Visualizzazioni totali

giovedì 29 luglio 2010

Ps Lgtb

A cavallo con la decisione del Parlamento argentino e della tragedia alla Love Parade, un due articoli sul tema della diversità sessuale datati maggio 2009.

Lesbliche, gay e trans: tra speranza e discriminazione - maggio 2009

Una chiaccherata con la Fondazione Reflejos e un sondaggio tra gli italiani sul tema della diversità sessuale. "Noi combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini".


di Monica Vistali


CARACAS – Domenica si è celebrata la giornata mondiale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. La comunità LGTB, ma non solo, è scesa in strada per commemorare quel 17 maggio 1990, giorno in cui l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) rimosse ufficialmente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.

“Dobbiamo conquistare gli spazi degnamente, senza obbligare nessuno. E’ una guerra senz’armi ma non possiamo permetterci di perdere gli spazi vinti” ci dice serena e risoluta Elena Hernaìz, presidentessa della Fondazione Reflejos.
Anche se, non a caso, le statistiche sulla comunità LGTB (lesbiche, gay, transessuali, bisessuali) sono quasi assenti, secondo gli ultimi dati disponibili il 17% della popolazione è omosessuale, mentre una persona su 2000 è transessuale. Riconoscendo questo segmento di cittadini, negli ultimi anni sempre più Paesi hanno redatto norme in difesa dei diritti dei sessodiversi e, almeno a livello normativo, hanno agito per tutelare questa realtà. La Svezia abbattè un muro storico legalizzando le unioni omosessuali (l’Argentina sarà il primo Paese latinoamericano a farlo) e l’adozione per coppie dello stesso sesso (in marzo un giudice brasiliano ha concesso l’adozione di due gemelline ad una coppia omosessuale). Proprio in questi mesi all’Assemblea Nazionale venezolana è in discussione un articolo che, fra le altre cose, permetterebbe le “unioni di convivenza”.
Nonostante questo avanzamento sociale, in molti Paesi si continua a castigare severamente la diversità sessuale con pene che vanno dal carcere, alle frustate, alla morte. L’assurdità è così forte che si discrimina anche all’interno della discriminazione stessa: in molti Paesi - Singapore, India, Uganda, Birmania, Jamaica, Kenia tra gli altri - è legale l’omosessualità femminile ma non quella maschile.
Nelle nostre due terre divise dall’oceano, gli omosessuali non devono subire questi oltraggi ma nello stesso tempo sono una categoria non considerata a livello legale, spesso vittima di violenze verbali e fisiche per mano del folto gruppo di omofobici presenti nella società o nascosti tra le fila dei corpi di polizia, dei professionisti della salute, del clero. Lo scorso marzo l’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha denunciato la costante escalation di reati e discorsi di odio nei confronti di gay e lesbiche.
Anche a livello lavorativo l’emarginazione è più che viva: pochi giorni fa il vicino Perù ha legiferato contro le persone omosessuali, cui ora è vietato l’ingresso nelle forze dell’ordine, e in Italia molto spesso i gruppi genitoriali non accettano gay o lesbiche come insegnanti per i propri figli. Si teme che l’omosessualità si possa ‘insegnare’ o ‘contagiare’, e che comunque non possa ‘dare il buon esempio’.
“Evidentemente la diversità sessuale non è ancora accettata. C’è rispetto ma non accettazione - dichiara Elena -. Vanno bene infedeli e sadici, non gay e lesbiche”. Come puntualizza la compagna di Elena, “gli omosessuali sono il capro espiatorio della promisquità”.
Nonostante le difficoltà, la rappresentante della Fondazione Reflejos porta in sè molta speranza. “Alcuni anni fa la situazione era molto peggiore. Oggi il mondo ci sta aprendo pian piano le porte, spinto da un numero sempre maggiore di persone che esce allo scoperto e lotta a livello istituzionale. Ma il cammino dev’essere quello di una sinergia tra legge e società. La prima deve obbligare legalmente all’accettazione, la seconda deve premere perchè si modifichino le norme. Questo è il momento. Se non ci muoviamo ora, non ci riconosceranno più”.
Educare, formare ed informare. Questa la linea di lavoro per un’attivismo che significhi linguaggio coerente e visibilità.
“Ancora oggi molti presunti attivisti si presentano in televisione con nomi fittizi o con il volto nascosto - si rammarica Elena -. Ed alcune associazioni si ghettizzano nella loro lotta. Noi invece combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini. Vogliamo educare riguardo ciò che ci unisce, più che puntare su quello che ci differenzia”.
Su questa linea, la Fondazione Reflejos è impegnata oggi in un programma radio (il primo in Venezuela riguardante la tematica LGTB), una pagina web (http://www.fundacionreflejosdevenezuela.com/) e in ben quattro progetti. Il primo, “Soy Mujer y punto”, è diretto alle lesbiche e alle transessuali considerate solo in quanto donne, e nulla più mentre il secondo, “Trans...pasemos las barreras”, riguarda le barriere ideologiche, sociali, legali ed individuali che ostacolano il cammino di transessuali e trangender. Poi c’è “Nuevos Modelos de Familia” dedicato ai nuclei familiari composti da genitori o figli sessodiversi ed infine “Hagamos un hecho de nuestro Derecho”, per tutti quei diritti umani che ancora non sono realtà per una frangia significativa di cittadini.
“Quello che manca - insiste Elena - è l’educazione. Una volta ho tenuto una conferenza sull’omosessualità senza parlare di sesso e tutti si sono stupiti. ‘Com’è possibile?’ mi chiedevano. Non capiscono che è un problema di diritti umani e civili, non di sesso. Purtroppo, ancora oggi, quando si parla di omosessualità si pensa subito a orgie, promiscuità, degenerazione e morbosità sessuale. Significativo che fino a poco tempo fa in tv non si potevano trattare tematiche LGTB prima delle undici di sera, in quanto era considerata pornografia. Questo frutto dell’ignoranza, invece che aiutare, pregiudica la nostra immagine”.
La mancanza di contatto con il “diverso” si vede con chiarezza nelle dichiarazioni degli italo-venezolani riguardo al tema della diversità sessuale.
Alcuni, soprattutto giovani, rimarcano l’uguaglianza di tutte le persone e il divieto, sancito per legge, a qualsiasi forma di discriminazione. Parlano dell’omosessualità come “normale inclinazione sessuale ed affettiva” e criticano la sua “scarnificazione da qualsiasi aspetto sentimentale e amoroso”.
Altri invece parlano di “malattia psicologica”, “atto contronatura”, “degenerazione”; dichiarano la necessità che le “effusioni omosessuali” siano espresse “al chiuso, in privato, non pubblicamente” al fine di “non intaccare il pudore delle persone normali”. Queste idee generano poi un sentire diffuso che si diffonde e si rigenera. Come ci dice un intervistato: “Anche io sono infastidito nel vedere atti omosessuali per la strada. Questo perchè sono figlio dei condizionamenti della società che mi ha cresciuto. Ma vorrei trovare la forza di ribellarmi a questo plagio”.
“Non siamo abituati a vedere un bacio tutto al maschile, mentre la sessualità tra donne appare tutti i giorni in tv” ci dice un giovane italiano. Ascoltando altri pareri, sembra che effettivamente l’omosessualità femminile, definita “glamour” ed “elegante”, sia più accettata di quella maschile, considerata invece una “pratica rozza e violenta” che “intacca il ruolo virile dell’uomo in società”. Evidentemente, come ci viene detto, “agli uomini non basta sentirsi parte del genere umano. C’è bisogno di creare sottoinsiemi entro cui iscriversi”.
Davanti all’idea di un figlio omosessuale, nessun intervistato sembra tranquillo. Anche chi accetta la diversità sessuale teme sberleffi ed emarginazioni. O peggio. Questo perchè quasi tutti hanno assistito in prima persona ad episodi di violenza verbale e fisica nei confronti dei sessodiversi.
A quanto pare, c’è ancora molto lavoro da fare. Gli ostacoli sono in chi prova a curare l’omosessualità con electroshock e terapie di gruppo, in chi reagisce con una risata, con un pugno o con le sempre più diffuse ‘ronde antitrans’, in chi teme per il sacramento del matrimonio, l’istituzione della famiglia ed il volere divino.
Fortunatamente numerose associazioni si mobilitano in modo sempre più pressante per far sì che questa segregazione abbia un termine. Per far sì che sui giornali non si possano più leggere articoli come quello, datato 6 aprile 2009, che titolava: “Papà, sono gay! Il padre lo caccia, il prete vuole esorcizzarlo”.

mercoledì 28 luglio 2010

E’ di origini italiane la prima trans della tv venezolana - Intervista maggio 2009

di Monica Vistali

CARACAS - Mi apre la porta Giannina Cadenas, una ragazza di origini italiane, bellissima ed elegante. Sorride e sembra molto indaffarata. “Sto preparando due nuovi progetti per la televisione” mi spiega mentre guarda lo specchio dietro di me per aggiustarsi un po’ i capelli.
Giannina ha le unghie e il seno artificiali. Niente di strano per una giovane donna del piccolo schermo latinoamericano. Ma a differenza di tutte le altre ragazze in tv, lei ha un pene che per ora non intende eliminare.
“Sono una pioniera - mi dice con soddisfazione -. Sono la prima transgender a condurre un programma televisivo in Venezuela, “La Brujula sexual”. Resterò nella storia del mio Paese e questo mi riempie d’orgoglio”.
Giannina sa di essere fortunata. Ha un buon lavoro, una famiglia che ha accettato la sua “sessodiversità” ed un fidanzato, da ben sette anni. E’ l’esempio di come la parola “trans” non sia necessariamente un’icona morbosa o un sinonimo di “prostituta”.
“I miei genitori non si aspettavano questo da me, non erano preparati. Ma, con l’aiuto di uno psicologo, sono stati in grado di appoggiarmi in tutto. Se avessero reagito in modo diverso, se mi avessero rifiutato o abbandonato, sarei diventata una persona vulnerabile, debole. Sarei finita per strada, avrei abbandonato tutti i principi e i valori in cui credo”.
Ecco, a quel punto, la voce di chi ce l’ha fatta: fa eco a chi non ha voce. “Siamo esseri umani, come tutti. Ma per il solo fatto di essere noi stessi la comunità spesso ci condanna e ci travolge. Ti senti solo, inaccettato, depresso. Perdi la sicurezza in te stesso, l’autostima. E così, in un attimo, puoi cadere nella tossicodipendenza. Se a questo si aggiunge il fatto che il percorso medico per il processo di transito è altamente costoso e per noi è molto difficile trovare un impiego - aggiunge -, si capisce perchè molti transessuali e transgender lavorano sui marciapiedi. Quando in realtà potremmo, in quanto persone normali che siamo, fare qualsiasi lavoro”.
Giannina non ha torto. Per tutti, purtroppo, un transessuale allo sportello di una banca o al supermercato sarebbe una novità. Molto piu comodo pensare al trans in strada, o in uno streap club.
Con il suo programma irriverente, dedicato alla sessualità in tutte le sue forme, Giannina ha lottato contro gli “alti indici di discriminazione che ancora oggi pendono sulla vita di chi non rientra nei confini della società eterosessista dominante”. Ha combattuto per “eliminare la croce portata da tutti coloro che, per vivere, sono costretti a camminare per strada in giacca e cravatta e dentro si sentono infelici”.
Alla base della sterile tolleranza diffusa in questo momento storico nei confronti della diversità sessuale, “ben lontana dalla vera accettazione sociale”, secondo Giannina c’è una profonda ignoranza e una forte difficoltà a parlare della propria sessualità.
“Bisogna reinventare l’educazione, potenziarla. Sono stufa della gente che, per confermare la leggenda della particolare ‘dotazione’ dei trans, mi chiede quanto misura il mio pene. Bisogna far capire che essere transessuali non è una malattia, ma una semplice condizione di dissociazione tra anima e corpo, tra sesso biologico e psicologico”. Giannina è risoluta nella sua volontà: “Si deve eliminare dalla diversità sessuale e di genere la coltre morbosa che la circonda e la trasforma in qualcosa di negativo e sporco a livello sessuale, quando invece contempla rilevanti aspetti psicologici ed affettivi. Bisogna spiegare qual’è la differenza tra un transessuale ed un transgenero, illustrare il percorso di transito da un punto di vista medico, far capire che un uomo attratto da una transessuale non è gay. Quest’uomo cerca infatti la figura femminile. Bisogna poi chiarire la distanza che intercorre tra anosessualità e omosessualità. La gente - continua la conduttrice - deve avere un panorama chiaro di ogni orientamento affettivo e sessuale, a 360 gradi, e per far questo dobbiamo parlare e mostrare che esistiamo. Qui, non su un altro pianeta. La gente crede che dato che il mondo è configurato in un certo modo, non ci possono essere varianti. Eppure eccoci qui, in bella mostra, come tanti nella storia”.
C’è molto per cui lottare. Il percorso umano, per un sessodiverso, è arduo e spesso pieno di sofferenza. Fin dai primi anni di vita: “Quando sei piccola i vestiti che ti mettono ed i giochi che ti regalano non ti piacciono - racconta Giannina -. Già a cinque anni capisci che la realtà esterna non è quella che hai nella tua testolina, nel tuo piccolo mondo. E che sei costretta a seguire una strada per il solo fatto di avere un pene”.
Crescendo, le cose diventano ancora piu difficili: “Durante l’adolescenza sei in un tragico limbo e ti chiedi chi sei. La gente attorno ti osserva e ti giudica. I compagni di classe ti prendono in giro dandoti dell’omosessuale quando in realtà tu sai che non sarai mai gay perchè semplicemente ti senti una donna, non un uomo”.
“E quando finalmente decidi di ‘diventare chi sei’ - prosegue Giannina - tremi per la paura. Temi la reazione della famiglia e degli amici, temi di non piacerti dopo un’operazione, temi per la tua salute, temi di restare sotto i ferri, temi al pensiero di vivere il resto della tua vita come un discriminato ed un segregato, inaccettato, solo. A causa di tutti gli omofobici e transfobici, vittime di un meccanismo incosciente che li porta a coprirsi le spalle di fronte al nuovo che non conoscono, a ciò che gli fa paura e li attrae. Hanno paura di essere toccati da quella debolezza della carne che nella nostra cultura è qualcosa di assolutamente negativo”.
Soprattutto in un Paese come il Venezuela governato dalle leggi della bellezza, sono particolarmente acute le difficoltà per le transessuali femminili. Come ci fa notare Giannina, “se ad un transessuale maschile spesso basta tagliarsi i capelli e adottare una postura particolare per sentirsi a proprio agio, non dare troppo nell’occhio e quindi sentirsi piu accettato, le transessuali femminili non particolarmente aggrazziate o affascinanti soffrono terribilmente: sono la categoria piu maltrattata ad ogni livello. Alla fine - si rammarica - quello che si approva è il bello, il gradevole esteticamente”.
A livello generale, per i transessuali restano intatte le remore a confessare la propria sessodiversità a familiari ed amici; gli inarrestabili episodi di violenza verbale e fisica a causa della transfobia; la pratica diffusa di ‘confinare’ il partner transessuale o transgenero in una sfera di clandestinità perchè, come ci spiega Giannina, “l’altro ha paura di mostrarsi in pubblico e quindi, anche se desidera una relazione stabile, non si sbilancia”.
Ma fortunatamente anche la nostra società è in transito: i giovani non hanno più eccessive difficoltà ad accettare la propria diversità; alcuni Paesi come Spagna, Colombia e Cile hanno iniziato a riconoscere la possibilità di cambiare nome sui documenti, la comunità trans è sempre piu visibile e preme in ogni parte del mondo per vedere rispettati i propri diritti di cittadini.
Essere riconosciuti come cittadini votanti e con pieni diritti è fondamentale per far sì che non solo la forma attuale della società sia un ostacolo. Anche la legge dello Stato, infatti, può configurarsi come un impedimento notevole per la vita quotidiana di un transsessuale o di un transgender. Un Paese che non riconosce il tuo percorso di vita è, infatti, un Paese che può non accettarti in una clinica perché il tuo corpo non rispecchia ciò che c’è scritto sui documenti, un Paese che legittima il caos quando una transgenero desidera utilizzare la toilette per signore o deve entrare in un reparto ospedaliero maschile o femminile; un Paese che ti costringe a raccontare e certificare qualcosa di assolutamente intimo ogni qualvolta devi utilizzare un passaporto o una carta di credito.
Un paese che viola la privacy di una minoranza per cui non esistono leggi di tutela.
Ma il risvegliarsi è generale ed il momento storico è perfetto per una lotta su tutti i fronti. Certamente, come si auspica Giannina, “c’è bisogno di un’unione profonda tra tutte le associazioni civili a livello globale, che portano avanti la loro lotta separatamente mentre dovrebbero fondersi e combattere come fronte unico”.
Nel frattempo, facciamo gli auguri a Ruben, un transessuale spagnolo che aspetta due gemelli in arrivo a settembre, frutto di un’inseminazione artificiale.

Colombia, si rompe il silenzio sui paramilitari, fossa comune con 2 mila corpi

Il ‘Movimiento de Víctimas en Colombia’ ha registrato più di 75 stragi con oltre 4 mila vittime. La testimonianza di un contadino: “Tagliavano le persone e le seppellivano a pezzi”

BOGOTÀ - I contadini colombiani della zona nord di San Onofre, nella zona Sucre, hanno rotto il silenzio denunciando ai media i massacri dei paramilitari che hanno subito negli ultimi dieci anni. Il ‘Movimiento de Víctimas en Colombia’ ha registrato più di 75 stragi con oltre 4 mila vittime, molte sepolte in fosse comuni, mentre molti sfollati non sono mai ritornati nelle loro case a causa dell’insufficienza di garanzie offerte dallo stato.
Vari abitanti della zona hanno testimoniato di assassini e mutilazioni, così come di incendi appiccati dai paramilitari per cancellare qualsiasi prova.
“Facevano un piccolo buco, tagliavano le persone e le seppellivano a pezzi” ha denunciato a TeleSur Jauiro Arnda, contadino. La corrispondente di TeleSur in Colombia, Angie Camacho, ha raccontato che vari contadini stanno esortando i compagni a denunciare tutto sulle stragi, anche se minacciati di morte. “Diciamo alla comunità internazionale la crisi umanitaria che si vive realmente in questa regione” ha aggiunto Eder Torres, abitante della zona.
Diversi famigliari di leader assassinati esigono dal governo colombiano una commissione che investighi sui fatti che accadono da più di un decennio in queste località ma sono convnti della complicità che lega autorità e paramilitari.
La senatrice Gloria Inés Ramírez, per il Polo Alternativo, ha affermato che “qualificando come terroristi le vittime e i difensori dei diritti umani, il governo dice alla sue truppe ufficiali che siamo obiettivi militari”. E ha aggiunto: “Non si è mai sentita nei discorsi presidenziali una sola linea di condoglianze per le vittime”.
Intanto, una delegazione di Europa e Stati Uniti, con in testa sei eurodeputati, ha certificato lo scorso venerdì, dopo un’udienza pubblica a Macarena, l’esistenza di una fossa comune con due mila cadaveri non identificati. “Sono guerriglieri morti in combattimento”, hanno dichiarato fonti ufficiali. Gli attivisti dei Diritti Umani colombiani chiedono che questa, la fossa comune più grande dell’America latina, venga investigata. La certificazione della fossa accredita quanto andavano da tempo denunciando alle autorità colombiane i contadini del luogo e gli abitanti del circondario.
I militari dell’esercito usano ammazzare persone innocenti, anche ragazzi, dopo averli condotti centinaia di chilometri da casa, e dopo averli travestiti da guerrilleri delle Farc, con tanto di fucile in mano. Un macabro rituale, quello dei cosidetti “falsi positivi” per ottenere promozioni e licenze premio, oltre a più soldi dal Plan Colombia.
I contadini di Macarena sono vittime di un conflitto armato dal 2003, reso più acuto con l’arrivo del ‘Plan Colombia’ promosso dagli Stati Uniti per lanciare una presunta guerra contro il narcotraffico e il crimine organizzato.
Dopo la visita degli osservatori degli Usa e dell’Ue, il ministero degli Esteri colombiano ha dichiarato che non esistono fosse comuni nella zona e il più importante quotidiano del paese, El Tiempo, i cui maggiori azionisti sono sia il neo eletto presidente Juan Manuel Santos nonché ex ministro della Difesa, sia suo cugino Francisco Santos attuale vicepresidente, hanno ignorato completamente la notizia.

Dall'Abruzzo al Venezuela 80 mila euro per polizze sanitarie

Di Monica Vistali

CARACAS - Già la prossima settimana arriverà una parte degli 80 mila euro stanziati martedì dal Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (Cram) e destinati ai corregionali in Venezuela che necessitano una polizza sanitaria ma versano in situazione di forte disagio economico.
Questa prima parte di finanziamento, ci spiega Riccarco Chiavaroli, consigliere regionale del Pdl e componente del Cram, “servirà ad aprire il conto corrente che sarà legalmente affidato alla Fondazione Abruzzo Solidale, la quale ha fatto richiesta del finanziamento ed ha attivato la procedura. La Fondazione - prosegue Chiavaroli - dovrà poi coordinarsi con tutte le altre associazioni del Venezuela per individuare i corregionali più bisognosi e stilare un elenco con i nomi degli abruzzesi cui stipulare le polizze sanitarie. Solo a quel punto, il gruppo di lavoro del Cram provvederà all’erogazione completa del denaro”.
Un lavoro in concerto, quindi, come assicurato dal Presidente della Fondazione Abruzzo Solidale, Amedeo Di Lodovico. “Convocheremo tutte le associazioni abruzzesi e molisane del Paese - afferma - per scegliere i beneficiari del finanziamento e gestire il tutto in forma onesta, comunitaria e trasparente”. Una puntualizzazione importante, date le continue diatribe che separano tra le associazioni regionali, soprattutto la Fondazione Abruzzo Solidale e la Federazione delle Associazioni Abruzzesi.
Anche la sedi diplomatiche italiane sono state e saranno chiamate in causa dal progetto. Come spiega Chiavaroli, “l’Ambasciata ha svolto un grande lavoro di verifica della fattibilità del finanziamento e della validità delle associazioni abruzzesi ed ora - come annunciato martedì dal Consigliere politico Alberto Pieri - avrà certamente un ruolo di supervisione” e controllerà che i destinatari dei fondi non siano favoriti già da altri contributi statali. Per quanto riguarda il Consolato generale, se Chiavaroli afferma che "non avrà nessun compito" e che il finanziamento non sarà dato alla sede consolare perchè "i beneficiari i passato si sono dimostrati reticenti a richiedergli soldi", Di Lodovico auspica la presenza di “una figura di riferimento incaricata di aiutare Abruzzo Solidale ad accertare l’effettiva ‘abruzzesità’ dei potenziali beneficiari e la loro situazione economica”.
Certamente 80 mila euro non saranno sufficienti a soddisfare in toto le esigenze della comunità abruzzese nel Paese. Come ci ricorda Di Lodovico e come dichiarato in passato dal Console generale Giovanni Davoli, infatti, il costo di un’assicurazione sanitaria Rescarven “non è più quello di una volta”. Ma Chiavaroli assicura che, con il suo gruppo di lavoro, cercherà in futuro di far arrivare in Venezuela nuovi finanziamenti.
Oggi il gruppo di lavoro del Cram spedirà alla Fondazione Abruzzo Solidale e di riflesso a tutte le associazioni abruzzesi riconosciute una lettera d’istruzioni in cui si spiegherà nel dettaglio il procedimento da seguire per ricevere i fondi stanziati.
La Fondazione Abruzzo Solidale è nata da un’idea dell’ex Presidente del Cram, Donato Di Matteo, con la precisa finalità di portare aiuto sanitario ai corregionali in difficoltà economiche.
La richiesta di un fondo economico per abruzzesi in condizione di disagio presentata in un primo momento dalla Fondazione, venne accantonata temporaneamente a cavallo del noto ‘buco sanitario’ abruzzese. Dopo il il cambio della guardia dei vertici politici regionali, è stato ripreso il progetto con cui ora alcuni emigranti potranno godere finalmente di adeguate cure assitenziali, mediche e farmaceutiche.

giovedì 22 luglio 2010

Colombia e Venezuela, rotte relazioni diplomatiche

Un contadino ucciso dai paramilitari in Colombia
Parlando all’OEA, l’ambasciatore colombiano ha presentato presunte prove della presenza di guerriglieri e paramilitari in suolo venezolano. Matos: “Falsi positivi che rientrano in un progetto d’invasione”. Vivas, AN: “dimostrazione di spirito bellicista”

di Monica Vistali

CARACAS - “Non ci resta altro che rompere totalmente le relazioni diplomatiche con la Colombia”. Così ha affermato il presidente Hugo Chávez dopo la sessione straordinaria dell’OEA di ieri durante la quale l’ambasciatore colombiano Luis Alfonso Hoyos ha mostrato le presunte prove della presenza di guerriglieri e paramilitari in suolo venezolano. Il diplomatico ha anche proposto la costituzione di una commissione internazionale che entro trenta giorni accerti l’esistenza di gruppi armati nel territorio, rifuitata dalla controparte.
Secondo l’ambasciatore venezolano all’OEA, Roy Chaderton Matos, le prove presentate dall’omologo colombiano sono “senza fondamento”, “confuse e imprecise”. “Non ci sono evidenze, non ci sono prove, sono fotografie scattate non si sa dove e molte sono discutibili” ha affermato. Della stessa idea la presidente dell’AN, Cilia Flores, secondo cui le foto e i video presentati, dove si vedono guerriglieri, “dimostrano solo un problema interno della Colombia”.
Matos ha poi sottolineato che molte delle zone indicate dal governo colombiano sono già state ispezionate da funzionari venezolani che hanno dimostrato come questi non siano mai stati utilizzati come campamenti da forze straniere. Si tratterebbe, secondo il diplomatico, di “fantasias garciamarquianas” che quando arrivano alla politica e alle relazioni bilaterali “creano un danno tremendo”, “falsi positivi che rientrano in un progetto di invasione militare del Venezuela”.
Secondo il vicepresidente dell’AN, Dario Vivas, la condotta del governo colombiano dimostra uno “spirito bellicista”, mentre “il presidente Chávez ha sempre dimostrato la sua vocazione pacifista, con l’accettazione in suolo venezolano di milioni di colombiani sfollati a causa della guerra. Più di 4 milioni di colombiani vivono in pace in Venezuela e non pensano di tornare nel loro Paese”.

mercoledì 21 luglio 2010

Erano poliziotti gli assassini di Marcos Tassino

Il presidente di origini italiane del Centro Uruguayo Venezolano di Caracas sarebbe stato ucciso da funzionari della Polizia Metropolitana, che l'avrebbero intercettato organizzando con altri agenti un finto posto di blocco.

di Monica Vistali

CARACAS - Il ‘Cuerpo de Investigaciones Penales y Criminalísticas’ ha arrestato due degli assassini di Marcos Osvaldo Tassino Asteazu, 67 anni, presidente di origini italiane del Club Social Centro Uruguayo Venezolano. In manette Pedro Emilio Ramírez Punchilupi, 32 años, e l’agente Atilio José Fermín Echezueria, entrambi funzionari della Polizia Metropolitana.
Secondo la ricostruzione, Ramírez Punchilupi avrebbe organizzato con altri agenti di polizia un ‘posto di blocco fantasma’ lungo la strada principale de Los Ruices, con l’intenzione di intercettare Tassino e derubarlo dei contanti raccolti in serata tra la collettività uruguaiana.
Alla vista del posto di blocco Tassino, che si dirigeva a casa in macchina con la moglie, si sarebbe fermato per fornire i documenti. Nello stesso istante, i delinquenti avrebbero raccolto velocemente i coni segnaletici e assalito l’automobile di Tassino, ordinando alla vittima di mettersi in marcia in direzione di Caurimare. Durante il tragitto, gli assassini avrebbero intimato al presidente del Club Uruguayo di consegnare il denaro, che però non aveva con sè. A quel punto, avrebbero cambiato veicolo e si sarebbero diretti al Club, nella zona Los Chorros, dove avrebbero iniziato a picchiare Tassino per convincerlo a rivelare la posizione del denaro. Le lesioni provocarono però lo spegnimento del peacemaker cardiaco e il conseguente decesso della vittima per infarto. Gli assassini si sarebbero quindi dati alla fuga, non senza prima rubare due televisori al plasma appartenenti al Club.
Punchilupi e Echezueria sono stati identificati attraverso i video di sicurezza installati all’interno del centro uruguayo.
Il direttore del Cicpc ha rivelato che presto ci saranno altri arresti. La polizia è infatti sulla pista di altri tre soggetti che avrebbero partecipato all’omicidio.

martedì 20 luglio 2010

“Mediterráneo y Caribe”, mari e culture in poesia

L’IIC ha presentato al pubblico il volume contenente i componimenti selezionati dal poeta Davide Rondoni. Al centro il mare come luogo d’incontro di civiltà, idee ed esperienze. Presenti gli autori

di Monica Vistali

CARACAS – Due mari che si offrono come convergenza di esperienze e culture nelle poesie selezionate dal noto poeta Davide Rondoni e raccolte nel libro “Mediterráneo y Caribe”, presentato giovedì sera nella Sala Cabrujas della ‘Fundación Cultural Chacao’ alla presenza di alcuni autori.
Il volume è il risultato di un progetto iniziato nel 2007 che ha visto la partecipazione di Istituto Italiano di Cultura, Università di Bologna, Fundapatrimonio e Dipartimento di lingua italiana della Ucv. L’idea iniziale era quella di valorizzare attraverso la poesia le affinità comuni ai popoli ‘caribeñi’ e mediterranei, riflettendo sull’apporto positivo degli incontri tra culture diverse. Tanti poeti, tra cui numerosi italo-venezolani, si erano presentati con le loro poesie davanti al romagnolo Rondoni, per l’occasione selezionatore e giudice.
- L’iniziativa è scaturita anni fa dall’interesse venezolano per la poesia - dichiara alla Voce la direttrice dell’IIC, Luigina Peddi - e dalla serie di affinità culturali e storiche che Italia e Venezuela condividono. L’IIC ha voluto dar seguito alla proposta raccogliendo i componimenti scelti. Poesie di buon livello, alcune ottime.
Un volume di ampio respiro, che spazia dalle esperienze personali sino ai grandi temi dell’emigrazione, della paura del nuovo. Al centro di tutto, rotte marittime come luogo ideale d’incontro: non solo relazioni commerciali ma anche scambi di lingue ed idee che hanno sviluppato la curiosità intellettuale dei popoli protagonisti.
- Il nostro mare - spiega Peddi - è stato accentratore e propulsore di culture, il ‘Caribe’ crocevia di civiltà che si sono susseguite e mescolate. La cultura globalizzata - dichiara - c’è sempre stata.
Durante la serata, che ha riscosso un grande successo di pubblico, quattro finalisti sono stati chiamati sul palco a leggere i propri componimenti. Il pubblico ha ascoltato attentamente ‘La cama’, poesia vincitrice di Eleonora Requena e le rime degli altri poeti sul podio: Alda Rippi, Reinaldo Bello Guerrieri, Isaidi Vega, Ruth Hernandez Buzcan.
- All’inizio il pubblico provava un certo timore reverenziale nei confronti degli artisti - racconta la direttrice dell’IIC - perchè la gente non è più abituata ad ascoltare le emozioni. Inoltre la poesia è un linguaggio controcorrente che si scontra con la sovrabbondanza di parole ed informazioni che ci bombardano quotidianamente. Bisogna concentrarsi, sforzarsi di capire, interpretare ogni termine.
Dopo la proclamazione delle opere, il pubblico ha potuto confrontarsi con i poeti in un dialogo diretto.

domenica 11 luglio 2010

Trapianto di midollo osseo, l’Italia tende la mano al Venezuela

Tre nuovi ospedali italiani per curare gratuitamente i bambini venezolani che hanno bisogno di trapianto del midollo osseo. Questo il nucleo dell'accordo firmato martedì tra Pdvsa Salud, l'onlus Ftmo e Regioni italiane, a riprova di come la cooperazione tra Italia e Venezuela non si limiti solo a petrolio ed infrastrutture. Grazie a questa rete di cooperazione, già 120 giovani venezolani hanno potuto beneficiare di un'operazione di trapianto di midollo osseo in Italia totalmente gratuita. La collaborazione con le tre città si aggiunge a quella giá esistente con le regioni Toscana, Lazio e Umbria, che partecipano offrendo le proprie strutture ospedaliere e percorsi di formazione specifica ai medici venezolani. A breve parteciperanno anche 4 ospedali della regione Lombardia.

di Monica Vistali

CARACAS - Non solo petrolio ed infrastrutture. Italia e Venezuela collaborano anche nell’ambito della salute, con progetti contenuti ma efficaci, capaci di salvare le vite di molti bambini ed adolescenti. A confermarlo la firma di martedi negli spazi di Pdvsa Salud, con cui tre ospedali di Padova, Bologna e Genova sono entrati a far parte dell’accordo di cooperazione vigente tra la Fundación para el Trasplante de Médula Ósea di Maracaibo (Ftmo), Pdvsa Salud e Regioni italiane: un accordo grazie al quale già 120 giovani venezolani con patologie oncologiche e ematologiche hanno potuto beneficiare di un’operazione di trapianto di midollo osseo in Italia totalmente gratuita.
La collaborazione con le tre città si aggiunge a quella già esistente con le regioni Toscana, Lazio e Umbria (a breve si uniranno al progetto anche quattro cliniche della regione Lombardia) che partecipano offrendo le proprie strutture ospedaliere e percorsi di formazione specifica ai medici venezolani.
Presenti all’incontro il Primo Consigliere dell’Ambasciata d’Italia, Alberto Pieri, il presidente di Pdvsa Salud, Dott. Dario Merchán, la presidente della Ftmo, Mercedes Álvarez, con la direttrice generale della Fondazione, Enrica Giavatto, di origini siciliane, e la responsabile degli affari del Venezuela in Italia, Yvelise Martínez.
- Nell’ambito delle relazioni tra i due Paesi, dal protocollo d’intesa del 2006 all’accordo intergovernativo siglato dalla II Commissione mista, il tema della salute non è mai stato dimenticato - spiega alla Voce il Primo Consigliere Alberto Pieri - e come Ambasciata vogliamo istituzionalizzare e rafforzare ancora di piu la cooperazione in atto, sviluppando però le capacità del Venezuela nell’operare autonomamente, soprattutto nel settore pubblico. Al momento - prosegue - ci sono solo due ospedali nel Paese per il trapianto di midollo osseo, decisamente insufficienti rispetto alla domanda.
Le due strutture venezolane di cui parla il diplomatico, quella privata della capitale, l’Hospital de Clínicas e quella pubblica di Valencia, la Ciudad Hospitalaria Enrique Tejera (che ha chiuso il 2009 con 38 operazioni), operano solo trapianti di midollo a compatibilità familiare. Qui entra in gioco l’accordo. Leucemia, cancro, malformazioni congenite. La fondazione, una onlus a contatto con gli ospedali venezolani, viene a conoscenza dei casi più gravi, soprattutto bambini di estrazione umile che non hanno la possibilità di curarsi in Venezuela e cerca i donatori all’estero. Organizza il viaggio in Italia per il paziente e la famiglia e sopratutto pensa alla loro permanenza nel paese che, tra trattamenti vari ed operazione sfiora i due anni. Un programma che non comprende solo gli appuntamenti clinici ma anche quelli sociali: la scuola, i corsi d’italiano, qualche piccola gita nelle principali città d’Italia.
- Il bambino non deve ricordare l’Italia come una corsia d’ospedale - sottolinea la Dott.ssa Mercedes Alvarez, presidente della Fondazione.
Nel progetto, Pdvsa Salud contribuisce con 13-15 mila euro a paziente, al resto ci pensano le Regioni.
- Quello dei trapianti di midollo è un problema puntuale e ad alto costo - spiega il Dott. Dario Merchán, medico onncologo e Presidente di Pdvesa Salud -. Ogni anno nel Paese sorgono cento nuovi casi ma il Venezuela ancora non possiede il know how, la tecnologia e le infrastrutture necessari per curare questi malati mentre gli Stati Uniti, che potrebbero farlo, vedono questi bambini come merce e chiedono 750 mila dollari soltanto per l’operazione. Grazie a questo accordo con l’Italia - continua - Pdvsa contribuisce a risolvere i problemi del paese, mantenendo la sua promessa di investire i proventi del petrolio in altri settori, come quello primario della salute. Ma c’è ancora tanto da fare. Un bambino che non riesce a rientrare in questo progetto - decreta - è un bambino che muore.
L’idea su cui si fonda la cooperazione tra Italia e Venezuela, accanto all’operazione nella Penisola, è un progetto articolato di formazione, che standarizzi la diagnostica e il protocollo di cura attraverso corsi e seminari medico-scientifici. Già 35 medici venezolani sono stati invitati in Italia per specializzarsi, e 15 italiani hanno tenuto conferenze sul tema in Venezuela. L’Umbria è la regione piu impegnata su questo fronte, grazie anche al contributo del prof. Aversa e del prof. Martelli, unici esperti in Europa in trapianti con famigliari a bassa compatibilità.
- L’accordo con l’Italia e la Fondazione soddisfa il il nostro bisogno di formazione e preparazione accademica - afferma il Dott. Merchán - ma è importante che i medici poi restino ad operare nel settore pubblico. Purtroppo sono tanti i cervelli che fuggono all’estero o passano al privato, mettendo la loro vocazione medica al secondo posto rispetto al portafoglio.
Gli fa eco la Dott.ssa Mercedes Alvarez:
- L’idea che ‘privato è bello’ va combattuta facendo il nostro dovere come membri di una società che si definisce civile. Il sistema di salute pubblico in Venezuela è in pieno sviluppo e si sta facendo tanto. Al paziente oncologico, ad esempio, oggi è garantita l’attenzione primaria e la gratuità dei farmaci ad alto costo. Ma la strada è ancora lunga.
L’impegno del governo è un fattore primario per lo sviluppo del sistema salute. Quello che la Fondazione di Maracaibo è riuscita a fare negli otto anni tra il 1997 e il 2005 con il settore privato, curare 31 bambini, lo ha superato in meno di due anni (2006 - 2008) con il contributo del governo, riuscendo a soddisfare le necessità di quasi 50 minori. Come ha detto alla Voce la Dott.ssa Alvarez, riprendendo le parole del Presidente Chavez, “i finanziamenti e la cooperazione non devono essere necessariamente visti da un punto di vista monetario: le possibilità di formazione offertaci dall’Italia sono un esempio perfetto di aiuto e investimento per il futuro”.
Sottolinea il primo Consigliere Alberto Pieri:
- L’accordo relativo ai trapianti di midollo è un progetto piccolo ma importantissimo, esperienza pilota per le future possibilità di cooperazione al di fuori del settore petrolifero.
L’Italia sostiene anche il progetto umanitario dell’Unione Europea, inaugurato nel 2002, che destina fondi robusti all’ospitalizzazione e alla cura di cittadini stranieri non appartenenti all’Ue.

Chávez, Bersani e Berlusconi

In Italia il presidente Chávez continua ad essere visto come un vecchio caudillo, esempio di una 'non democrazia' da satanizzare, estremo scivolone verso uno s/Stato di non ritorno. L'ultimo a cadere nella trappola dei media transoceanici è stato Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, subito attaccato da giornalisti e sostenitori a difesa del mandatario latinoamericano.

di Monica Vistali

CARACAS - La scorsa settimana il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando la telefonata con cui Emma Marcegaglia ha strappato al premier Silvio Berlusconi alcune correzioni alla manovra economica, ha avvertito i cittadini: se il Parlamento non riprende le sue funzioni non c'è più libertà per nessuno. E ha aggiunto: "Non vorrei che dopo Berlusconi venisse fuori Chavez".
In pochi giorni i sostenitori del presidente venezolano si sono fatti avanti a difesa di una presidenza ed di una Nazione che investono con vigore sulla crescita, guardano al futuro e migliorano, con fatica, ogni giorno. E proprio per questo,  non possono essere continuamente satanizzate e considerate parametro globale d'assolutismo populista. Nonostante limiti e problemi risaputi.
Ha preso carta e penna la redazione de 'La Rete dei Comunisti Nuestra America', consigliando il segretario Bersani di "guardare ai processi del socialismo del e nel XXI secolo in corso in Venezuela, Bolivia, Cuba e in tanti altri paesi latino-americani, senza ricadere nell'antico vizio della sinistra eurocentrica e neo-colonialista". Secondo i giornalisti, "Bersani deve rassegnarsi al fatto che oggi il cuore progressista del mondo batte in America Latina e non in Europa dove, al contrario, prevalgono le forze conservatrici e reazionarie agevolate dalla totale subalternità dei partiti come il PD".
- Quando arriverà il momento in cui la cosiddetta politica italiana finirà di guardare solo alle compatibilità con il profitto di impresa e comincerà finalmente a dare risposte ai bisogni dei ceti popolari e dei lavoratori in termini di democrazia economica e politica? - si chiedono.
Ha alzato la voce anche il rinomato giornalista Gennaro Carotenuto, che nell'articolo "Quello che Bersani fa finta di non sapere di Hugo Chávez" apparso su 'Latinoamerica e tutti i sud del mondo',  ripercorre le recenti tappe di crescita del Venezuela (investimenti nella ricerca, mortalità infantile, politica integrazionista, indici di povertà*), per poi decretare:
- Sarebbe facile continuare ricordando che quello che Bersani chiama “populismo” come fosse un marchio d’infamia, per centinaia di migliaia di giovani venezolani significa per la prima volta nella storia delle loro famiglie la possibilità di accedere a studi universitari, o avere accesso all’acqua potabile, o per gli anziani ottenere una pensione sociale. (...) Ma è sicuro Pierluigi Bersani di poter usare come parametro negativo il presidente Chávez per i suoi colpetti di fioretto contro quel politico, Silvio Berlusconi, che da 16 anni sta coprendo di vergogna l’Italia agli occhi di tutto il mondo?
Infine, i membri del comitato romano del Mst, Movimento dei lavoratori senza terra del Brasile, hanno risposto al segretario con una lettera aperta spiegando perchè, se un giorno arrivasse 'un Chávez' in Italia, sarebbe una vera manna dal cielo.
Questo il testo della missiva.

Le scriviamo rispetto alle parole da lei usate nei confronti del presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chávez: “Non vorrei che dopo Berlusconi venisse fuori Chávez. O il Parlamento riprende il suo ruolo o non c’è libertà per nessuno”. Queste parole lasciano intendere che: 1) Chavez rappresenterebbe il peggio anche rispetto a Berlusconi; 2) in Venezuela non ci sarebbe libertà per nessuno. Ed esprimono chiaramente una totale mancanza di conoscenza rispetto alla situazione latinoamericana in generale e venezuelana in particolare.
a) Il governo di Hugo Chávez gode, com’è noto, di una pessima pubblicità: per gran parte dell’informazione “ufficiale”, il presidente venezuelano è un caudillo e un populista, quando non esplicitamente un tiranno. E ciò malgrado gli innumerevoli processi elettorali che ha attraversato, tutti vinti tranne uno, quello del referendum sulla riforma della Costituzione venezuelana nel 2007. Sconfitta serenamente riconosciuta dal presidente (e, oltretutto, di strettissima misura, 50,7% contro 49,3%: percentuali che, se fossero risultate invertite, avrebbero di sicuro fatto gridare la destra alle frodi e al colpo di Stato). E vorremmo farle notare che la Costituzione in vigore prevede anche la possibilità di revoca di ogni carica elettiva, a cominciare da quella presidenziale, a metà mandato.
b) Negli anni del suo governo, Chávez ha proceduto a nazionalizzare i grandi depositi di idrocarburi presenti in Venezuela e ha usato le risorse del petrolio per migliorare servizi pubblici come educazione, salute e trasporti, per rispondere alle necessità di milioni di poveri delle favelas e dei quartieri popolari, prima completamente esclusi da qualunque servizio pubblico. Inoltre, lo Stato garantisce l’accesso ai beni alimentari al prezzo di costo, senza scopo di lucro, attraverso una rete locale di negozi che non è statale; assicura l’accesso gratuito alla sanità, attraverso il sistema cubano del medico di famiglia, grazie al quale oltre ventimila lavoratori della salute abitano e convivono con il popolo nei luoghi più poveri e lo assistono con la prevenzione, la fornitura dei farmaci e ogni cura necessaria (la maggior parte di questa popolazione non conosceva neppure un medico); garantisce anche l’accesso all’educazione attraverso vari programmi educativi, che vanno dall’alfabetizzazione di adulti e adolescenti fino a programmi diretti a tutti i giovani che vogliono andare all’università (oggi il Venezuela è considerato dall’Unesco un Paese libero dall’analfabetismo. Un caso raro, tra i Paesi delliemisfero Sud).
c) In condizioni tanto avverse a causa di un’eredità economica segnata dalla dipendenza totale dalle esportazioni petrolifere, dalla mancanza di organizzazione sociale e dall’assenza di un progetto politico che unifichi le forze popolari del Paese, la grande sfida del governo Chávez è quella di riuscire a costruire un progetto di sviluppo duraturo per il Paese. Chávez ha finora formulato due linee distinte e complementari di riflessione. La prima viene chiamata “Progetto di sviluppo endogeno”. Endogeno, qui, significa che il popolo e tutte le forze produttive del Paese dovrebbero spendere le proprie energie affinché in ciascuna regione venga organizzata la produzione sia agricola che industriale dei beni necessari alla popolazione. Si innescherebbe così un processo di produzione di ricchezza locale, di distribuzione di reddito a livello locale, di creazione di posti di lavoro a livello locale. L’altra idea che Chávez ha introdotto nel dibattito è quella della necessità di costruire un socialismo differente, il socialismo del XXI secolo, prendendo però le distanze dal socialismo reale. Dal punto di vista pratico, il risultato concreto che questo dibattito ha prodotto è stato quello di aprire una discussione tra i lavoratori, affinché essi creino forme autogestite e cooperative di fabbriche e stabilimenti industriali. E questo è accaduto nei casi in cui i proprietari capitalisti sono fuggiti dal Paese o hanno dichiarato fallimento e nei casi in cui lo Stato ha costruito una nuova fabbrica e ha cercato di stabilire una sorta di collaborazione con i lavoratori.
d) Esistono ovviamente, nel processo bolivariano, limiti non irrilevanti: una struttura statale burocratica, corrotta e inefficiente; la presenza, malgrado le incontestabili e fondamentali conquiste sociali, di problemi ancora non risolti, come l’insicurezza sociale, la questione abitativa, la situazione salariale di ampi settori della popolazione. Limiti, questi, che non possono mettere in dubbio i risultati positivi ottenuti in Venezuela da Chávez, nel perseguire la democratizzazione della società, l’ampliamento dei poteri delle fasce popolari e della popolazione indigena, la riduzione della giornata di lavoro, la fine dell’autonomia della Banca Centrale, il divieto del latifondo, il consolidamento dello Stato nel suo carattere pubblico, la realizzazione delle missioni, con cui il governo ha posto la questione sociale al centro della sua sfera di interessi, in ciò seguito da altri governi latinoamericani. E, a livello latinoamericano, la creazione dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per l’America, a cui Chávez ha offerto un contributo determinante: una forma di integrazione tra i Paesi che parte dalle necessità dei popoli e delliambiente e non dalle necessità del capitale; un processo di integrazione economica e sociale dei popoli e dei governi che potenzia l’uso di tutte le risorse naturali, delle risorse di biodiversità, dell’agricoltura, dell’industria, a favore della soluzione dei problemi fondamentali del popolo e della crisi climatica. Una lotta per l’indipendenza economica dell’America Latina, perché smetta di essere un esportatore di ricchezze per l’Europa e gli Stati Uniti, e più recentemente per il Giappone e la Cina.
Per tutto questo, siamo convinti che, se dopo Berlusconi venisse Chávez, si aprirebbe per liItalia una stagione di grandi riforme popolari, una grande promessa di futuro.

* Questi, invece alcuni stralci dell'articolo di Gennaro Carotenuto.

Per esempio, in tempi di riforma Gelmini dell’Università, lo sa Bersani che in 10 anni in Venezuela la quota del PIL destinata alla ricerca scientifica è aumentata del 2.300%? Per un paese come l’Italia destinato a lasciare il mondo sviluppato per posizioni di retrovia, il Venezuela chavista sta puntando forte sulla ricerca moltiplicando per 23 gli investimenti.
Sa o non sa che, complici i medici cubani, la mortalità infantile in Venezuela in dieci anni è oggi di un terzo di quanto non fosse al tempo del fondomonetarismo assassino dei Moisés Naím e dei Carlos Andrés Pérez?
Sa o non sa che il Venezuela è il primo donatore umanitario del continente affiancando gli Stati Uniti laddove l’Italia è tra gli ultimi dell’OCSE e il più facilone nel non rispettare i patti? Cosa sa Bersani, un europeista convinto, della forza della politica integrazionista latinoamericana nella quale Hugo Chávez condivide i meriti con leader come Lula o Nestor Kirchner?
Sa o non sa che mentre in Italia la concentrazione mediatica è massima (solo colpa di Berlusconi o anche di chi non si è opposto con la dovuta durezza?) in Venezuela oggi parte del latifondo mediatico è stato redistribuito tra centinaia di media diversi (cosa che porta i monopolisti a denunciare la censura)?
Sa o non sa Bersani che mentre in Italia l’indice Gini che misura la povertà è in crescita in Venezuela i valori stanno da anni letteralmente crollando? Nel 1997 i venezuelani in povertà erano il 61% e quelli in estrema povertà il 29%. Oggi, dopo un decennio di democrazia partecipativa, siamo scesi a 26 e 7% rispettivamente. Le par poco?