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domenica 1 aprile 2012

"Repubblica" trasforma il rivoluzionario cubano in prete, risposta dall'Ass. Italia-Cuba


CARACAS - Di seguito la lettera di Federica Cresci, dell'Associazione Italia-Cuba / Circolo di Roma,  diretta a Marco Ansaldo, inviato di “La Repubblica”. Il riferimento è al grossolano errore commesso dal quotidiano, che ha inserito la foto della gigantografia del rivoluzionario Camilo Cienfuegos, (a Plaza de la Revolución insieme a quella di Che Guevara)  definendola l’effige del sacerdote cubano Padre Felix Varela.

Egregio Dottor Ansaldo,
Visto il comico “incoveniente”, mi sarei aspettata una risposta almeno più spiritosa da parte sua... se la può far sentire meglio, non ho scritto solo a Lei per conoscenza, ma alla Redazione e al Direttore del quotidiano, poichè è piuttosto ovvio che non sia l’inviato da Cuba il diretto responsabile dell’accaduto.
Ma certo è che un bravo giornalista professionale che crede nel potere e nel valore della comunicazione e lavora seriamente per la comunità e per il diritto/dovere dell’informazione, avrebbe dovuto indignarsi non con una lettrice che evidenzia un grossolano errore, ma con i suoi colleghi che, con il loro modo di agire superficiale, danneggiano la credibilità del quotidiano stesso e dei giornalisti che per esso scrivono.
Sa, è come andare al supermercato e comprare un pacchetto di uova marce e sentirsi dire dal venditore che non è colpa sua ma del grossista che a sua volta gliel’ha vendute.
Resta il fatto che un quotidiano come “La Repubblica”, che ha avuto nel 2011 una tiratura di 576.216 ed una diffusione di 438.695, ha il dovere e la responsabilità morale, se fosse un quotidiano serio, di informare correttamente i lettori che tra l’altro pagano 1,20 euro per poi farsi andare di traverso, tutte le mattine, il cornetto ed il cappuccino leggendo le “notizie” da Voi pubblícate.

Perchè la disattenzione, la superficialità, gli errori grossolani, le falsità, le manipolazioni e le tergiversazioni malintenzionate o meno, prezzolate o chissà, non riguardano solo l’argomento Cuba, ma temi spinosi come la Palestina, l’America Latina, oppure argomenti strettamente vincolati alla politica interna come l’Art. 18, le vicende di Pomigliano o il movimento No TAV, l’omicidio di Carlo Giuliani o di Stefano Cucchi ecc. ecc (tanto per fare qualche minimo esempio). Ovviamente trattandosi di temi alquanto “scomodi” per il Potere, quello gestito dalle grandi imprese che finanziano i nostri “democratici” mezzi di comunicazione, allora è cosa sana e giusta che i giornalisti, o i “didascalisti” (si chiamano così? scusi ma non faccio parte del settore per fortuna) o tutti coloro che lavorano al servizio dei “Padroni” si pieghino al loro volere e trasformino l’informazione in uno spettacolino teatrale pieno di fantasie più o meno drammatiche secondo l’occorrenza o il fine.
Probabilmente Lei sta diventando il para fulmini dello scontento generale di un pubblico stanco di leggere carta straccia e che deve sempre ultilizzare canali alternativi (pochi e non sempre accessibili) per poter riuscire ad avere un minimo di “obiettività” o almeno “correttezza” d’informazione.
Ciò non accadrebbe se i suoi colleghi, oltre alla Laurea in Giornalismo, ricordassero ogni tanto, quando iniziano a scrivere o a parlare, che esiste la “Deontologia del Giornalista”, le cui norme disciplinari sono in massima parte contenute nella Carta dei Doveri, siglata l’8 luglio 1993 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana. Molte di queste sono poi diventate “norme di legge” con l’emanazione del codice di deontologia del 1998. Mi consenta (e lungi da me parafrasare “Deus ex machina” della mercificazione della comunicazione e dell’informazione) ricordare a Lei e a tutti i suoi colleghi di “La Repubblica” e non che:
“ (…) Il dovere più pregnante del giornalista e caposaldo del diritto di cronaca è il dovere di verità, considerato sia dalla L. n. 69/1963 che dalla stessa Carta dei Doveri quale “obbligo inderogabile”. Gli organi di informazione sono l'anello di congiunzione tra il fatto e la collettività. Essi consentono alla collettività l'esercizio di quella sovranità che secondo l'art. 1 Cost. “appartiene al popolo”. Un'informazione che occulta o distorce la realtà dei fatti impedisce alla collettività un consapevole esercizio della sovranità. In più punti la Carta dei Doveri pone l’accento su quelli che, al pari del dovere di verità, vanno considerati valori etici assolutamente inderogabili: l’autonomia e la credibilità del giornalista. L’autonomia del giornalista serve a garantire l’obiettività dell’informazione. L'informazione obiettiva serve unicamente la collettività, ossia persegue un interesse generale. Il dovere di autonomia vuole impedire che la funzione giornalistica venga subordinata ad interessi particolari. E’ evidente, quindi, che particolari rapporti del giornalista con soggetti interessati ad una informazione compiacente sono visti come il fumo negli occhi.I rapporti con i più disparati ambienti sono indispensabili per poter acquisire le notizie e garantire un’informazione precisa, dettagliata. Casi difficilmente preventivabili. Ma la Carta dei Doveri tenta una “tipizzazione” di quelle situazioni in presenza delle quali si presume che l’autonomia e la credibilità del giornalista vengano meno. In generale, la Carta dei Doveri pone l’accento sulla “responsabilità del giornalista verso i cittadini”, specificando che tale responsabilità non può dal giornalista essere subordinata “ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del Governo o di altri organismi dello Stato”. Il giornalista deve avere una relazione esclusiva, diretta e immediata con la collettività. E’ un dovere strumentale allo stesso dovere di verità, poiché l’asservimento della funzione giornalistica all’interesse “particolare”, per definizione diverso da quello generale, costringe il giornalista a modulare l’informazione (…)”
Guardi, siccome non sono cattiva e credo ancora nel valore e nell’importanza della comunicazione attraverso i quotidiani, voglio aiutare Lei ed i suoi colleghi ad evitare ulteriori errori o sviste e per il prossimo articolo potrà dire alla Redazione del suo quotidiano che la seconda gigantografia che si trova a Piazza della Rivoluzione, affianco a quella di Camilo Cienfuegos (o per gli amici “Padre Felix Varela”), quella con il Basco e la Stella, non è Madre Teresa di Calcuta, ma il Comandante Ernesto Che Guevara.

Grazie per l’attenzione.
Cordiali saluti.
Federica Cresci

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