. nulla contro cui battersi, quindi. E nulla di cui temere. Al contrario di quello che sostiene l’opposizione, infatti, la LOE difende la patria potestà in quanto, dice testualmente nell’articolo 12, “la famiglie hanno il dovere il diritto e la responsabilità nella formazione di valori, principi, credenze, comportamenti, norme e abitudini in bambini, bambine, adolescenti, giovani ed adulti”. Inoltre, si rispetta il pluralismo ideologico che si basa in parte nella dottrina bolivariana, in quella di Simón Rodríguez e nell’umanismo sociale, oltre ad essere aperto a tutte le correnti di pensiero.
Inoltre, la “legge fatta in fretta e furia” è stata approvata dopo che i deputati dell'opposizione hanno abbandonato la sede del Congresso di Caracas, promettendo di un referendum abrogativo. Dunque, la legge è stata varata con il voto unanime dei presenti dopo oltre dieci ore di dibattiti in aula.
Ma le associazioni italovenezolane sono ferme e con gli occhi bendati. Con le dovute ed onorate eccezioni, certo. Come Biagio Ignacchiti, dell’Assolucana, che dichiara sereno: “Ho comprato ieri il testo della legge per sapere bene di cosa si tratta. Poi potrò pronunciarmi pienamente cosciente di quello che dico”.


Parlano i giovani

CARACAS – Sono pochi, purtroppo, i ragazzi che conoscono i contenuti della nuova Ley Organica de Educacion. Tanti - studenti, giovani lavoratori - dichiarano che ancora non hanno avuto opportunità di leggerne il testo, che non conoscono a fondo i dettagli, che non sono in grado di giudicare. C’è anche chi, pur non avendo letto il testo, azzarda commenti.
“Non l’ho letta ma me l’hanno spiegata - ci dice Giordano D’Acquario, 35 anni – e non sono d’accordo su questa tendenza a voler trasmettere l’ideologia del governo”. O ancora Gianni Camporosa, pubblicitario di 30 anni: “Non l’ho letta ma non sono d’accordo su queste leggi che promuovono un cambio all’indietro piuttosto che in avanti”. Camporosa si dichiara contrario anche alla “volontà di eliminare la religione cattolica dagli istituti privati” proprio ora che questa è “minacciata dalla dilagazione di altre religioni”.
Ma le eccezioni emergono con forza, da ambedue gli schieramenti che si scontrano per l’ennesima legge della discordia.
C’è chi, come il giovane italovenezolano Pedro Paolucci, è convinto che la legge sia un “fiasco” che mira solo a “lavare il cervello ai nostri figli mettendo la politica nelle scuole”. Paolucci non si dimostra incerto e prosegue: “Il testo di legge non fa altro che delegare poteri al ministro per far si che si faccia quello che vuole il ministro di turno”, “La nuova legge impone l’odio per le oligarchie”, “Qui in venezuela nessuno e niente più progredire”. Finisce poi con prendersela con il Governo che “persegue, criminalizza, incarcera e squalifica coloro che hanno un modello di pensiero diverso” e dichiara: “Il governo deciderà dove e cosa studierà tuo figlio, dove lavorerà. Alla fine i figli inizieranno a disubbidire agli ordini dei propri genitori. Questa è educazione? No, questa è una ‘Cubazuela’ con cui dobbiamo farla finita. M’intristisce come il nostro paese sprofondi nella miseria, nell’insicurezza e nell’odio del suo stesso popolo a causa di questo gorilla che abbiamo come presidente”.
Dall’altra parte dello specchio Fabio Avolio, insegnante, 29 anni, manifesta il suo sostegno alla Ley de Educacion soprattutto perchè contenente, spiega, elementi democratici. A esempio, ci dice, prima i voti avevano “pesi diversi a seconda che provenissero da un rettore piuttosto che da uno studente, mentre adesso ogni persona all’interno del ‘sistema scuola’ - studente, insegnante, personale amministrativo che sia - avrà diritto ad un voto paritario durante qualsiasi votazione”.
Una legge positiva che, secondo Avolio, “riesce a rompere gli schemi” del sistema sistema venezolano dove “il livello accademico è qualitativamente basso” e “la relazione studente-professore alienante”.
- C’era bisogno di una riorganizzazione, soprattutto ora che la società è cambiata, anche da un punto di vista demografico. Questa riforma dell’istruzione, la prima nella storia venezolana, segue una strada perfettamente legale e arriva da un governo al potere da un decennio. Inoltre, al contrario di quello che dicono, non è nata da un giorno con l’altro ma era già pronta l’anno scorso. Avevano solo rinviato la discussione.

Elezioni: dalla Sicilia a Caracas per salvare il paesello natio

L’aspirante sindaco di Limini, Sebastiano Mesumeci è stato in Venezuela per incontrare i 200 liminesi che compongono un terzo del suo intero elettorato


di Monica Vistali

CARACAS – Un aspiran­te sindaco messinese in campagna elettorale a Caracas per risollevare le sorti del suo paesello de­stinato a scomparire. Un caso più unico che raro quello di Sebastiano Me­sumeci, candidato nelle fila del Pd, che ha dovu­to attraversare l’Oceano per incontrare quei più di 200 potenziali elettori che da anni risiedono in Venezuela, dislocando così ben un terzo delle 600 persone che com­pongono l’intero eletto­rato del dimenticato pa­esino di Limina. Come dichiara l’editore Eligio Restifo, “le elezioni di maggio le decidiamo noi in Venezuela”.
Mesemuci è intenziona­to a ripopolare il paesino natio da cui tutti conti­nuano costantemente a scappare, soprattutto in Venezuela.
- Dopo l’ultima guerra - spiega a La Voce - Limina contava 2500 abitanti e prospettive di sviluppo ancora più scarse di quel­le attuali. Così la gente ha iniziato ad emigrare, prima in America - spes­so in Venezuela dove si è creata pian piano una piccola comunità - poi nel Nord Italia o in Ger­mania. Oggi ci sono li­minesi in 39 Paesi nel mondo.
Il trand, da allora, non ha più cambiato rotta. Per per morte naturale o per emigrazione, la gente continua ad andarsene e, come esito di questa ten­denza, è stata prevista la chiusura demografica del paese nel 2040.
- Il Sole 24ore ha posizio­nato Limina, come svi­luppo e possibilità di cre­scita, all’ultimo posto tra i comuni di Messina, cit­tà costantemente in coda alle classifiche. È normale che, soprattutto i giova­ni, vogliano scappare.
Oggi, in tutta Italia, le nuove generazioni cerca­no all’estero quello che il proprio Paese non è in grado di offrire. Limina, più che un’eccezione, rappresenta l’apice di una crisi nazionale.
Come spiega Mesume­ci, il problema di Limi­na risiede soprattutto nell’inefficiente sistema occupazionale.
Come rimedio alla man­canza di offerta comune a tutto il Mezzogiorno, il candidato propone una serie di iniziative com­merciali basate in partico­lar modo sui prodotti ti­pici della regione. In testa al programma, quindi, un centro di macellazione e un’impresa di trasforma­zione carni, un caseificio, una filiera commerciale e punti di produzione per prodotti agricoli rinoma­ti come olio d’oliva e for­maggi. Parallelamente, la creazione di un marchio doc per la gastronomia locale.
L’aspirante sindaco, inol­tre, pensa a rispolverare un vecchio programma di forestazione che conti sui finanziamenti dell’Unio­ne Europea e progetta la creazione di un’impresa agrituristica per la quale utilizzare case popolari non assegnate.
- Ho parlato del mio pro­gramma lo scorso sabato durante un incontro che un gruppo di liminesi ha organizzato all’Hotel Co­liseo. Una riunione im­portante tra compaesani per cui devo ringraziare il presidente dell’Asso­ciazione Siciliana, l’edi­tore Eligio Restifo e tutti quelli che si occupano della mia campagna elet­torale in Venezuela: Giu­seppina Palella, Filippo Occhino, Emilia Noto, Nino Carbone.
L’incontro, secondo Me­sumeci, ha “recuperato il legame con gli elettori” che, da tempo, incon­travano solo i candidati dell’attuale maggioranza.
I flussi migratori tocca­no Mesumeci non solo dal punto di vista poli­tico. Suo padre è stato, infatti, uno di quei tanti liminesi che negli anni Sessanta partivano per la Germania e inviavano a casa le rimesse per la famiglia. Per Mesumeci quegli anni da ‘orfano’ sono “gli anni in cui davo a mio padre del Voi, con distacco”, sono “i racconti della solida­rietà tra compaesani, del duro lavoro, delle rigide norme tedesche, tanto lontane dal regime liber­tario della Sicilia”.
Ma non è tutto. L’aspi­rante sindaco è felice­mente sposato con una figlia di liminesi emigrati a Caracas, che ha incon­trato per la prima volta quando lei era in vacanza nel paesello dei genitori. Un amore travolgente: la bella ha lasciato il suo Studio legale nella capi­tale latinoamericana per una vita da casalinga a Limina. Diciamo che Me­sumeci ha iniziato con la moglie il nuovo avvenire di quel piccolo, piccolo paese che - speriamo - torni a ripopolarsi.

Italiani in Venezuela. Il punto con il Console Davoli

Al termine di una serie di incontri con la Collettività in tutto il territorio il Console generale d’Italia in Venezuela fa il punto della situazione. Tra i temi affrontati i tagli dei finanziamenti, l’assistenza, i passaporti, i sequestri e gli espropri.

di Monica Vistali

CARACAS – Presenza, accessibilità, concretezza e risposta pronta. Sembrano essere queste le parole d’ordine del Console Generale di Caracas, Giovanni Davoli, che dal suo arrivo a giugno ha già visitato numerose città del Venezuela per incontrare personalmente la Collettività, ascoltarne le problematiche e, quando possibile, trovare le soluzioni. Tagli nei finanziamenti, assistenza diretta, passaporti e documentazioni varie, sequestri, espropri: ognuno dice la sua. - La mia priorità sono gli incontri pubblici perchè permettono di ridurre la distanza tra il connazionale e l’Istituzione – spiega Davoli – soprattutto per quanto riguarda le città lontane dalla capitale. Lo scopo è quello di rendersi accessibili, dando la possibilità ai cittadini di esprimere necessità, esporre problematiche, manifestare desideri.
Il diplomatico, dall’agenda fitta, ha già toccato le città di Maracay, Valencia, Barquisimeto, Porlamar, Puerto la Cruz, Valle de la Pascua, Puerto Ordaz, Ciudad Bolivar, oltre alla Guiana francese e le isole di Trinidad y Tobago, Santa Lucia e Antille Olandesi, sulle quali ha la competenza. Prossima tappa: Barinas. Una scelta logistica non affidata al caso, ma pensata per raggiungere comunità dove non esiste l’Ufficio Consolare Onorario o dove da anni non si recavano diplomatici di livello. Un deficit in alcuni casi gravissimo: gli italiani di Valle de la Pascua, ad esempio, non avevano mai ricevuto la visita di un Console.
In generale, la Collettività assiste numerosa agli incontri con il diplomatico. All’interno dei Centri Sociali italiani sono numerosi i connazionali che, interpellati dai rappresentanti della Comunità, dai Vice Consolati e dai Centri stessi, assistono non già da semplici spettatori ma esprimendo le proprie preoccupazioni.
- Spesso sono problemi che si trascinano da anni – racconta il Console Generale – soprattutto nel caso di città periferiche. Mi chiedono come risolvere difficoltà inerenti la cittadinanza o come ottenere il sussidio in caso d’indigenza.
I sedici Uffici Onorari, cui si aggiungono i Corrispondenti consolari, “lavorano tanto ed in condizioni difficili” ma proprio in quanto ‘onorari’ “non sempre hanno la preparazione sufficiente per rispondere ai bisogni dei connazionali”. Qui entra in gioco l’importanza della figura diplomatica concretamente presente, accesibile.
- Anche un solo caso risolto giustifica il viaggio – afferma sicuro il Console Davoli.

Il Consolato a Caracas
Le ultime due Finanziarie disposte dal governo hanno sentenziato severi tagli nel capitolo delle risorse destinate agli Italiani all’estero. Anche se le decurtazioni alla rete consolare non hanno toccato nessun Paese dell’America latina, i fondi disponibili nelle casse diplomatiche sono sempre minori. La priorità è quindi una riorganizzazione del lavoro a livello centrale e nelle singole sedi.
- Lo sforzo è nella direzione di una informatizzazione del lavoro. Ad esempio, ora non dialoghiamo più attraverso i corrieri diplomatici, che gravavano fortemente nei bilanci, ma attraverso la posta elettronica certificata. Un’azione necessaria iniziata, in ritardo rispetto ad altre sedi, solo con il mio insediamento. Certo – ammette il Console – la difficoltà è cambiare gli automatismi dei funzionari. Ma l’impegno è necessario.

Il capitolo ‘Assistenza’
All’interno del Consolato di Caracas, l’ufficio Assistenza è il più frequentato e ogni giorno aumenta il numero di coloro che richiedono un sostegno di tipo economico. Nel 2009 gli assistiti sono stati 700, più un migliaio di cittadini beneficiari dell’assicurazione sanitaria Rescarven. Ma, a fronte di una mole sempre maggiore di richieste, la quota di risorse si fa sempre più scarsa.
- Ogni anno i bilanci sono tagliati. Per il 2010 è stata prevista una riduzione del 40 per cento per quanto riguarda l’assistenza diretta – spiega il Console – da sommarsi all’ulteriore taglio del 40 per cento deciso per il 2009. Inoltre, solo quest’anno le disponibilità per Rescarven sono scese del 25 per cento.
L’assistenza del Consolato riguarda il sussidio economico classico dato agli indigenti (un importo massimo di BsF 4.900 annuali, che può aumentare in casi straordinari con l’autorizzazione di Roma), la copertura sanitaria Rescarven (negata a chi già beneficia del sussidio e che raggiunge un massimo di BsF 30.000 l’anno) e il sostegno ai detenuti italiani in Venezuela (attualmente 68). Nel 2009 solo in tre casi si è fatto ricorso al sussidio economico straordinario, solo quattro assistiti hanno chiesto l’ampliamento della copertura sanitaria e una sola volta si è attinta una cifra extra dal fondo speciale previsto dall’accordo con Rescarven.
Con la riduzione delle risorse, è fondamentale verificare le effettive necessità dei connazionali. Per la selezione dei beneficiari, si effettuano quindi controlli a campione e si incrociano i dati personali (situazione pensionistica, condizioni di vita, stato di salute) con le dichiarazioni dei richiedenti stessi. Privilegiati coloro che non hanno reddito, pensione e assistenza sanitaria.
- Quasi sempre – spiega il Console Davoli – il sussidio è consegnato in due quote. Questo permette di aspettare il bilancio di assestamento del Ministero del Tesoro che, solitamente tra giugno e luglio, integra il budget stabilito ad inizio dell’anno. La quota extra, nel 2009, “è stata corposa” assicura il diplomatico.
Gli aiuti del Consolato vengono consegnati alla Collettività anche trasversalmente, “attraverso gli ‘atti di cottimo’ con le diverse Associazioni italiane sparse sul territorio” che, secondo il Console, “rendono di più e stimolano il volontariato sociale”. Esempio degno di nota il contributo offerto dalla sede consolare per la creazione dell’ambulatorio campano a Santa Monica, nella capitale, o per quello a Valencia.
Inoltre, dopo essersi resi conto che erano troppo concentrati nella sola città di Caracas, gli ‘atti di cottimo’ sono stati diretti anche alle comunità italiane della provincia come, ad esempio, quelle di Carupano o Upata, di notevole entità.

Restare, comunque
La comunità italiana in Venezuela, anche grazie all’arrivo di nuovi emigranti, è continuamente in crescita. Quello di Caracas è oggi il settimo – ottavo Consolato italiano a livello mondiale. In questi anni sono comunque tanti, tra gli aventi diritto, a fare richiesta della cittadinanza o del passaporto italiani.
Nel 2006 il quotidiano torinese ‘La Stampa’ denunciava la “fuga degli italiani dal Venezuela di Chavez” e i 13 mila passaporti emessi dal Consolato generale di Caracas solo in quell’anno, con una media di 50 al giorno. Oggi le richieste di cittadinanza da parte degli italovenezolani sono più o meno 110 mila. Ciononostante, il Console Davoli non registra una grande migrazione verso l’Italia. Cittadinanza e passaporto sembrano quindi più un’opzione ‘just in case’, documenti da avere nel caso si decida di andare – o tornare – in Italia. E, spesso, una scorciatoia per il passaporto europeo.
Il diplomatico, inoltre, ci tiene a sottolineare la resistenza del personale di ruolo che “viene malvolentieri in Venezuela”, intimorito dalle notizie del Paese che si hanno in Italia.

Sequestri…
Tanti i timori dei connazionali. Ma la preoccupazione maggiore riguarda la sicurezza della persona e dei beni o, più semplicemente, il fenomeno dei sequestri e la questione degli espropri.
In Venezuela il sequestro è una vera piaga sociale che colpisce anche la comunità italiana. Nel 2007, ad esempio, sono stati 26 i sequestri subiti da cittadini italiani. Negli anni, i dati non sono diminuiti. L’ultimo caso quello del 22enne messinese Francesco Giunta Pollino, rapito il 7 febbraio e rilasciato il 25 febbraio scorso. Nel 2004, anche il nonno di Francesco fu sequestrato e venne trattenuto dai rapitori per due mesi.
Tornando indietro nel tempo, nel triennio 2004-2007 sono stati 43 gli italiani sequestrati secondo i dati della Fivavis (Fondazione italiana di aiuto alle vittime dei sequestri). Di questi, 11 nello stato Zulia: regione calda e petrolifera al confine con la Colombia.
- I connazionali devono sapere che le istituzioni italiane hanno la volontà e i mezzi per affrontare queste situazioni difficili – afferma il Console Davoli -. C’è anche un funzionario preposto all’interno dell’Ambasciata: l’Esperto antisequestri. Forniamo supporto e consigli alle famiglie delle vittime, facciamo pressione sulla polizia venezolana. L’importante è che i famigliari ci contattino, denuncino. Al contrario, non possiamo fare nulla.
Per contrastare il fenomeno, è fondamentale la cooperazione con le forze dell’ordine venezolane. Davoli ha riscontrato una buona risposta da parte delle autorità venezolane, con le quali – afferma – c’è “un buon rapporto di collaborazione” che fa sì che “quasi sempre i casi finiscano bene”.

… e espropri
Paura per se stessi e preoccupazione per le proprietà. Le recenti espropriazioni attuate dal governo venezolano non lasciano sonni tranquilli agli italiani proprietari di aziende ed imprese.
Secondo un recente sondaggio della ‘Voce’, la metà degli italiani intervistati presso il Centro Italiano venezolano di Caracas teme di essere espropriata addirittura della propia casa. Questo ovviamentente non è mai accaduto. Si è però proceduto ad espropri previsti dalla “Legge Organica che riserva allo Stato i Beni e i Servizi Connessi alle Attività Primarie degli Idrocarburi” ed a quelli di utilità pubblica.
“La nostra preoccupazione è che non ci pagheranno il giusto prezzo per le nostre ditte” denunciava mesi fa Vito Tridente Sgherza alla stampa locale del suo paese di origine, Molfetta (Bari), dipingendo la sua condizione di espropriato. Il mondo politico italiano era con lui. Il 26 maggio scorso, infatti, alcuni parlamentari del PD, tra cui la Senatrice Anna Finocchiaro, hanno firmato una interpellanza urgente di solidarietà con gli imprenditori d’origine italiana vittime degli espropri in Venezuela. Claudio Micheloni, primo firmatario della mozione, denunciava l’esproprio di 76 imprese che lavoravano nel settore degli idrocarburi, “molte delle quali di proprietà di italo-venezolani”.
Poco distante arrivò a “Italians”, il blog del “Corriere della Sera” gestito da Beppe Severgnini, la lettera di Giancarlo Volante (“Venezuela. Proprio oggi sono venuti a confiscarci degli autotreni”) in cui si denunciava un esproprio accaduto “senza avere la possibilità di difenderci attraverso le autorità competenti”. Alla lettera – e indirettamente alle altre 14 società proprietà di cittadini italo-venezolani – rispondeva prontamente il nostro Ambasciatore Luigi Maccotta. Il diplomatico illustrava le iniziative attivate dal governo italiano per sensibilizzare le autorità locali (Ministero dell’Energia, Azienda Petrolifera di Stato, Ministero degli Esteri, Gruppo Parlamentare di Amicizia italo-venezolano) e spiegava come fossero stati fatti presenti il danno e il disagio che si venivano a creare in seno alla collettività. Rimarcava, comunque, che una legge di nazionalizzazione rientra nell’autonoma sfera di sovranità dello Stato.
Anche il Console Davoli, giustamente, crede che non si possa “contestare una azione dello stato sovrano se fatta nel rispetto della legge” e, come l’Ambasciatore Maccotta, sottolinea che l’unico atto possibile da parte delle Istituzioni italiane è quello di fare pressione affinchè venga rispettata quella parte della normativa che prevede indennizzi equi, tempestivi ed effettivi.
- Le istituzioni italiane – asserisce il Console – sono impegnate su questo fronte con la stessa forza e con la stessa efficacia degli altri paesi europei. Il loro intervento diplomato è risultato essere in molti casi prezioso.

02/09: Un leghista in Venezuela

Febbraio 2009. La Commissione Esteri della Camera, presediuta dall’On. Stefano Stefani, ha visitato Messico, Guatemale e Nicaragua ed è poi arrivata a Caracas per incontrare la comunità italiana in Venezuela. Ho incontrato il Presidente della delegazione, deputato della Lega Nord Padania, noto anche per l’estrosità delle sue offese nei confronti di altri popoli, per ascoltare alcune sua opinioni circa la missione in Venezuela. Alla fine, ci si chiede: E’ davvero una persona all’altezza della carica che ricopre?

di Monica Vistali

CARACAS – Tra contraddizioni e qualche incertezza, il Presidente della Commissione Esteri della Camera Stefano Stefani, deputato della Lega Nord Padania, ha esposto le sue opinioni in riferimento alla missione che ha portato la delegazione da lui presieduta ad incontrare le Istituzioni e le Collettività italiane in Messico, Nicaragua e Guatemala. “E’ una visita per rafforzare i rapporti d’amicizia e per capire le questioni di cui ci occupiamo - ha dichiarato -. Abbiamo cercato di rafforzare l’amicizia in tutti i Paesi in cui siamo stati”.
L’on.Stefani, sottosegretario al Turismo nel precedente governo Berlusconi e politico noto per l’estrosità delle sue offese nei confronti di altri popoli (definì i tedeschi come “invasori che vengono in Italia a fare gare di rutti”), ha voluto sottolineare che “Hugo Chavèz ha ricambiato i saluti del nostro Presidente del Consiglio, considera l’Italia un Paese amico e Silvio Berlusconi un leader amico”. Ha poi aggiunto: “Da quel che ho visto questo sentimento è ricambiato, i nostri cittadini vogliono bene al Venezuela. Non potrebbe essere diversamente: qui ci sono quasi un milione di persone di discendenza italiana”.
Paradossalmente per un Presidente della Commissione Esteri, l’on.Stefani, quando interrogato sulle prospettive future riguardanti la Collettività italovenezolana a seguito di questa visita, ammette di non occuparsi particolarmente delle politiche riguardanti gli italiani all’Estero poichè queste “sono curate nello specifico dai miei colleghi” e c’è “un Comitato permanente che si occupa di queste cose”.
“A seguito di questi incontri non so cosa cambierà - dice - ma secondo me dovrebbe necessariamente cambiare la legge elettorale degli Organi di Rappresentanza perchè, così com’è, non funziona. Forse - continua - dev’essere cambiato anche il Cgie”. L’on. Stefani riconosce la sua ignoranza in materia quando ammette di non sapere se Comites e Cgie siano realtà importanti oppure organismi sopprimibili. Quello che dice, però, è che “dovrebbero essere regolamentati in maniera diversa”.
Prevedibile l’opinione del deputato davanti alla comparazione tra gli italiani emigrati all’estero ed i numerosi immigrati che arrivano in Italia. Se i nostri concittadini con la valigia sono definiti una “ricchezza”, lo stesso non vale per “gli extracomunitari: non sappiamo come affrontare la situazione e regolamentarne l’afflusso”. L’on. Stefani riconosce però che, accanto a “questi marocchini e tunisini che vanno a rubare e a delinquere” ci sono “extracomunitari che hanno fatto molto. Ad esempio, in alcune zone, se loro non ci fossero stati avremmo dovuto chiudere le fabbriche. E poi - continua - ci sono quelli che arrivano in Italia per cercare lavoro ma non lo trovano. E se non lo trovamo vuol dire che le leggi che gli hanno permesso di arrivare nel nostro territorio sono sbagliate”. Il delegato immagina poi questa “gente che arriva con la famiglia e sente il figlio dire ‘Papà ho fame’ o ‘Mamma ho fame’... Cosa dovrebbe fare?” si chiede il parlamentare.
Interessante la visione dell’on. Stefani per quanto riguarda la promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, tanto auspicata durante l’incontro della Delegazione con gli esponenti della Collettività: “La cultura italiana è un mezzo tra gli altri. Io sono un imprenditore e guardo sempre il mio fine: il business. Ad esempio, nel sistema cultura c’è anche la cucina. Io mi sono battutto perchè ‘cucina italiana’ significasse davvero ‘cucina italiana’ e possedesse particolari requisiti, soprattutto per quanto riguarda gli ingredienti di base. Quando era di moda la cucina italiana - ricorda ancora sbigottito - c’era il marocchino che andava a New York e apriva non solo una pizzeria, ma direttamente un ristorante italiano!”.

Sei milioni di voti bolivariani in vista del 2012

Era lo scorso febbraio. Con il 54% venne
accettata la riforma costituzionale proposta dall’Esecutivo per la rielezione indefinita. E
per il presidente si concretizzò la possibilità di una terza candidatura nel 2012.
di Monica Vistali

CARACAS (16 febbraio 2009) - Al secondo referendum, e con “più di sei milioni di voti bolivariani”, Hugo Chavez ha vinto. Secondo il primo rapporto del Consiglio Nazionale Elettorale, il 54,36% dei venezolani ha votato “si” alla riforma costituzionale proposta dall’Esecutivo che permetterà la rielezione illimitata delle cariche a voto popolare, tra cui quella di Presidente della Repubblica. Ora il “comandante”, superato il limite degli articoli 160, 162, 174, 192 e 230 che impedivano la rielezione per un terzo mandato consecutivo di Presidente, governatori, deputati e sindaci, potrà presentarsi alle elezioni del 2012 per consolidare il “Socialismo bolivariano del XXI secolo”: l’ultima rivoluzione del XX secolo e la prima del XXI secolo a livello mondiale.
Poco dopo la proclamazione dei risultati, il leader del PSUV si è affacciato al balcone del palazzo presidenziale Miraflores di Caracas per giurare solennemente, attraverso le parole dell’apostolo San Paolo: “Mi consacro integralmente e definitivamente al pieno servizio del popolo, per tutto il resto della mia vita. Giuro che, a meno che il popolo decida il contrario, questo soldato sarà candidato alle elezioni del 2012 per governare il Paese tra il 2013 e 2019”. Dopo aver felicemente sottolineato l’affluenza registrata alle urne, che supera la soglia del 70%, il Presidente ha definito il risultato del referendum come “la vittoria della verità contro la bugia di coloro che negano la patria, una vittoria su tutta la linea”. “Ve lo avevo promesso: se voi non mancate, nemmeno io mancherò. Oggi – ha proseguito il leader nella sua tradizionale camicia rossa – avete aperto le porte al futuro ed avete definito il mio destino politico, che è anche il destino della mia vita”. Con una voce strozzata che sorvolava la moltitudine di “fedelissimi” arrivati per acclamarlo da ogni zona del Paese con applausi, canti e bandiere rosse, il “soldato del popolo” ha poi letto il messaggio arrivatogli, subito dopo la proclamazione, direttamente dall’amico Fidel Castro: “Carissimo Hugo – scrive il leader cubano – congratulazioni a te ed al tuo popolo per una vittoria che, per la sua grandezza, è impossibile calcolare”.
Ai rappresentanti dell’opposizione, che ritengono la consulta incostutuzionale in quanto proposta già rifiutata nel referendum 2007, non sono stati concessi spazi sino alla conclusione del messaggio presidenziale, durato quasi due ore, dato che il leader ordinò di ritrasmettere a catena, in ogni emittente, la sua “fiesta roja rojita”.
L’appuntamento con le urne è iniziato all’alba, quando i fedelissimi del Presidente hanno attraversato le zone popolari diffondendo ad altissimo volume i noti “tocchi di Diana” per svegliare il popolo votante che poco dopo si è recato nelle 34.322 sezioni dei seggi, aperti sin dalle 6 del mattino. Per controllare la regolarità delle elezioni sono stati incaricati 60 mila osservatori per ciascun schieramento oltre a 98 rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Il Cne (Consiglio nazionale elettorale) ha coinvolto anche circa 30 mila militari per controllare che venga mantenuto l’ordine pubblico. Prima del voto, Chavez aveva comunque assicurato l’accettazione pacifica di qualsiasi risultato ed aveva intimato che chiunque avesse voluto “generare violenza” sarebbe stato “polverizzato dal popolo e dal Governo rivoluzionario”.
Giovedì, davanti alla vastissima platea di simpattizzanti e militanti venuti da tutto il Venezuela per il corteo di chiusura della campagna e riuniti nella centrica Avenida Bolivar di Caracas, il Presidente disse: “E’arrivata l’ora della vittoria definitiva per la rivoluzione”. Avvertì poi che con le elezioni si sarebbe “abbattuta una nuova barriera storica” indispensabile per “consolidare il Venezuela socialista” e si sarebbe definito così il suo “destino politico”. Indispensabile però “una grande forza unitaria, organizzazione e pianificazione” per conquistare “una vittoria storica, una grande vittoria per Ko” nel referendum. “L’immensa maggioranza dei venezolani e delle venezolane sa – concluse il Presidente - che non si tratta di perpetuare Chavez al potere o d’instaurare una tirannia. Si tratta di dare a tutti nuovi diritti, più di quelli già contenuti nella nostra avanzatissima Costituzione”, Il Presidente, spronando il popolo a rifiutare la “bugia oppositrice” del “perpetuarsi della dittatura chavista”, dichiarò poi che con la vittoria degli “esqualidos oligarcas” dell’opposizione si sarebbero arrestati “i progressi della rivoluzione e dei programmi socialisti”. Per contro, i fautori del “no” negarono le accuse sostenendo che la rielezione illimitata avrebbe “monopolizzato il potere nelle mani del Presidente”, in carica dal ’99, perpetuando “l’insicurezza, l’inefficenza, i bambini di strada” ed eliminando la proprietà privata.
Per i venezolani questa è la quindicesima chiamata alle armi indetta dal Presidente Chavez. L’ultima, le elezioni regionali dello scorso 15 novembre, avevano visto il Partito socialista del presidente Chavez conquistare, per la prima volta senza alleati, 17 dei 22 Stati del Venezuela. L’opposizione, vincente nel Districto Capital ovvero la capitale Caracas, festeggiò però la riconferma delle ricche regioni di Zulia e Nueva Esparta e la conquista di Miranda, Carabobo e Tachira.

mercoledì 24 marzo 2010

Fibromialgia, la malattia del silenzio

Artista riconosciuta da istituzioni italiane e venezolane, ora abbandonata da tutti a causa della fibromialgia, la malattia di cui soffriva Frida Kahlo. Alessandra pensa allo sciopero della fame e lancia un appello alla Collettività

di Monica Vistali

CARACAS – “Non sopporti la luce, i rumori. Il tuo corpo vive in un dolore senza sosta, e si blocca. Formicolii dovunque, tremori. Le gambe cedono, le mani non afferrano nulla… Un minimo sforzo ti costringe a letto per giorni. Ma non puoi dormire…”. A parlare è la pluripremiata “miglior artista emergente italo-venezolana” Alessandra De Marco, 34 anni, dal 2006 malata di fibromialgia e fatica cronica. Malattia neurologica estremamente debilitante che colpisce tra il 6 e il 7 per cento della popolazione, contro le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la fibromialgia non ha il riconoscimento ufficiale come malattia invalidante ne in Italia ne in Venezuela. I costi per le cure sono quindi a carico dei malati che, per le loro condizioni, spesso non sono in grado di lavorare.
- É un circolo vizioso. Per curarmi ho bisogno di lavorare, ma nessuno mi assume finché non mi curo - racconta Alessandra -. Ora che ho trovato un buon farmaco, quindi, lancio un appello a tutta la comunità italiana perchè mi offra un qualsiasi lavoro che mi aiuti a coprire le spese mediche. Così posso rimettermi in piedi e dedicarmi al 100 per cento alla mia nuova occupazione.
Per superare una situazione di ingenti spese per visite specialistiche e farmaci, Alessandra chiede un aiuto per organizzare una subasta benefica delle sue opere fotografiche (durante i concorsi valutate BsF 10.000) e si rivolge anche al Consolato d’Italia:
- Finchè non è scoppiata la malattia, in molteplici occasioni ho affittato una stanza del mio appartamento a Chacao ai tirocinanti Mae in stage al Consolato e all’Ambasciata d’Italia. Ora sto un po’ meglio e rimetto a disposizione la mia casa: non chiedo soldi: solo la possibilità di una collaborazione che mi permetta di tornare in forma e trovarmi un buon lavoro.
Quella agli italovenezolani è l’ultima di una serie di richieste di aiuto gridate da Alessandra. E rimaste inascoltate.
- Ho provato di tutto - racconta l’artista -. Anche perchè a causa del mio lavoro free lance non ho un’assicurazione sanitaria. Ho bussato alla porta di Globovision, Canal 8, AvilaTv. Ho anche scritto al presidente Hugo Chàvez. Ma niente. Per alcuni sono nella famigerata ‘lista tascon’- continua - la lista nera di chi ha votato ‘no’. Per altri il mio caso è solo psicologico, si cura con l’agopuntura o non è degno di nota finchè non porto con me tante altre persone. Peccato che tanti malati come me sono bloccati sulla sedia a rotelle e non si possono muovere!
Alessandra oggi è sull’orlo. E annuncia: “Se io e tutti gli altri malati, vittime di maltrattamento, continueremo a restare indifferenti alle Istituzioni, inizierò lo sciopero della fame”.

L’odissea medica
Il farmaco magico di Alessandra si chiama Procaina, un anestetico endovenoso. Lo ha scoperto per caso dopo un’odissea medica fatta di infinite diagnosi e disparate terapie. Un labirinto che attraversano tutti i malati - racconta Alessandra - perché “a causa dei suoi sintomi variabili, diagnosticare la malattia non è semplice. Inoltre i medici non la trattano, non la conoscono e ti parlano di epilessia, cancro alle ossa, depressione, ti accusano di essere ipocondriaca…”.
Per la fibromialgia non esiste una soluzione definita. Quello che risulta benefico ad un paziente, è nocivo per un altro. Alessandra aveva provato ogni tipo di medicina e cura, finchè una clinica, dopo una serie di appuntamenti dal costo di BsF 550 l’uno, le aveva prescritto un trattamento da BsF 35mila: somma improponibile per una persona che non è in grado di lavorare. Poi un dottore, figlio di una malata di fibromilagia, le ha confidato l’esistenza della procaina: primo anestetico al mondo, classe 1905, senza effetti secondari, utilizzato anche per malattie degenerative come il parkinson. Relativamente economico: BsF 85 ogni siero, due volte a settimana.
- La procaina non è pubblicizzata - spiega Alessandra - perchè danneggerebbe gli interessi economici delle grandi cliniche private. In Venezuela sono solo cinque medici che la conoscono e la prescrivono. La salute è politicizzata, anche nelle cliniche.
La fibromialgia attacca il sistema immunitario ed endocrino. Anche se vittima di una malattia crudele, visto da fuori il malato sembra stare bene. E la gente non crede alle sue parole.
- Passavo giorni a letto senza la forza per muovermi. Non mi lavavo, non potevo camminare. Ho dovuto raparmi i capelli perchè anch’essi mi davano dolore. Adesso sto un po’ meglio solo grazie al siero che ogni tanto riesco a pagarmi. Ma la gente s’infastidisce e crede che sono semplicemente depressa: mio padre non crede alla mia malattia, una zia mi ha consigliato l’istituto psichiatrico, gli amici si sono stancati d’invitarmi ad uscire e non mi chiamano più. Dicono che non ho voglia di far niente... quando in realtà soffro terribilmente per non averne l’energia.

Sostegno
Alessandra ha formato un ‘gruppo’ sul noto social network Facebook per i malati di fibromialgia e fatica cronica. Auspica però la creazione di una fondazione di mutuo-aiuto: un gruppo d’appoggio all’interno del quale i malati possano trovare persone coscienti con cui parlare del proprio problema, in cui condividere esperienze, trovare consigli.
- In alcuni paesi del mondo, ma non in venezuela, è una realtà. C’è il gruppo degli alcolisti anonimi, dei malati di cancro... e quella dei fibromialgici. Un’associazione permetterebbe ai malati di avere più voce sul fronte del riconoscimento della malattia che nel 1994 fu accettata a livello internazionale con la cosiddetta “dichiarazione di Copenaghen” ma che ancora non è riconosciuta in Venezuela e in Italia come invalidante.