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giovedì 29 luglio 2010

Lesbliche, gay e trans: tra speranza e discriminazione - maggio 2009

Una chiaccherata con la Fondazione Reflejos e un sondaggio tra gli italiani sul tema della diversità sessuale. "Noi combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini".


di Monica Vistali


CARACAS – Domenica si è celebrata la giornata mondiale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. La comunità LGTB, ma non solo, è scesa in strada per commemorare quel 17 maggio 1990, giorno in cui l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) rimosse ufficialmente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.

“Dobbiamo conquistare gli spazi degnamente, senza obbligare nessuno. E’ una guerra senz’armi ma non possiamo permetterci di perdere gli spazi vinti” ci dice serena e risoluta Elena Hernaìz, presidentessa della Fondazione Reflejos.
Anche se, non a caso, le statistiche sulla comunità LGTB (lesbiche, gay, transessuali, bisessuali) sono quasi assenti, secondo gli ultimi dati disponibili il 17% della popolazione è omosessuale, mentre una persona su 2000 è transessuale. Riconoscendo questo segmento di cittadini, negli ultimi anni sempre più Paesi hanno redatto norme in difesa dei diritti dei sessodiversi e, almeno a livello normativo, hanno agito per tutelare questa realtà. La Svezia abbattè un muro storico legalizzando le unioni omosessuali (l’Argentina sarà il primo Paese latinoamericano a farlo) e l’adozione per coppie dello stesso sesso (in marzo un giudice brasiliano ha concesso l’adozione di due gemelline ad una coppia omosessuale). Proprio in questi mesi all’Assemblea Nazionale venezolana è in discussione un articolo che, fra le altre cose, permetterebbe le “unioni di convivenza”.
Nonostante questo avanzamento sociale, in molti Paesi si continua a castigare severamente la diversità sessuale con pene che vanno dal carcere, alle frustate, alla morte. L’assurdità è così forte che si discrimina anche all’interno della discriminazione stessa: in molti Paesi - Singapore, India, Uganda, Birmania, Jamaica, Kenia tra gli altri - è legale l’omosessualità femminile ma non quella maschile.
Nelle nostre due terre divise dall’oceano, gli omosessuali non devono subire questi oltraggi ma nello stesso tempo sono una categoria non considerata a livello legale, spesso vittima di violenze verbali e fisiche per mano del folto gruppo di omofobici presenti nella società o nascosti tra le fila dei corpi di polizia, dei professionisti della salute, del clero. Lo scorso marzo l’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha denunciato la costante escalation di reati e discorsi di odio nei confronti di gay e lesbiche.
Anche a livello lavorativo l’emarginazione è più che viva: pochi giorni fa il vicino Perù ha legiferato contro le persone omosessuali, cui ora è vietato l’ingresso nelle forze dell’ordine, e in Italia molto spesso i gruppi genitoriali non accettano gay o lesbiche come insegnanti per i propri figli. Si teme che l’omosessualità si possa ‘insegnare’ o ‘contagiare’, e che comunque non possa ‘dare il buon esempio’.
“Evidentemente la diversità sessuale non è ancora accettata. C’è rispetto ma non accettazione - dichiara Elena -. Vanno bene infedeli e sadici, non gay e lesbiche”. Come puntualizza la compagna di Elena, “gli omosessuali sono il capro espiatorio della promisquità”.
Nonostante le difficoltà, la rappresentante della Fondazione Reflejos porta in sè molta speranza. “Alcuni anni fa la situazione era molto peggiore. Oggi il mondo ci sta aprendo pian piano le porte, spinto da un numero sempre maggiore di persone che esce allo scoperto e lotta a livello istituzionale. Ma il cammino dev’essere quello di una sinergia tra legge e società. La prima deve obbligare legalmente all’accettazione, la seconda deve premere perchè si modifichino le norme. Questo è il momento. Se non ci muoviamo ora, non ci riconosceranno più”.
Educare, formare ed informare. Questa la linea di lavoro per un’attivismo che significhi linguaggio coerente e visibilità.
“Ancora oggi molti presunti attivisti si presentano in televisione con nomi fittizi o con il volto nascosto - si rammarica Elena -. Ed alcune associazioni si ghettizzano nella loro lotta. Noi invece combattiamo per il gay, la lesbica, il transgender, il transessuale, il bisessuale, l’ermafrodita. Senza frontiere. Perchè quello per cui lottiamo è il rispetto ed il riconoscimento dei diritti umani che ci spettano come cittadini. Vogliamo educare riguardo ciò che ci unisce, più che puntare su quello che ci differenzia”.
Su questa linea, la Fondazione Reflejos è impegnata oggi in un programma radio (il primo in Venezuela riguardante la tematica LGTB), una pagina web (http://www.fundacionreflejosdevenezuela.com/) e in ben quattro progetti. Il primo, “Soy Mujer y punto”, è diretto alle lesbiche e alle transessuali considerate solo in quanto donne, e nulla più mentre il secondo, “Trans...pasemos las barreras”, riguarda le barriere ideologiche, sociali, legali ed individuali che ostacolano il cammino di transessuali e trangender. Poi c’è “Nuevos Modelos de Familia” dedicato ai nuclei familiari composti da genitori o figli sessodiversi ed infine “Hagamos un hecho de nuestro Derecho”, per tutti quei diritti umani che ancora non sono realtà per una frangia significativa di cittadini.
“Quello che manca - insiste Elena - è l’educazione. Una volta ho tenuto una conferenza sull’omosessualità senza parlare di sesso e tutti si sono stupiti. ‘Com’è possibile?’ mi chiedevano. Non capiscono che è un problema di diritti umani e civili, non di sesso. Purtroppo, ancora oggi, quando si parla di omosessualità si pensa subito a orgie, promiscuità, degenerazione e morbosità sessuale. Significativo che fino a poco tempo fa in tv non si potevano trattare tematiche LGTB prima delle undici di sera, in quanto era considerata pornografia. Questo frutto dell’ignoranza, invece che aiutare, pregiudica la nostra immagine”.
La mancanza di contatto con il “diverso” si vede con chiarezza nelle dichiarazioni degli italo-venezolani riguardo al tema della diversità sessuale.
Alcuni, soprattutto giovani, rimarcano l’uguaglianza di tutte le persone e il divieto, sancito per legge, a qualsiasi forma di discriminazione. Parlano dell’omosessualità come “normale inclinazione sessuale ed affettiva” e criticano la sua “scarnificazione da qualsiasi aspetto sentimentale e amoroso”.
Altri invece parlano di “malattia psicologica”, “atto contronatura”, “degenerazione”; dichiarano la necessità che le “effusioni omosessuali” siano espresse “al chiuso, in privato, non pubblicamente” al fine di “non intaccare il pudore delle persone normali”. Queste idee generano poi un sentire diffuso che si diffonde e si rigenera. Come ci dice un intervistato: “Anche io sono infastidito nel vedere atti omosessuali per la strada. Questo perchè sono figlio dei condizionamenti della società che mi ha cresciuto. Ma vorrei trovare la forza di ribellarmi a questo plagio”.
“Non siamo abituati a vedere un bacio tutto al maschile, mentre la sessualità tra donne appare tutti i giorni in tv” ci dice un giovane italiano. Ascoltando altri pareri, sembra che effettivamente l’omosessualità femminile, definita “glamour” ed “elegante”, sia più accettata di quella maschile, considerata invece una “pratica rozza e violenta” che “intacca il ruolo virile dell’uomo in società”. Evidentemente, come ci viene detto, “agli uomini non basta sentirsi parte del genere umano. C’è bisogno di creare sottoinsiemi entro cui iscriversi”.
Davanti all’idea di un figlio omosessuale, nessun intervistato sembra tranquillo. Anche chi accetta la diversità sessuale teme sberleffi ed emarginazioni. O peggio. Questo perchè quasi tutti hanno assistito in prima persona ad episodi di violenza verbale e fisica nei confronti dei sessodiversi.
A quanto pare, c’è ancora molto lavoro da fare. Gli ostacoli sono in chi prova a curare l’omosessualità con electroshock e terapie di gruppo, in chi reagisce con una risata, con un pugno o con le sempre più diffuse ‘ronde antitrans’, in chi teme per il sacramento del matrimonio, l’istituzione della famiglia ed il volere divino.
Fortunatamente numerose associazioni si mobilitano in modo sempre più pressante per far sì che questa segregazione abbia un termine. Per far sì che sui giornali non si possano più leggere articoli come quello, datato 6 aprile 2009, che titolava: “Papà, sono gay! Il padre lo caccia, il prete vuole esorcizzarlo”.

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