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domenica 11 luglio 2010

Chávez, Bersani e Berlusconi

In Italia il presidente Chávez continua ad essere visto come un vecchio caudillo, esempio di una 'non democrazia' da satanizzare, estremo scivolone verso uno s/Stato di non ritorno. L'ultimo a cadere nella trappola dei media transoceanici è stato Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, subito attaccato da giornalisti e sostenitori a difesa del mandatario latinoamericano.

di Monica Vistali

CARACAS - La scorsa settimana il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando la telefonata con cui Emma Marcegaglia ha strappato al premier Silvio Berlusconi alcune correzioni alla manovra economica, ha avvertito i cittadini: se il Parlamento non riprende le sue funzioni non c'è più libertà per nessuno. E ha aggiunto: "Non vorrei che dopo Berlusconi venisse fuori Chavez".
In pochi giorni i sostenitori del presidente venezolano si sono fatti avanti a difesa di una presidenza ed di una Nazione che investono con vigore sulla crescita, guardano al futuro e migliorano, con fatica, ogni giorno. E proprio per questo,  non possono essere continuamente satanizzate e considerate parametro globale d'assolutismo populista. Nonostante limiti e problemi risaputi.
Ha preso carta e penna la redazione de 'La Rete dei Comunisti Nuestra America', consigliando il segretario Bersani di "guardare ai processi del socialismo del e nel XXI secolo in corso in Venezuela, Bolivia, Cuba e in tanti altri paesi latino-americani, senza ricadere nell'antico vizio della sinistra eurocentrica e neo-colonialista". Secondo i giornalisti, "Bersani deve rassegnarsi al fatto che oggi il cuore progressista del mondo batte in America Latina e non in Europa dove, al contrario, prevalgono le forze conservatrici e reazionarie agevolate dalla totale subalternità dei partiti come il PD".
- Quando arriverà il momento in cui la cosiddetta politica italiana finirà di guardare solo alle compatibilità con il profitto di impresa e comincerà finalmente a dare risposte ai bisogni dei ceti popolari e dei lavoratori in termini di democrazia economica e politica? - si chiedono.
Ha alzato la voce anche il rinomato giornalista Gennaro Carotenuto, che nell'articolo "Quello che Bersani fa finta di non sapere di Hugo Chávez" apparso su 'Latinoamerica e tutti i sud del mondo',  ripercorre le recenti tappe di crescita del Venezuela (investimenti nella ricerca, mortalità infantile, politica integrazionista, indici di povertà*), per poi decretare:
- Sarebbe facile continuare ricordando che quello che Bersani chiama “populismo” come fosse un marchio d’infamia, per centinaia di migliaia di giovani venezolani significa per la prima volta nella storia delle loro famiglie la possibilità di accedere a studi universitari, o avere accesso all’acqua potabile, o per gli anziani ottenere una pensione sociale. (...) Ma è sicuro Pierluigi Bersani di poter usare come parametro negativo il presidente Chávez per i suoi colpetti di fioretto contro quel politico, Silvio Berlusconi, che da 16 anni sta coprendo di vergogna l’Italia agli occhi di tutto il mondo?
Infine, i membri del comitato romano del Mst, Movimento dei lavoratori senza terra del Brasile, hanno risposto al segretario con una lettera aperta spiegando perchè, se un giorno arrivasse 'un Chávez' in Italia, sarebbe una vera manna dal cielo.
Questo il testo della missiva.

Le scriviamo rispetto alle parole da lei usate nei confronti del presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chávez: “Non vorrei che dopo Berlusconi venisse fuori Chávez. O il Parlamento riprende il suo ruolo o non c’è libertà per nessuno”. Queste parole lasciano intendere che: 1) Chavez rappresenterebbe il peggio anche rispetto a Berlusconi; 2) in Venezuela non ci sarebbe libertà per nessuno. Ed esprimono chiaramente una totale mancanza di conoscenza rispetto alla situazione latinoamericana in generale e venezuelana in particolare.
a) Il governo di Hugo Chávez gode, com’è noto, di una pessima pubblicità: per gran parte dell’informazione “ufficiale”, il presidente venezuelano è un caudillo e un populista, quando non esplicitamente un tiranno. E ciò malgrado gli innumerevoli processi elettorali che ha attraversato, tutti vinti tranne uno, quello del referendum sulla riforma della Costituzione venezuelana nel 2007. Sconfitta serenamente riconosciuta dal presidente (e, oltretutto, di strettissima misura, 50,7% contro 49,3%: percentuali che, se fossero risultate invertite, avrebbero di sicuro fatto gridare la destra alle frodi e al colpo di Stato). E vorremmo farle notare che la Costituzione in vigore prevede anche la possibilità di revoca di ogni carica elettiva, a cominciare da quella presidenziale, a metà mandato.
b) Negli anni del suo governo, Chávez ha proceduto a nazionalizzare i grandi depositi di idrocarburi presenti in Venezuela e ha usato le risorse del petrolio per migliorare servizi pubblici come educazione, salute e trasporti, per rispondere alle necessità di milioni di poveri delle favelas e dei quartieri popolari, prima completamente esclusi da qualunque servizio pubblico. Inoltre, lo Stato garantisce l’accesso ai beni alimentari al prezzo di costo, senza scopo di lucro, attraverso una rete locale di negozi che non è statale; assicura l’accesso gratuito alla sanità, attraverso il sistema cubano del medico di famiglia, grazie al quale oltre ventimila lavoratori della salute abitano e convivono con il popolo nei luoghi più poveri e lo assistono con la prevenzione, la fornitura dei farmaci e ogni cura necessaria (la maggior parte di questa popolazione non conosceva neppure un medico); garantisce anche l’accesso all’educazione attraverso vari programmi educativi, che vanno dall’alfabetizzazione di adulti e adolescenti fino a programmi diretti a tutti i giovani che vogliono andare all’università (oggi il Venezuela è considerato dall’Unesco un Paese libero dall’analfabetismo. Un caso raro, tra i Paesi delliemisfero Sud).
c) In condizioni tanto avverse a causa di un’eredità economica segnata dalla dipendenza totale dalle esportazioni petrolifere, dalla mancanza di organizzazione sociale e dall’assenza di un progetto politico che unifichi le forze popolari del Paese, la grande sfida del governo Chávez è quella di riuscire a costruire un progetto di sviluppo duraturo per il Paese. Chávez ha finora formulato due linee distinte e complementari di riflessione. La prima viene chiamata “Progetto di sviluppo endogeno”. Endogeno, qui, significa che il popolo e tutte le forze produttive del Paese dovrebbero spendere le proprie energie affinché in ciascuna regione venga organizzata la produzione sia agricola che industriale dei beni necessari alla popolazione. Si innescherebbe così un processo di produzione di ricchezza locale, di distribuzione di reddito a livello locale, di creazione di posti di lavoro a livello locale. L’altra idea che Chávez ha introdotto nel dibattito è quella della necessità di costruire un socialismo differente, il socialismo del XXI secolo, prendendo però le distanze dal socialismo reale. Dal punto di vista pratico, il risultato concreto che questo dibattito ha prodotto è stato quello di aprire una discussione tra i lavoratori, affinché essi creino forme autogestite e cooperative di fabbriche e stabilimenti industriali. E questo è accaduto nei casi in cui i proprietari capitalisti sono fuggiti dal Paese o hanno dichiarato fallimento e nei casi in cui lo Stato ha costruito una nuova fabbrica e ha cercato di stabilire una sorta di collaborazione con i lavoratori.
d) Esistono ovviamente, nel processo bolivariano, limiti non irrilevanti: una struttura statale burocratica, corrotta e inefficiente; la presenza, malgrado le incontestabili e fondamentali conquiste sociali, di problemi ancora non risolti, come l’insicurezza sociale, la questione abitativa, la situazione salariale di ampi settori della popolazione. Limiti, questi, che non possono mettere in dubbio i risultati positivi ottenuti in Venezuela da Chávez, nel perseguire la democratizzazione della società, l’ampliamento dei poteri delle fasce popolari e della popolazione indigena, la riduzione della giornata di lavoro, la fine dell’autonomia della Banca Centrale, il divieto del latifondo, il consolidamento dello Stato nel suo carattere pubblico, la realizzazione delle missioni, con cui il governo ha posto la questione sociale al centro della sua sfera di interessi, in ciò seguito da altri governi latinoamericani. E, a livello latinoamericano, la creazione dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per l’America, a cui Chávez ha offerto un contributo determinante: una forma di integrazione tra i Paesi che parte dalle necessità dei popoli e delliambiente e non dalle necessità del capitale; un processo di integrazione economica e sociale dei popoli e dei governi che potenzia l’uso di tutte le risorse naturali, delle risorse di biodiversità, dell’agricoltura, dell’industria, a favore della soluzione dei problemi fondamentali del popolo e della crisi climatica. Una lotta per l’indipendenza economica dell’America Latina, perché smetta di essere un esportatore di ricchezze per l’Europa e gli Stati Uniti, e più recentemente per il Giappone e la Cina.
Per tutto questo, siamo convinti che, se dopo Berlusconi venisse Chávez, si aprirebbe per liItalia una stagione di grandi riforme popolari, una grande promessa di futuro.

* Questi, invece alcuni stralci dell'articolo di Gennaro Carotenuto.

Per esempio, in tempi di riforma Gelmini dell’Università, lo sa Bersani che in 10 anni in Venezuela la quota del PIL destinata alla ricerca scientifica è aumentata del 2.300%? Per un paese come l’Italia destinato a lasciare il mondo sviluppato per posizioni di retrovia, il Venezuela chavista sta puntando forte sulla ricerca moltiplicando per 23 gli investimenti.
Sa o non sa che, complici i medici cubani, la mortalità infantile in Venezuela in dieci anni è oggi di un terzo di quanto non fosse al tempo del fondomonetarismo assassino dei Moisés Naím e dei Carlos Andrés Pérez?
Sa o non sa che il Venezuela è il primo donatore umanitario del continente affiancando gli Stati Uniti laddove l’Italia è tra gli ultimi dell’OCSE e il più facilone nel non rispettare i patti? Cosa sa Bersani, un europeista convinto, della forza della politica integrazionista latinoamericana nella quale Hugo Chávez condivide i meriti con leader come Lula o Nestor Kirchner?
Sa o non sa che mentre in Italia la concentrazione mediatica è massima (solo colpa di Berlusconi o anche di chi non si è opposto con la dovuta durezza?) in Venezuela oggi parte del latifondo mediatico è stato redistribuito tra centinaia di media diversi (cosa che porta i monopolisti a denunciare la censura)?
Sa o non sa Bersani che mentre in Italia l’indice Gini che misura la povertà è in crescita in Venezuela i valori stanno da anni letteralmente crollando? Nel 1997 i venezuelani in povertà erano il 61% e quelli in estrema povertà il 29%. Oggi, dopo un decennio di democrazia partecipativa, siamo scesi a 26 e 7% rispettivamente. Le par poco?

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