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lunedì 18 aprile 2011

Con l'italiano Delli, in scena la pazzia


di Monica Vistali

CARACAS - Venerdì sera la pazzia è andata in scena. L’opera “Geranio” è stata infatti sul palcoscenico del teatro Premium del Centro commerciale Los Naranjos di Caracas, per raccontare ancora una volta le peripezie di un uomo, Gerani, interpretato da Nacho Huet, caduto per errore in un manicomio. Sul palco anche Antonio Delli, attore venezuelano di origine italiana che in questa piece interpreta Nicolás, un ‘bambino grande’ con fantasie platoniche sulla sorella, un’artista famosa che gli fa visita in borghese perchè il pubblico non sappia che custodisce un fratello in un centro di salute mentale.
I personaggi - con il protagonista e Nicolás anche Guy, dagli stratti rapporti con Pitagora e Shakespeare, e Guillermo, uno schizofrenico che si crede Alessandro Magno - sono rinchiusi nel significativo T.E.A.T.R.O (Terapia Experimental para Adultos Radioquinésicos Ocasionales) dove, ammette uno, “si è veramente liberi”. Ma Geranio trascorre il tempo ad inventare sempre nuove prove perché infermieri e viglianti si rendano conto che pazzi sono gli altri, non lui.
Antonio Delli è attore di cinema e televisione. Oltre a telenovelas e numerosi cortometraggi, è apparso nelle pellicole “Anonymous”, “Real Madrid”, “Miranda” e “Una abuela virgen”. Si è laureato in ‘Comunicacion Social’ presso la Ucv di Caracas ed è speaker per i canali History Channel, Sun Channel, Vale Tv. Nonostante svolga svariate attività, l’amore per il teatro non lo ha mai abbandonato: Ha recitato sui palcoscenici di “Ciertas Condiciones Aplican”, “La morte e la fanciulla”, “Sogno di una notte di mezza estate” e sogna i teatri d’Europa. I suoi maestri di recitazione sono Cosme Cortazar, Jack Lemmon, Robert De Niro e John Malcovich.
Anche se è nato a Caracas, Delli conserva l’amore per il Belpaese, da dove provengono i suoi genitori. È grande tifoso del calcio italiano e della pasta alla bolognese.
La piece “Geranio”, scritta da Xiomara Moreno e portata in scena per la prima volta nel 1989, è diretta da Javier Vidal. Nel 2000 è apparsa tra le opere della Bibliografia essenziale del ‘Teatro Hispanoamericano Contemporaneo’ e nel 2002 è stata tradotta in italiano dal drammaturgo catanese Francesco Randazzo.
In scena venerdì e sabato alle 20, la domenica alle 18.

La serigrafía di un italiano accompagna Sartre al Celarg


 di Monica Vistali

CARACAS - Il docente di lingua italiana Fabio Avolio sta accompagnando le rappresentazioni di “A puerta cerrada” di  Jean-Paul Sartre, in scena al Celarg sotto la direzione di  Jonathan Ochoa, con una piccola esposizione di serigrafia, una tecnica di stampa artigianale impiegata in questo caso per l’impressione di scritte e disegni su tessuti.
Prima e dopo lo spettacolo – fino al 30 aprile tutti i giovedì, venerdì e sabato alle 20, la domenica alle 19 – all’entrata dalla Sala 2 del Celarg si possono osservare ed acquistare magliette colorate sulle quali sono stampate artigianalmente con la tecnica serigrafica diverse immagini, tra cui una caricatura de filosofo esistenzialista Sartre e un disegno relativo all’opera teatrale.
La serigrafia è un particolare processo artistico che consente di stampare immagini o altri elementi grafici su diverse tipologie di materiali mediante l’uso di un telaio sul quale viene inciso il disegno e poi passato il colore, in modo che questo penetri attraverso le maglie del telaio e si depositi sul supporto. Le prime opere serigrafate di Avolio sono le magliette che sponsorizzano la piattaforma Mediterraneo-Venezuela (http://mediterraneovenezuela.blogspot.com/).
- Sono stato molto colpito da quanto in Venezuela si utilizzino le magliette serigrafate per diffondere slogan e messaggi politici, culturali. Insomma, per fare comunicazione - ci spiega Avolio -. Per questo ho deciso di avvicinarmi a quest’arte, provare a personalizzare i miei messaggi. In un primo momento sono stato guidato da un amico venezolano, poi ho proseguito da autodidatta. Fermo restando il confronto continuo con i tanti artigiani che studiano serigrafia.
Avolio ha seguito sin dall’inizio e da vicino la costruzione dell’opera teatrale, presentata da Teatro Caracas, ed è menzionato tra i ringraziamenti nel volantino confezionato da Estudio Piso11. Assiste ad ogni rappresentazione, anche con il fine di “verificare alcuni postulati della mia tesi di laurea sull’estetica di Adolfo Sánchez Vázquez”, per l’Università L’Orientale di Napoli.
- Ogni funzione ha una sua originalità. Vivo l’opera in modo vibrante, soprattutto alcune parti dei monologhi, come quando il personaggio di Inés Serrano grida: “Io sono la moltitudine che ti grida ‘Codardo’!”
“A puerta cerrada”, dramma messo in scena per la prima volta nel 1944, è la fonte di quella che è forse la più famosa frase di Sartre: “L’inferno sono gli altri”. Per interpretare i tre protagonisti - Garcin e le due donne, Inès e Estelle - Achoa ha scelto giovani promesse del teatro venezolano: José Ignacio Pulido, Capriela Carlino, Dielis Silva, sul palco con Jonathan Montenegro, il valletto, e  Ediluz Peña, la statua dorata.
Nell’opera sartriana Josè, Estella e Inès si ritrovano nell’inferno: un luogo misterioso senza finestre e senza specchi, che vivono oppressi dai sensi di colpa, dall’angoscia della propria esistenza, impietosamente esposta allo sguardo degli altri. Sono tutti reciprocamente giudici e imputati, che si portano appresso la memoria della vita appena lasciata. Si aspettano di essere torturati, fino a capire di essere lì per torturarsi a vicenda. Nell’adamento di Achoa, sul palcoscenico ci sono anche due televisioni non funzionanti.
     

Casa d’Italia di Maracaibo, Lombardi è il nuovo presidente

di Monica Vistali

CARACAS - La casa d’Italia di Maracaibo ha un nuovo presidente. Si tratta di Francisco Lombardi, connazionale di origine campana che ha vinto su Carlos Alaimo con 367 voti su 360.  Lombardi, 42 anni, presiederà la giunta direttiva per il periodo 2011 – 2013.
Il nuovo presidente da anni è figura nota della collettività italiana. Oltre a partecipare alle attività di Faiv e Fedeciv, è stato collaboratore e segretario nelle giunte direttive guidate dai vecchi presidenti, Cono Siervo e Cesare Mazocca. In un primo momento, in quanto ingegnere elettrico, si occupava del mantenimento del sistema elettronico.
Raggiunto telefonicamente dalla Voce, Lombardi ci tiene a sottolineare l’apatia generalizzata di cui sembrano vittime tutti i club italiani.
- Non ci interessano i riconoscimenti - afferma il neopresidente - quello che vogliamo è lavorare per la collettività. Ognuno di noi deve contribuire con il suo granello di sabbia, a prescindere dalla giunta che presiede il gruppo in un determinato momento. Come ho detto prima delle votazioni, se non fossi risultato vincitore sarei stato comunque tra i principali collaboratori della giunta ‘avversaria’.  
Commentando la nomina di Lombardi, l’ex presidente della Casa d’Italia Cono Siervo afferma:
- Sono davvero felice che abbia vinto lui perchè è un gran lavoratore ed ha tutte le carte in regola per stare di fronte alla collettività. Sono convinto che sarà un buon presidente e che avrà l’appoggio di tutti quelli che lo hanno preceduto.
Per quanto riguarda il programma, Siervo specifica:
- Certamente tra i compiti che dovrà affrontare come nuovo presidente ci sono la ristrutturazione del settore sport, dobbiamo potenziare la pratica del nostro calcio italiano, e il miglioramento della ristorazione all’interno della Casa d’Italia, cercando di offrire un menù mediterraneo più ricco di cucina tipica italiana. Infine, non dovrà abbassare la guardia sulla tutela della nostra tradizione e dei nostri costumi, che rischiano di essere dimenticati.
                          

Funzionario itinerante per il rinnovo del passaporto

di Monica Vistali

CARACAS – I funzionari del Consolato d’Italia a Caracas continuano il viaggio di servizio che sta facendo tappa in diverse città del Venezuela, per la raccolta delle impronte digitali dei cittadini italiani che intendono rinnovare il proprio passaporto. Ancora in calendario, oltre al Centro Italiano Venezolano di Caracas, le città di Puerto Cabello, Porlamar, Acarigua, Valencia, Puerto La Cruz, Ciudad Bolivar, Puerto Ordaz e Barquisimeto. Il Consolato invita gli interessati a prendere contatto fin da subito coi rispettivi Vice Consoli, Agenti Consolari e Corrispondenti Consolari per poter partecipare all’iniziativa.
In viaggio per Maturin, con il funzionario dell’Ufficio Passaporti c'era anche la nuova Console di Caracas, Jessica Cupellini, che ha incontrato i membri del Comites di Puerto Ordaz e decorato Cavaliere della Repubblica italiana il nostro connazionale Armando Urbani, un Generale dei Vigili del fuoco residente da anni a Maturin.
Per facilitare ai connazionali l’iter procedurale per il nuovo passaporto biometrico, l’Ufficio passaporti della sede consolare di Caracas resta aperto dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 12, incluso il mercoledì, giorno di tradizionale chiusura al pubblico.
Il nuovo passaporto elettronico possiede un microchip con una memoria in grado di contenere i dati biometrici del titolare, le foto e le impronte digitali. Contiene inoltre la digitalizzazione della firma del proprietario che eviterà, in caso di smarrimento o di furto, ogni modifica non autorizzata. Per il rilascio del documento è obbligatoria l’acquisizione delle impronte digitali (dito medio di ciascuna mano), al momento della presentazione della richiesta. Il richiedente deve inoltre depositare la propria firma sull’apposito cartellino in quanto la stessa viene automaticamente digitalizzata sul passaporto. I vecchi passaporti continueranno comunque ad essere validi sino alla scadenza naturale e non dovranno essere restituiti.                            

Questo il calendario:
PUERTO CABELLO - 27 aprile
PORLAMAR - 07 maggio
ACARIGUA - 11 maggio
CIV CARACAS  - 13 maggio (pomeriggio)
PUERTO LA CRUZ -18 maggio
VALENCIA - 25 maggio
CIUDAD BOLIVAR - 08 giugno
PURTO ORDAZ - 09 giugno
BARQUISIMETO - 15 giugno

La storia d’Italia vista dai banchi di scuola

di Monica Vistali 
Alla Codazzi la mostra organizzata dall’Istituto italiano di Cultura e curata da Gianni Oliva racconta il ruolo della scuola nella transizione dalla frammentazione dei comuni all’identità nazionale.

CARACAS - La storia dell’Italia dalla frammentazione comunale all’unità nazionale vista attraverso la speciale lente dei banchi di scuola. Questa la chiave di lettura scelta dall’Istituto Italiano di Cultura per la mostra “Essere italiani” inaugurata il 7 aprile negli spazi della scuola italiana ‘Colegio Agustin Codazzi’ di Caracas. La mostra, organizzata in occasione dei 150 anni dell’Italia unita, è curata dall’IIC in collaborazione con lo storico, politico e giornalista piemontese Gianni Oliva nella veste di curatore. Resterà allestita nell’Istituto fino al 21 aprile; a giugno arriverà presso la ‘Scuola Antonio Rosmini’ di Maracaibo.
“Essere Italiani: la scuola elementare e la costruzione dell’identità nazionale 1861-1914”, questo il nome dell’esposizione, si compone di 16 pannelli con documenti e fotografie d’epoca. Si evince il ruolo della scuola nella delicata e progressiva transizione della società italiana dalla diseguaglianza e dall’analfabetismo, all’integrazione degli italiani, alla costruzione della coscienza e all’identità nazionali. “Il cammino dall’Italia frammentata dei Comuni, cui era affidata l’educazione dei giovani, sino alla Legge Coppino e oltre - spiega la Direttrice dell’IIC, Luigina Peddi -, il passaggio da una società diseguale per provenienza, cultura ed educazione, all’integrazione degli italiani, ad un’Italia unita nella diversità, che fa di ogni originalità territoriale un prezioso apporto”.
La Legge Coppino, emanata nel 1877 durante il governo della Sinistra storica capitanato da Depretis, rendeva gratuita l’istruzione elementare e introduceva le sanzioni per chi disattendeva l’obbligo previsto. La legge servì a formare i nuovi cittadini: oltre ad imparare a leggere, a scrivere ed a far di conto, agli alunni veniva insegnata educazione civica in modo da introdurre i giovani nella nuova società. Ma sulla base di quali valori? “Bisognava formare il nuovo cittadino nazionale - risponde Peddi - e quindi si premette sul rispetto dell’autorità, dai genitori alla Chiesa, alla Patria”.
Una mostra per raccontare l’evoluzione dei valori e dei modi di pensare dall’unità d’Italia ai giorni nostri, il rafforzamento del senso d’appertenenza alla nazione in persone abituate a storie, culture e linguaggi differenti. “Siamo passati dal traduttore simultaneo nell’esercito italiano, necessario per comunicare con soldati dal dialetto diverso, ad una scuola veramente nazionale, centro propulsore della formazione permanente - dichiara la Direttrice dell’IIC -. Una scuola che rende consapevole il cittadino del proprio ruolo nella società, della sua capacità di contribuire al progresso della nazione”. Ma “oggi la scuola è solo uno strumento - evidenzia Peddi -, fornisce i mezzi per navigare ed imparare nel mare dell’informazione globale. Ognuno ha il dovere di autoformarsi”.

Fateci odiare Chávez (ma a carte scoperte)


di Monica Vistali

Come scriveva Eduardo Galeano: il mondo alla rovescia.


Aprite Google.news Italia e immettete le parole 'Chávez' e 'silicone': da Vanity Fair al Corriere della Sera, troverete ben ventitré notizie che vi racconteranno l'ultima “crociata bolivariana” lanciata dal presidente venezuelano. Sì, perché la guerra di Chávez alla chirurgia estetica - tanto osannata dalle minorenni ma così “poco socialista” - sembra per i media una notizia da prima pagina, tanto che anche Studio Aperto all'inizio del mese scorso ha dedicato al tema un lungo servizio nel notiziario del primo pomeriggio (sic!), sottolineando come per il presidente venezuelano la fame e la miseria siano ormai problemi di secondo grado.
Ebbene, ognuno può dire la sua sulla rilevanza del silicone nell'agenda dei media globali e sul fatto che persino il New York Times si occupi delle opinioni del Comandante sul tema. Curioso però come bisturi e impianti abbiano soppiantato altre dichiarazioni, ben più importanti, del presidente criollo.
Tornate su Google.news. Cercate notizie relative alla proposta di mediazione diplomatica offerta da Chávez per risolvere la crisi libica. Troverete solo cinque risultati. Cinque contro ventitré. Certo l'utilizzo della chirurgia plastica in Venezuela è un grave problema... ma l'idea di una commissione umanitaria internazionale con latinoamericani, europei e mediorientali - per tentare una mediazione tra le parti e salvaguardare l'integrità della Libia - forse non avrebbe dovuto meritare una microscopica nota a piè di pagina. Che questa invisibilità sia colpa della scarsa credibilità internazionale di cui gode il capo di Stato? C'è da scommetterci. Come si può dare ascolto ad un presidente che inneggia al raìs libico su Twitter? Sì, perché quando Chàvez affidò agli ormai noti 140 caratteri il suo primo commento sul caso Libia scrivendo “Viva la Libia e la sua indipendenza”, alcuni media italiani hanno ben pensato di riassumere il tutto in uno sbrigativo “Viva Gheddafi”. Basta aprire le pagine del Corriere, che parla di “solidarietà tra dittatori” e dichiara che “Hugo Chávez non ha esitato (in realtà ha aspettato del tempo per esprimere una sua opinione, nda) per esprimere un suo significativo Viva Gheddafi” o cliccare sul TgCom, che per lo meno limita sunti devianti alla titolazione.
Il Venezuela non è il paese dei balocchi e il Comandante non è un moderno Robin Hood. Le critiche sono libere ed auspicabili, quando costruttive. Ma si dovrebbe prestare attenzione, parafrasando Dario Azzelin, a non distorsionare la realtà in modo propagandistico, facendo sopravvivere oltremare solo le notizie che liquidano Chávez come l'ultimo dei caudillos latinoamericani. Perchè, tra una critica e l’altra, non si dà merito al governo venezuelano per i buoni risultati conseguiti, insieme al Brasile, rispetto agli Obiettivi del Millennio stabiliti dall'Onu? Secondo l’Istituto nazionale di Statistica, per esempio, la povertà estrema è crollata dal 17,1 al 7,9 per cento dal 1998 al 2007 e il coefficente Gini, che misura la disuguaglianza sociale, è il più basso dell’America latina. Se si è tanto parlato e scritto del referendum sulla rielezione indefinita delle cariche elettive, poco ci si è sforzati di vedere in esso qualcosa di diverso da un tentativo “castrista” di dominio infinito (“Il Venezuela vota su Chávez dittatore a vita”, Il Giornale). Perché non si è fatto cenno al fatto che anche in Italia esiste la possibilità di ri e ricandidarsi, che è stato questo governo a dare al Venezuela il suo primo referendum (esiste qualcosa di più democratico?) o che Chávez è stato l'unico presidente al mondo a sottoporre la sua carica al voto popolare a metà mandato? Ed infine, perché non si è detto che questa legge vale anche per l'opposizione? Esiste per Chávez la possibilità di vedersi governato per anni addirittura da un politico di Acción Democrática!
Non c'è da stupirsi se in Italia Chávez è un personaggio tanto controverso. Quanto siamo liberi di avere delle opinioni veramente nostre, se le basi su cui queste poggiano sono così parziali? Fatelo odiare, questo “caudillo”, da chi lo vuole odiare. Ma con tutte le carte in tavola.

mercoledì 13 aprile 2011

Quei lontani giorni d’aprile...

Chi a Canal8, chi per strada, chi a discutere alla Casa d’Italia. Ecco come gli italiani hanno vissuto il colpo di stato che nel 2002 scalzò Hugo Chávez


Di Monica Vistali
CARACAS – “Quel giorno, mentre i golpisti s’impossessavano di Miraflores, io stavo tornando a casa, a Caracas, da Puerto La Cruz. L’autostrada era deserta, si capiva che stava succedendo qualcosa. Le radio dicevano che Chávez si era dimesso perchè c’erano stati morti e feriti. Io ho creduto a quello che sentivo, alla versione ufficiale. Guidavo pensando che i chavisti erano stati dei selvaggi, che non si meritavano il presidente che avevano. Poi, a casa, ho iniziato a sentire il rumore assordante dei clacson. L’opposizione sta festeggiando, mi sono detto. Mi sono affacciato alla finestra e ho visto centinaia di motociclette ed automobili scendere da Petare. Sono pazzi! Si vogliono far trucidare! ho pensato. Credevo fossero loro i colpevoli… invece stavano solo reclamando il loro presidente”. A parlare è Mario Neri, del Circolo Gramsci di Caracas. Parla da un cellulare, è per strada nel bel mezzo della marcia in ricordo del colpo di stato che nel 2002 strappò il democraticamente eletto Hugo Chávez dalla poltrona presidenziale. “Qui è bellissimo - ci dice - piove, siamo tutti bagnati, ma c’è tanta energia e una gioventù incredibile!”.
Nei giorni del golpe, ad accompagnare Neri c’era l’amico Antonio Mobilia. Anche lui, ci racconta, aveva creduto ai media che accusavano Chávez della strage a Puente Llaguno. “Sono stati momenti terribili. Ho aperto il negozio come tutti i giorni, ma con una grande amarezza nel cuore. Ero deluso. Non potevo credere che il popolo venezuelano si fosse dimostrato così ignorante, che avesse voltato le spalle all’uomo che aveva rotto quella palla di cristallo che erano gli ‘adecos’ e i ’copeyanos’. Non potevo accettarlo ma ci credevo, perchè ero un automa, ero vittima della manipolazione mediatica che era stata orchestrata. Poi ho parlato con la gente per strada, sono trasparite alcune notizie. E allora ho capito...”.
Mobilia e Neri ci dicono che, resisi conto della realtà che il Paese stava vivendo, si attivano immediatamente. Scrivono più volte ai giornali italiani, per far conoscere la situazione, per lasciare la loro testimonianza, ma nel Belpaese “nessuno si distoglie dalla versione ufficiale” dei golpisti. Si recano quindi alla sede di Canal8, manifestando con altri per la sua riapertura. “Eravamo in mezzo alla strada - racconta Mobilia - a gestire il traffico, ad indicare alla gente che arrivava da ogni parte di Caracas dov’era il canale! Era un vero tripudio di persone, moto, automobili. Tutti chiedevano una sola cosa: il Capo di stato per cui avevano votato, la democrazia”.
Mentre Mobilia e Neri lottavano per Canal8, un altro connazionale, Alfredo Amoroso, andava al lavoro a Charallave. “È stato uno schifo. Sono arrivato imbottito di notizie false, manipolate, ma poi ho visto con i miei occhi quello che stavano facendo i golpisti: hanno preso di mira i vertici del Comune, che era filogovernativo. Li hanno malmenati tutti. Hanno usato la violenza: era una vera guerra. La gente per strada urlava, voleva il ritorno di Chávez, ma la tv mostrava solo comiquitas, ondeggiava tra network fasulli e cartoni animati. È terribile quanto i media ci abbiano mentito! Oggi - conclude - c’è chi ancora parla dell’11A come di un ‘vuoto di potere’: beh, è pazzesco”.
Non tutti gli italiani durante i giorni del golpe erano per strada a reclamare il Presidente. Rosa Ruggero, ad esempio, il 13 aprile era rinchiusa con alcuni colleghi in un ufficio a Las Mercedes. Il gruppo si era barricato fino a tarda notte per questioni di sicurezza. “Nei giorni precedenti mi telefonavano dall’Italia chiedendomi cosa stesse succedendo. A me sembrava che semplicemente stesse finendo l’epoca Chávez. Era finalmente arrivato il momento! Già il 12 vedevi un cambiamento nei volti della gente, scorgevi un sorriso, come se ci fossimo liberati di un peso!”. La notte del 13, mentre Chávez tornava dove il popolo lo aveva voluto, Ruggero tornava a casa “piena di delusione e tristezza”. “Io non considero che sia stato un colpo di stato - afferma -. Hanno semplicemente approfittato per avere quello che volevano. Ma non ci sono riusciti perchè sono stati ingenui: dovevano esserci il coprifuoco, i militari per strada...”. E le vittime civili? “Tutta una messa in scena del governo, che oggi può fare la vittima”.
Ruggeri è al lavoro, a Plaza Venezuela. Dall’alto dell’ufficio vede i manifestanti per strada. “Li vedo - ci dice - tutti rossi, sotto la pioggia. Si capisce che vorrebbero tornare indietro ma non possono, li obbligano a marciare”. Non capisce il senso della commemorazione. “Quello che è stato fatto è stato fatto. Basta, ora andiamo avanti”.
Se dalla Capitale le vicissitudini della Storia sembrano e sono più vicine, nelle altre città del Paese la prospettiva cambia radicalmente. Così per Mariano Palazzo, di Maracay. “Ricordo una iniziale situazione di normalità apparente. La Casa d’Italia era aperta, la gente sorseggiava il caffè al bar mentre arrivavano le telefonate dall’estero, dall’Italia. Gente che chiedeva cosa stesse succedendo, se eravamo al sicuro...”. Solo il terzo giorno, racconta Palazzo, “la città era tesa, le notizie arrivavano per telefono, la gente si era mobilitata ed era scesa per le strade”. Intanto, all’interno del club i nostri connazionali discutevano animatamente sulla necessità del colpo di stato. “La comunità era polarizzata. Alcuni tifavano per il presidente, altri pregavano perchè non ritornasse più. Anche tra l’opposizione stessa si era creata divisione. Alcuni criticavano la forma con cui si erano srotolati gli eventi, altri vedevano il golpe come una cosa necessaria”.
Anche Johnny Margiotta, di Maracaibo, ha vissuto quei giorni da lontano. “Ero in Venezuela da soli tre anni - racconta -. Per me i colpi di stato erano qualcosa che si trovava solo sui libri, nei film. Quindi ho seguito gli eventi del 2002 con curiosità, meraviglia, come qualcosa di veramente affascinante. Stavo vivendo la storia”. Oggi, Margiotta vede nel golpe de Abril un grande momento di cambiamento. “Da quel momento in poi Chávez si copre molto le spalle ma non credo che in Venezuela un evento simile possa ripetersi. La gente studia, si è ‘civilizzata’ e non è più d’accordo con questo tipo di azioni violente. Se qualcuno volesse tentare un altro 11A non avrebbe seguito tra la popolazione perchè ora c’è la coscienza della vita”.
L’avvocato Tina Di Battista, interrogata sugli eventi di aprile, ricorda la marcia dell’opposizione che ha dato il via alla tragedia di Puente Llaguno. “La marcia che ci fu quel giorno fu espressione di civiltà e patriottismo. Mi sento orgogliosa di quello che abbiamo dimostrato con quella manifestazione pacifica, ordinata e democratica. Purtroppo, gli eventi successivi si sono tinti dei colori dei partiti e sono caduti nella voracità di appettiti e interessi lontani dai sentimenti e dalle necessità vere del paese. Lo condanno e come professionista del diritto non mi è stato difficile pronosticare molte conseguenze nefaste che oggi ci tocca vivere”.

venerdì 24 settembre 2010

L’Italia divisa in attesa del 26s

di Monica Vistali

CARACAS - Membri di associazioni italovenezolane e gruppi filogramsciani, pensionati al bar e attivisti politici. E ancora insegnati, imprenditori, studenti della Ucv e 'jefes de patrulla' del Psuv. Se il popolo degli italiani in Venezuela è estremamente variegato, gli orientamenti politici in vista del 26 settembre sono più che mai contrastanti e, in sostanza, riflettono la realtà bipolare del Paese.

Il 26 settembre
In gioco, questa domenica, ci sono 165 seggi del Parlamento, oggi perlopiù occupati da deputati chavisti dopo che l'opposizione, nel 2005, decise di non partecipare alle elezioni con la speranza di boicottare i risultati del voto. I seggi verranno assegnati per il 60% con il criterio uninominale, per il 40% con il proporzionale.
L’elezione si caratterizza per la formazione di una nuova coalizione politica notevolmente diversificata al suo interno, la ‘Mesa de Unidad Democratica’. Un blocco che raccoglie una trentina di organizzazioni politiche, regionali e nazionali, unite dalla sola volontà di contrapporsi al presidente Chavez. L’appuntamento, quindi, è come in passato maschera di un referendum sul presidente Hugo Chàvez e sull’operato del governo bolivariano. Una presenza forte dell’opposizione all’interno del Parlamento, infatti, impedirebbe l’approvazione delle riforme necessarie all’attuazione della ‘rivoluzione socialista’.
 In ballo, quindi, c’è il futuro stesso del movimento bolivariano e del ‘Socialismo del siglo XXI’.  

Da Chacao a Sarria
In un bar di Chacao, zona di classe media a Caracas, impegnati in un torneo di briscolone gridato e fumoso incontriamo i pensionati Gino Di Virgilio e Giancarlo Giunzone. Il primo, abruzzese, è in Venezuela da sessant'anni; il secondo ci è sbarcato nel '54 da Modena, insieme a quei 300 mila italiani accolti da Pérez Jiménez. La loro idea è chiara: se, come credono, alle elezioni legislative del 26S vincerà, anche se di poco, il Psuv, non sarà certo grazie al loro voto. "Chavez è il nuovo Stalin" afferma Di Virgilio, "vuole arrivare ad una situazione estrema: ogni in ogni casa ci sono due mitragliatrici ma manca l'acqua. E la gente ha paura a parlare perchè teme di essere vittima di rappresaglie". Gli fa eco Giunzone: "A me piace il socialismo ma quando è democratico, come in Brasile, non quando è leninista e dittatoriale come quello venezolano. Il comunismo non ha mai funzionato nella vecchia Russia, non vedo perchè dovrebbe farlo qui". E rimarca: "Sembra che Chavez provi un sentimento di vendetta verso questo popolo, perchè è l'unico che da lui non viene mai aiutato".
Se da Chacao ci si sposta nel 'barrio' di Sarria, le voci cambiano. Incontriamo Julieta Tronconi, figlia di un imprenditore della vecchia destra milanese oggi impegnata nel consiglio comunale della sua zona e nell'attivismo politico come 'jefa de patrulla'. Va di casa in casa a spiegare come votare, a discutere di tutte le conquiste che si potrebbero perdere se non si appoggia il governo. Lei è certa della vittoria del Psuv. Lo diceva anche a suo padre: "Per ogni capo d'azienda d'opposizione come te, c'è una schiera di operai che vuol vedere difesi i suoi diritti".
- Lo vedo ogni giorno intorno a me - ci dice -: la gente ci crede e s'impegna a promuovere la causa perchè è grata al processo in atto. Ha aperto gli occhi, vede i progressi fatti nel campo dell'educazione e della salute, nell'assistenza e nelle piccole grandi cose di ogni giorno, la libertà e il potere di cui oggi gode il popolo. Pensa ai suoi figli e ai suoi nipoti, sa che se il processo non continuerà si tornerà alla quarta Repubblica, alla dittatura che in tanti anni non ha compiuto un solo impegno a favore della sua gente.
Poi critica la campagna elettorale "sporca" fatta dall'opposizione.
- I vicini mi raccontano di un'opposizione che va nei 'barrios' ad offrire soldi per le protesi al seno in cambio dei voti - denuncia -. Il tutto senza presentare un vero progetto politico, a parte quello di mettere il bastone tra le ruote a Chavez. Inoltre, i suoi candidati si sono piu volte insultati pubblicamente. E ai venezolani l'odio non piace.
Siamo nella via principale che attraversa Sarria. Le case sono umili. Dietro di noi un Pdval dove trovare prodotti alimentari economici e un modulo Barrio Adentro per l'assistenza sanitaria di base gratuita. Julieta scherza parlando degli "antichavisti della classe media che fanno la spesa al Mercal ma coprono la borsina con una borsa di plastica nera perchè si vergognano". Poi ci mostra il campo da basket, ci spiega il lavoro fatto dalla comunità per allontanare i giovani dal vortice della droga e della delinquenza, per rendere il 'barrio' sicuro, per dare spazi di gioco ai più piccoli.
- Davanti al 'Comandante' vedo persone emozionate, donne che piangono commosse davanti agli occhi sinceri di una persona che davvero ama il suo popolo e gli ha dato quello che non aveva mai avuto. Ma Chavez non è ne perfetto ne onnipotente. A sistemare per bene tutto il Paese potrebbe pensarci solo Dio! Proprio per questo si responsabilizza il popolo per le conquiste e le sconfitte. Il popolo non puo limitarsi a criticare, deve organizzarsi ed agire in prima persona perchè le cose funzionino.
Anche l’attivista Ilaria Tameni, dalla sede di Radio comunitaria ‘Negro Primero’ a Sarria, è convinta dell’importanza di un ruolo attivo del popolo:
-Il processo - ci spiega - nonostante gli errori che compie in quanto processo umano, ha dato coscienza ai cittadini che la rivoluzione non la fanno i funzionari ma la popolazione stessa, i gruppi sociali, i collettivi. Nonostante gli errori, adelante! - ci dice - per appoggiare come mai prima di oggi il 'pueblo legislator'.


Cinque anni persi
"Io voterò l'opposizione perchè sono una convinta democratica e questo è diventato un Paese antidemocratico". Tina Di Battista, presidente dell'Associazione Abruzzesi e Molisani in Venezuela, non ha dubbi: "Non solo le persone con un'educazione, ma tutti, devono andare a votare, pensando a quello che c'era e a quello che è stato perso". Parla del problema dell'insicurezza, dell'escalation della violenza trasversale alle classi sociali, denuncia leggi "che vanno in senso contrario ai principi democratici con cui siamo cresciuti".
- Gli attacchi costanti alla proprietà privata portano alla dissolvimento della parte produttiva del Paese - afferma - e impediscono i progetti di vita, costringendo i nostri figli a cercare orizzonti nuovi al di fuori dei confini. 
Di Battista critica la scelta fatta dall'opposizione nel 2005, quando non si presentò alle elezioni nel tentativo di delegittimare i risultati del voto, e auspica la formazione di un'Assemblea legislativa equilibrata, centro di un effettivo confronto politico. Una vittoria schiacciante da parte da parte di uno degli schieramenti in gioco, secondo lei, brucerebbe la possibilità di un bilanciamento di forze necessario. 
- L'assemblea deve essere uniforme, plurale, con un equilibrio sufficiente perchè le leggi siano frutto di una serena discussione. L'astensione decisa nel 2005 è stata un grande errore di cui oggi paghiamo le conseguenze - decreta -. La presenza preponderante della maggioranza all'interno dell'An ha infatti eluso tutte le possibilità di dibattito portando all'approvazione di 120 leggi incostituzionali cui il popolo aveva detto 'no' con un referendum, in quanto implicavano un assoluto abuso di potere.
Cinque anni perduti, dunque. Ma non solo per l’opposizione. Lontana dalle posizioni di Di Battista, Tameni rimpiange che "in questi ultimi anni non siano state approvate leggi radicali necessarie (in favore dei diritti dei sessodiversi, per la legalizzazione dell'aborto) e non si sia toccato il codice penale che ha conservato al suo interno articoli anticostituzionali, e quindi nulli, che però sono lì, una minaccia costante contro le donne".


L'Asemblea nacional perfetta
"Non voterei mai l'opposizione perchè voglio che il processo rivoluzionario continui – ci spiega Martino Levi, informatico trentenne -. Spero in un Parlamento composto da una larga maggioranza, cosicchè non si blocchi l'operato del governo". Poi però precisa: "Al tempo stesso vorrei fosse garantita pluralità e che quindi l'opposizione rientri all'An di modo che, attraverso critiche costruttive sinora esili, spinga costantemente il governo ad agire nel migliore dei modi, agisca un'azione di controllo e pressing, smettendo di gridare allo scandalo denunciando una dittatura che non esiste".
Anche Carla Diaz Favuzzi, studentessa all'Università Centrale di Caracas, ha le idee chiare sulla sua idea di Parlamento. Giudicando come "immatura" la scelta dell'opposizione di farsi da parte nelle scorse elezioni, spera oggi in una "Assemblea che rappresenti in parti uguali entrambi gli schieramenti, perché tutti si sentano rappresentati al suo interno". Dichiara poi di voler votare per l'opposizione attirata dal piano di disarmo in quanto, spiega, "quello dell'insicurezza è uno dei temi che più mi preoccupano oggigiorno".


Mass media
"Ci sono 19 mila morti assasinati ogni anno, le aziende nazionalizzate sono in rosso, si sono persi migliaia di posti di lavoro, sono state chiuse 34 emittenti radiofoniche e una televisiva, sono stati regalati 61 miliardi di dollari". Pedro Paolucci, vice presidente dell'Associazione Nazionale Civile Latinoamericani in Abruzzo (Ancla) non sembra aver dubbi sul suo voto. Notizie e cifre, in Venezuela viaggiano, informano, disinformano, si contraddicono. E i media sono uno strumento politico decisivo. C'è chi parla di un “terrorismo mediatico” in un’ottica internazionale e chi invece denuncia una dittatura informativa imposta dal governo. Ed ogni idea riflette una posizione politica ben precisa.
- Purtoppo credo che l'opposizione prenderà piede perchè poggia su un sistema massmediatico potente e ha fatto una buona campagna elettorale sfruttando non solo le parole ma anche le immagini, invisibilizzando il fatto che la rivoluzione è un processo popolare - afferma Tameni -. Così oggi l'opposizione che ha guardato troppa televisione non si rende conto che vogliono svendere il paese agli Stati Uniti e salvaguardare gli interessi economici di pochi fortunati.
Anche i membri del Circolo Antonio Gramsci di Caracas sono certi della cattiva influenza dei media sui venezolani.
- La gente vota l’opposizione perchè è disinformata a causa delle distorsioni dei mass media - affermano -. Ha paura che gli si tolga la casa, che le scuole ‘cubanizzino’ i loro figli.
Poi precisano:
- Certo all'opposizione c'è anche gente in malafede. Sono i vecchi controllori dei monopoli bancari, alimentari. Sono i vecchi Mendoza, i proprietari delle tv che possiedono anche istituti bancari, che scappano a Miami. Quelli delle speculazioni di borsa, dello scandalo Coninvest. Gente che giocava sporco e che oggi non può più farlo impunemente. Dall'altra parte - spiegano - c'è chi non dimentica i benefici di cui gode ogni giorno: materiale scolastico e beni alimentari a prezzi accessibili, sanità gratuita. Tutti da questo governo hanno avuto qualcosa che durante la quarta Repubblica non avrebbero mai potuto avere"

Un'elezione sicura
Contattiamo Antonio Mobilia. La sua famiglia ha lasciato Napoli ed è arrivata in Venezuela quando lui aveva appena dieci mesi. E' convinto della vittoria del Psuv, spera addirittura in un 80 per cento dei seggi. "Vendo macchinari e per lavoro viaggio per tutto il Venezuela. Quando arrivo in un paesino assisto sempre alla stessa scena: un 'padrone' antichavista ed uno squadrone di lavoratori 'rossi'" ci spiega. Ma non si sorprende:
- Il socialismo è una strada giusta anche se piena di buche e spine. Molta della gente che non lo appoggia è arrivata qui con la terza elementare, ha fatto soldi ma è rimasta ignorante. Non sa interpretare Marx, non sa tutto quello che la sinistra ha fatto. Prende la pensione e non sa che questa è figlia delle grandi battaglie della sinistra. Per questo - dice - voterò per Chavez: perchè dice tutto quello che io ho sempre detto, in primis l’importanza vitale dell’educazione. Prima di lui il Venezuela, in questo campo, era peggio del terzo mondo...
Mobilia racconta di quando in passato, nei centri di votazione, assisteva a brogli di ogni tipo ed è certo della sicurezza del sistema di votazione cui questa domenica faranno affidamento 17 milioni e mezzo di venezolani. Anche tutti gli altri italiani contattati credono nella sicurezza dell'attuale sistema di voto che addirittura, scherza Levi, "è certamente più sicuro di quello degli italiani al'estero. Con lui Fabio Avolio, docente di lingua italiana, che confronta il voto a matita e lo spoglio manuale italiani con le "tecniche di voto moderne e sicure" adottate dal Venezuela, che permettono di avere il risultato già a poche ore dalla chiusura dei seggi.
Anche per quanto riguarda lo scenario post-elettorale, gli italovenezolani si sentono tranquilli e non temono particolari disordini. Ma qualche dubbio resta. Se Tameni teme “azioni violente, destabilizzanti e terroriste, come è già accaduto in passato” da parte dell’opposizione, Giunzone ci fa notare che “Chavez ha armato i civili, mentre i suoi avversari al massimo manifesteranno pacificamente in strada”.


Monica Vistali

mercoledì 22 settembre 2010

L'Italia è sempre più innamorata del 'Sistema'

di Monica Vistali

ROMA - Al 62° Prix Italia è stato proiettato in anteprima al Teatro Gobetti di Torino “A Slum Symphony, Allegro Crescendo” di Cristiano Barbarossa, musicato da Andrea Morricone, figlio del celebre Ennio. Il film documentario, che prima di Natale sarà sul piccolo schermo italiano, ha seguito per quattro anni le vite di cinque ragazzi coinvolti nel Sistema di Orchestre Infantili e Giovanili del Venezuela fondato da José Abreu.
Il “Sistema”, com’è comunemente chiamato in Venezuela, offre lo studio gratuito della musica a chi non potrebbe permetterselo. Sullo schermo è rappresentato da Fabio, un ragazzino che vive nella solitudine di un orfanotrofio; Angélica Olivos, violinista, 11 anni nel 2004, che dal ‘barrio Sarría’ di Caracas arriva a suonare in una tournée a Madrid con il grande maestro Dudamel, dopo aver commosso il noto direttore d’orchestra Claudio Abbado, durante un’audizione. Ma c’è anche Heidi, 14 anni che, costretta ad abbandonare la musica dopo un incidente d’auto, con tenacia torna a suonare la tuba; il ventenne trombettista Wilfrido, che realizza il suo sogno e suona alla Carnegie Hall. E ancora Jonathan Gabriel Guzmán Faría, che in una vita tra esercito e case occupate, non rinuncia mai al suo violoncello.
Il “Sistema” creato da Juan José Abreu, nipote di un emigrato italiano, ha portato alla creazione di 150 orchestre giovanili e 140 infantili, insegnando a suonare uno strumento a 250mila under 18. Tra i giovani musicisti sono emersi numerosi talenti internazionali, tra i quali il riconosciuto maestro Gustavo Dudamel. Spiega Abreu: - Il progetto nacque con una finalità prevalentemente sociale: attraverso la musica, togliere dalla strada e riscattare dalla povertà bambini e ragazzi. L’Italia è grande stimatrice del modello venezolano. Lo stesso Claudio Abbado aveva annunciato lo scorso marso di voler trapiantare in Italia il “Sistema” di Abreu, creando una rete di orchestre giovanili regionali. Il Maestro aveva dichiarato che “grazie ad amici ed appassionati stiamo creando gruppi orchestrali con lo stesso sistema didattico e sociale inventado da Abreu”. In quel momento si stavano creando orchestre giovanili a Roma, Bolzano, Milano e in Toscana; Bologna aveva anticipato il progetto quando nel 2004 creò l’Orchestra Mozart gestita da Abbado come Direttore artistico e Metheuz come principale direttore invitato.
Lo scorso ottobre, presenziando ad un concerto dei ragazzi di Dudamel alla ‘Scala’, la sindaco di Milano, Letizia Moratti aveva annunciato il proposito di creare nella sua città un sistema musicale sull’esempio di quello latinoamericano. Inoltre, invitata dalla bacchetta José Abreu, aveva espresso la volontà di recarsi in Venezuela per conoscere il Sistema di orchestre infantili e giovanili.

Espropri, dietro front per il Civ di Ciudad Ojeda

Falso allarme. Il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela ha emesso ieri un decreto per revocare l’esproprio del Centro Italiano Venezolano di Ciudad Ojeda, deciso su due piedi lo scorso martedì dallo stesso primo cittadino.
di Monica Vistali
 
CARACAS, 18/8/2010 – Falso allarme. Il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela ha emesso ieri un decreto per revocare l’esproprio del Centro Italiano Venezolano di Ciudad Ojeda, deciso su due piedi lo scorso martedì dallo stesso primo cittadino.
- La Comunità italiana unita, insieme agli sforzi dell’Ambasciata, del Consolato e della Federazione delle Associazioni italovenezolane ha fatto pressione ed ha vinto - ha spiegato alla Voce il vicepresidente di Faiv, Cono Siervo, reduce da una riunione con l’esponente comunale -. Il nostro Civ tornerà nelle mani dei suoi legittimi proprietari.
Il decreto di utilità pubblica ed interesse sociale del ‘Centro Italiano Venezolano’ di Ciudad Ojeda, il cui terreno appartiene ufficialmente a Pdvsa, era stato emanato dal Sindaco Pirela per impedire che “alcuni membri dei Consejos Comunales della zona” “assaltassero” il Club. Con l’espropriazione, il primo cittadino avrebbe di fatto impedito ai “chavisti” di trasformare il centro in “una delle loro sedi di governo che poi falliscono”. Il presidente del Civ aveva però spiegato alla Voce che l’espropriazione non sarebbe stata altro che la conseguenza di una ‘guerra’ tra chavisti e copeiani per il possesso del terreno e delle sue installazioni.

Diplomatici venezolani a Napoli contro la disinformazione dei media

di Monica Vistali
CARACAS - Alcune realtà associative napoletane si sono incontrate negli spazi del centro culturale “La Città del Sole” di Napoli con le rappresentanze diplomatiche venezolane in Italia. L’obiettivo era discutere nuove strategie di collaborazione tra i nostri due paesi e far conoscere il processo di trasformazione della realtà venezolana, promuovendo un’informazione alternativa a quella dei grandi media internazionali.
All’incontro, tenutosi il 10 settembre, era presente l’Ambasciatore venezolano in Italia Luis José Berroteran Acosta, il Console venezolano a Napoli Bernardo Borges, la Viceconsole Margnolia Hernandez e il deputato German Ferrer (Psuv), coordinatore nazionale dell’Associazione Nazionale di reti e Organizzazioni Sociali (Anros).
Due le proposte di relazione dibattute ed approvate nel corso dell’incontro. In primis la promozione di viaggi di scambio culturale tra delegati italiani e venezolani per una reciproca conoscenza e rilevamento della verità sul territorio. È stato accordato che un primo gruppo di delegati di solidarietà con il Venezuela a Napoli sarà ospite il prossimo novembre di campeggi socialisti organizzati da Anros-Venezuela nello stato Lara.
In secondo luogo, l’organizzazione di una campagna d’informazione alternativa sul territorio italiano. Sino ad oggi il compito di contro-informare sullo stato di cose in Venezuela è stato assolto principalmente dalla rivista l’Alba, nata con l’obiettivo di promuovere l’amicizia e la solidarietà tra i popoli. L’Ambasciata venezolana si è offerta come supporto per la creazione di una banca dati o di un centro di documentazione per la raccolta di materiale audiovisivo, digitale e stampato al fine di appoggiare la campagna d’informazione in Italia, avendo come punto di riferimento il centro culturale “La Città del Sole”. Inoltre, saranno tradotti in lingua italiana o sottotitolati i video che procurerà German Ferrer, per essere poi oggetto di cineforum presso La Città del Sole.
L’ambasciatore Berroterán Acosta ha espresso la sua soddisfazione per l’iniziativa di appoggio al suo paese, sottolineando gli attacchi antigovernativi dei mass media che si sono recentemente inaspriti in vista delle elezioni parlamentari del 26S. Dal canto suo, il Console Borges ha risaltato l’importanza di accordi tra reti sociali d’Italia e Venezuela, nella speranza che “l’esperienza possa servire da modello d’ispirazione per altri popoli che cercano la liberazione dal giogo capitalista”. I cittadini italiani presenti all’incontro hanno quindi potuto conoscere l’organizzazione Anros-Venezuela, nata nel 2001 come rete d’aiuto alla promozione della partecipazione dei cittadini, così come stabilito dalla Costituzione.
Tra i gruppi presenti all’incontro, esponenti della Redazione di AlbainFormazione e di Redporti America - Capitolo Cuba; Circolo Bolivariano “José Carlos Mariategui” di Napoli; Associazione “L’Internazionale”; Circolo Italia - Cuba - Campi Flegrei.

giovedì 19 agosto 2010

Una ‘Calle de diversion’

per riprendersi la città


CARACAS - Miscelate l’energia frizzante dei bambini alla memoria dei grandi, aggiungete dei ‘malandros’ che si riscoprono buoni e coprite il tutto con la fantasia di un sociologo italiano e di un architetto venezolano. Questo mix esplosivo è ‘Calle de diversion’, l’innovativo progetto di Pasquale Passannate e Raphael Marchano che a Roma ha vinto il concorso Smart Future Minds Award.

Alla base dell’idea dei due fondatori del gruppo Lpu, Liga de Partida Urbana, ci sono semplici campetti colorati per giocare a ‘trompo’, ‘beisbol de chapitas’, ‘pelotica de goma’. Un modo per appropiarsi dello spazio pubblico, per trasformare strutture ‘formali’ di cemento in vicoli vivibili attraverso i tradizionali giochi di strada, fulcro di una ‘città informale’ dove convogliare le energie di adulti e bambini.
Marchano e Passannate lavorano nell’ufficio internazionale Think Tank di Caracas, che si dedica al “lavoro interdisciplinare con le comunità nello spazio informale”, come raccontano alla Voce. Per le strade delle zone periferiche della capitale, osservavano le tracce di spazi temporanei di gioco: le impronte di un pallone, le casse di birra usate per una partita a domino. Si rendevano conto che proprio le aree più marginali ed umili erano quelle con gli spazi pubblici più frequentati. Bisognava solo far confluire i momenti puntuali e spontanei in una progettualità, trasformare un’urbanistica ‘imposta dall’alto’ in uno spazio vivibile, una ‘città informale’ costruita dagli abitanti stessi sulla base dei loro comportamenti sociali e delle loro esigenze.
- Abbiamo disegnato campi da gioco per le strade - spiega Passannate - per fomentare l’appropiazione dello spazio urbano e la socializzazione tra i membri delle comunità al di fuori dai parametri socialmente imposti. Non solo al di là della struttura fisica della strada, del cemento e degli edifici; ma anche al di là delle regole imposte dalla città. La nostra finalità è evitare l’alienazione frustrante di una vita confinata nel lavoro, promuovendo un’infanzia libera ed autodeterminata. E rivendicare l’identità del pedone non come persona che passa per la strada, ma come colui che per la strada ‘fa’ la sua vita.
Se in genere gli abitanti non sono parte della costruzione fisica dello spazio e dell’identità, parte vitale del progetto è ora la partecipazione attiva di una comunità che si autoorganizza, che interagisce con l’ambiente che l’ha cresciuta e la vedrà crescere. Nella ‘città del futuro’, sostenibilile e vivibile, Passannate e Marchano individuano quindi due elementi chiave: la costruzione dello spazio pubblico attraverso il disegno autogestito e la relazione con la memoria e l’immaginario del quartiere. Ecco quindi che in una ‘calle de diversion’ ritagliata nel ‘barrio’ si avvicendano genitori felici di tener lontano i propri figli dalla trappola della criminalità o da videogiochi violenti e fagocitanti, bambini entusiasti che indicano i luoghi migliori per disegnare, nonni che raccontano giochi antichi, addirittura ‘malandros’ che con automobili e motociclette sbarrano il traffico per permettere a Marchano e Passannate di disegnare a terra.
- Trascorsi alcuni mesi dal nostro intervento - spiegava il sociologo italiano in un’intervista durante il concorso - siamo tornati e abbiamo scoperto che i cittadini si erano autonomamente organizzati in campionati. ‘Calle de diversion’ era entrata a far parte della loro vita.
I primi cittadini a beneficiare del progetto di Lpa sono certamente i bambini.
- Quello che oggi accomuna tutte le città del mondo - spiega Marchano - è la riduzione dello spazio veramente pubblico. E sono i più piccoli a soffrire maggiormente. Noi stiamo regalando colore e divertimento alla strada con un progetto che tutti possono ricalcare: singole persone, collettivi, istituzioni.
Poi si viaggia nella memoria.
- Se penso alla mia infanzia ricordo che si giocava soprattutto fuori casa, per strada o al campetto. La lista dei giochi sarebbe interminabile. ‘Pelotica de goma’, ‘metra’, ‘pared’, oltre ai tipici basket e calcetto. Giocavamo con il ‘cuartico de jugo’.
E i bambini delle zone più agiate?
- L’unica differenza tra i giochi di un bambino proveniente da una zona ricca ed uno di una zona più umile è la marca del pallone e il contesto - afferma Marchano -. Per il resto il gioco è lo stesso. I bambini, a differenza degli adulti, non differenziano per classe sociale ma costruiscono un proprio linguaggio in base al gioco. Solo con il tempo si fanno contaminare da pregiudizi, preoccupazioni, traumi.
Rimarca Passannate:
- Il gioco, nella sua realtà più collettiva e sociale, ha creato l’umanità. L’umanità è nata giocando. Se pensi a una comunità che si dà delle regole, pensi immediatamente ad una comunità che gioca.
Con il primo premio allo Smart Future Award, Marchano e Passannate hanno vinto 10 mila euro, che invertiranno in ‘Calle de diversion’ e nei prossimi progetti di Lpu. Dai ‘barrios’ di Caracas si sposteranno in Europa, nel quartiere zingaro di Can Tunis a Barcellona, con l’idea di arrivare a Marsiglia e Berlino. Per quanto riguarda l’Italia, Passannate e Marchano hanno buttato l’occhio su Livorno, Napoli e Palermo, buoni esempi di progettazione dello spazio e simbolo di una vitalità che nasce dalla strada, che però oggi sono al fondo delle classifiche in temini di vivibilità. E lanciano un appello.
- Spingiamo tutti gli interessati a contattarci. Attualmente stiamo bussando a tutte le porte per far si che il progetto continui e si sviluppi sempre di più.

mercoledì 4 agosto 2010

Espropriazioni, tema che scotta e terrorizza gli italiani

di Monica Vistali

CARACAS - Secondo il primo rapporto dell’Osservatorio dei Diritti della proprietà privata del Venezuela, coordinato dal ricercatore Felipe Benites, il governo Chávez ha effettuato 762 espropriazioni nel periodo 2005-2009: 23 nel 2005, 42 nel 2006, 127 nel 2007, 196 nel 2008 3 374 nel 2009. Espropri e nazionalizzazioni sono legali anche in Italia. Nell’ordinamento italiano l’espropriazione è regolata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n° 327, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”. Sulla base della normativa sono espropriabili tutti i beni immobili e i diritti relativi a tali beni, al fine di eseguire opere pubbliche o di pubblica utilità.



La guerra delle espropriazioni

“La nostra preoccupazione è che non ci pagheranno il giusto prezzo per le nostre ditte” denunciava mesi fa Vito Tridente Sgherza alla stampa locale del suo paese di origine, Molfetta (Bari), dipingendo la sua condizione di espropriato. Il mondo politico italiano era con lui. Il 26 maggio scorso, infatti, alcuni parlamentari del PD, tra cui la Senatrice Anna Finocchiaro, hanno firmato una interpellanza urgente di solidarietà con gli imprenditori d’origine italiana vittime degli espropri in Venezuela. Claudio Micheloni, primo firmatario della mozione, denunciava l’esproprio di 76 imprese che lavoravano nel settore degli idrocarburi, “molte delle quali di proprietà di italo-venezolani”.
Poco distante arrivò a “Italians”, il blog del “Corriere della Sera” gestito da Beppe Severgnini, la lettera di Giancarlo Volante (“Venezuela. Proprio oggi sono venuti a confiscarci degli autotreni”) in cui si denunciava un esproprio accaduto “senza avere la possibilità di difenderci attraverso le autorità competenti”. Alla lettera - e indirettamente alle altre 14 società proprietà di cittadini italo-venezolani - rispondeva prontamente il nostro Ambasciatore Luigi Maccotta. Il diplomatico illustrava le iniziative attivate dal governo italiano per sensibilizzare le autorità locali (Ministero dell’Energia, Azienda Petrolifera di Stato, Ministero degli Esteri, Gruppo Parlamentare di Amicizia italo-venezolano) e spiegava come fossero stati fatti presenti il danno e il disagio che si venivano a creare in seno alla collettività. Rimarcava, comunque, che una legge di nazionalizzazione rientra nell’autonoma sfera di sovranità dello Stato.
Anche il Console Davoli crede che non si possa “contestare una azione dello stato sovrano se fatta nel rispetto della legge” e, come l’Ambasciatore Maccotta, sottolinea che l’unico atto possibile da parte delle Istituzioni italiane è quello di fare pressione affinchè venga rispettata quella parte della normativa che prevede indennizzi equi, tempestivi ed effettivi.
- Le istituzioni italiane - asserisce il Console - sono impegnate su questo fronte con la stessa forza e con la stessa efficacia degli altri paesi europei. Il loro intervento diplomato è risultato essere in molti casi prezioso.


Interrogazioni

Dopo la senatrice Poli Bortone (Pdl), anche l’on. Marco Zacchera, presidente del Comitato italiani all’estero della Camera, ha presentato un’interrogazione al Ministro Frattini sul tema delle misure adottate dal governo italiano come risposta alle espropriazioni e alle nazionalizzazioni attuate in Venezuela. Zacchera sosteneva che la “crisi venezuelana” avesse ormai assunto “caratteristiche di estrema gravità” che “impongono interventi determinati e senza indugio a tutela della democrazia”.
Durante i lavori della II Commissione Mista italo venezolana dello scorso maggio, cui hanno partecipato il presidente Chávez, il ministro degli Esteri Franco Frattini ed il suo omologo Nicolas Maduro, quello delle ‘espropriazioni’ è stato uno dei temi ‘caldi’. Il ministro ha spiegato alla collettività italiana l’azione di sensibilizzazione svolta dalla Delegazione nei confronti delle autorità venezolane, soprattutto grazie ad un incontro avvenuto tra l’Instituto Nacional de Tierras ed i rappresentanti delle famiglie italiane vittime di espropri ed invasioni. Tutto per garantire indennizzi effettivi, equi e tempestivi.
Secondo un recente sondaggio della ‘Voce’, la metà degli italiani intervistati presso il Centro Italiano venezolano di Caracas teme di essere espropriata addirittura della propia casa. Questo non è mai accaduto. Si è però proceduto ad espropri previsti dalla “Legge Organica che riserva allo Stato i Beni e i Servizi Connessi alle Attività Primarie degli Idrocarburi” ed a quelli di utilità pubblica.

Sindaco copeiano espropria un Centro Italo dello Zulia per non lasciarlo ai chavisti

di Monica Vistali

CARACAS – È stato annunciato il decreto di utilità pubblica ed interesse sociale del ‘Centro Italiano Venezolano’ di Ciudad Ojeda che, in poche parole, è stato espropriato. Ma questa volta a compiere il “crimine”, come tanti lo definiscono, non sono state le fila rosse del Governo né Pdvsa, ufficiale proprietaria del terreno che avrebbe potuto rivendicarlo, ma il Sindaco copeiano di Lagunillas, Edwin Pirela.
Secondo il primo cittadino, raggiunto telefonicamente dalla ‘Voce’, “alcuni membri dei Consejos Comunales della zona” avrebbero avuto intenzione di “assaltare il Club”. Con l’espropriazione, pensata il lunedì e messa in atto il martedì, avrebbe di fatto impedito ai “chavisti” di trasformare il centro in “una delle loro sedi di governo che poi falliscono”.
- Quelli della Giunta direttiva (del Civ, ndr) sono tutti amici miei! Decretando l’espropriazione ho salvato il Centro Italiano - ha spiegato il Sindaco.
Il primo cittadino ha assicurato che il club si trova in totale stato di abbandono (cucina inutilizzabile, aria condizionata ed impianto elettrico malfunzionanti, infiltrazioni di pioggia nelle sale) e che con questa espropriazione verrà recuperato a totale beneficio della comunità, invece che diventare “sede di uffici chavisti”. Inoltre, ha voluto sottolineare che solo otto dei 148 soci erano al giorno con il pagamento della propria quota.
- La misura si riferisce ad un terreno di circa 23 mila metri quadrati - ha detto il Sindaco durante una conferenza stampa -. Lo utilizzeremo per gli abitanti di Lagunillas, come complesso sportivo comunale che ospiterà anche attività culturali e sociali.
La parole del Primo cittadino di Lagunillas non trovano però riscontro nelle affermazioni del presidente del Civ di Ciudad Ojeda, secondo il quale l’espropriazione del Centro non sarebbe altro che conseguenza di una ‘guerra’ tra chavisti e copeiani per il possesso del terreno, ubicato nella ‘urbanización’ Tamare.
- Con le invasioni le baracche del ‘barrio’ a ridosso della recinzione - spiega Oscar Framiglio - stavano avanzando sempre di più, era aumentata la criminalità. Dall’altra parte c’era il Comune, che voleva per sè le istallazioni. Così si è inventato l’assalto dei chavisti e che tutto era a pezzi, in stato di degrado, quando in realtà la situazione non è così grave.
Secondo il presidente, i problemi che affliggono gli spazi del Civ sono “dettagli minimi”, comunque risolvibili: qualche bagno che non funziona, qualche sala senza aria condizionata. Che comunque non hanno mai impedito ai connazionali di frequentare le istallazioni.
Per i bilanci il discorso cambia. La quota mensuale del Centro di Ciudad Ojeda è BsF 25. Però solo per la piscina, venivano spesi BsF 4,000 e per sopravvivere il Club avrebbe bisogno di circa BsF 12,000 ogni mese. Fino all’anno scorso i soci attivi con i pagamenti erano 250, mentre ora sono meno di una quarantina.
- Pensavamo di aumentare la quota per affrontare alcune spese di mantenimento e manutenzione ma i soci hanno smesso di pagare. Possiedono azioni di imprese espropiate della zona e la loro situazione economica è incerta.
Secondo quanto ha però spiegato alla ‘Voce’ il presidente di Federazione delle Associazioni italovenezolane, Mariano Palazzo, il Civ di Ciudad Ojeda “presentava da tre - quattro anni grandi difficoltà economiche”, “aveva debiti con Faiv” e non proprio tutti i 170 soci pagavano le quote. Inoltre i membri del Club “non presenziavano alle riunioni”, il Centro non aveva partecipato ai Giochi di Maracaibo, non si era iscritto per quelli di Merida e la struttura, in special modo la piscina, era “in disuso”. Insomma un Centro in agonia, come ce ne sono altri, anche se Palazzo ricorda che c’era stato un “gruppo che aveva tentato di riattivarlo”.
Ieri c’è stato un primo incontro tra il Sindaco Pirela e alcuni rappresentanti della collettività italiana – tra cui anche il console reggente di Maracaibo - rimasto però infruttuoso. Dalla bocche di una cinquantina di persone sono nate proposte diverse - regalare al Comune azioni morose del Civ per poi investire insieme nella rimordenizzazione delle strutture; lasciare al Sindaco il possesso del terreno ed in cambio restare con il controllo dell’immobile - ma non si è arrivati ad un accordo finale.
L’unica voce fuori dal coro, piena di speranza, è qualla del vicepresidente di Faiv e presidente del Comites di Maracaibo, Cono Siervo. Secondo lui la riunione è stata “positiva” ed il Sindaco “potrebbe cambiare idea riguardo all’espropriazione”. “L’Ambasciatore Luigi Maccotta ha mostrato disponibilità e potrà avere un ruolo importante nelle trattative”, insieme alla comunità italiana che è “unita nella lotta contro un’azione che non possiamo permettere”.
Domani i soci del Centro Italiano si incontreranno per pianificare un’offerta ed una strategia comuni da presentare lunedì, in un gruppo di sole 4 o 5 persone, al Sindaco Pirela.
Secondo quanto riportato dal quotidiano ‘Panorama’ di Maracaibo, per compiere con il decreto, il 2010-043, il procuratore è stato autorizzato a realizzare in tempi brevi l’iter legale necessario. Inoltre, il Comune avrebbe consegnato alla comunità un lotto di terreno confinante con il Civ da destinare alla costruzione di abitazioni.

lunedì 2 agosto 2010

Il leghista Castelli: infrastrutture italiane in Venezuela grazie all'amicizia tra Chávez e Berlusconi

CORTINA – Parla di colonizzazione, allude alla dittatura quando parla del Venezuela e di rapporti tra ‘grandi capi’ quando tratta di economia. È il vice ministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli, parlando dell’export italiano durante una tavola rotonda organizzata nell’ambito di “Cortina Incontra”.
- Le aziende italiane lavorano in Venezuela grazie al rapporto personale che c’è tra Berlusconi e il presidente Ugo Chavez. Chavez ci fa fare le cose - ha detto - perché siamo bravissimi e c’è una storia delle imprese italiane in Venezuela, ma anche grazie ‘al mio amigo Berlusconi’, ‘salutami Berlusconi’ e ‘viva Berlusconi’. Le grandi opere infrastrutturali - ha poi aggiunto - vengono fatte quasi sempre in Paesi dove non c’è grande democrazia e mercato: decide l’autorità politica, che spesso è dittatoriale, per cui il rapporto personale tra il grande capo di quel paese e il grande capo del nostro paese è fondamentale.
Il vice ministro ricorda poi le cifre italiane:
- Conosciamo Ferrari e Valentino ma quello che hanno fatto i nostri costruttori nel mondo è di più: dal 2004 al 2008 è stato raddoppiato il fatturato di queste aziende nel mondo. Tre miliardi di euro nel 2004, sei miliardi e mezzo nel 2008’. Le aziende italiane - prosegue - vincono il campionato mondiale delle infrastrutture, hanno saputo colonizzare il mondo e questo mi rende orgoglioso da italiano. Ma c’è bisogno di supportare queste aziende con un programma di infrastrutture e con l’appoggio politico all’estero.
Per quanto riguarda il Ponte sullo Stretto, ‘’fare un’opera unica al mondo - ha detto Castelli - sarebbe un bel biglietto da visita per le nostre imprese. Io lo farei anche solo per questo ritorno d’immagine’’.

Siciliani, dalla Regione 20 polizze Rescarven

di Monica Vistali

CARACAS – Per rimediare ai danni che le forbici sempre più affilate della Finanziaria stanno regalando agli italiani dentro e fuori dai confini, l’associazionismo cerca intese con le Regioni e lavora per far arrivare oltreoceano il denaro necessario ad alleviare lo spettro della povertà. Su questo binario non solo gli abruzzesi del Venezuela, cui a breve arriveranno 80 mila euro, ma anche i siciliani, che quest’estate hanno ottenuto per la prima volta un fondo per 20 polizze sanitarie Rescarven da donare ai corregionali in forte difficoltà economica. Undici di queste assicurazioni sono già state consegnate durante una cerimonia svoltasi negli spazi del Centro Italiano Venezolano lo scorso 10 luglio - alla presenza del Console generale d’Italia Giovanni Davoli, il presidente del Comites Michele Buscemi, il presidente della Casa Sicilia Paolo Cozzo e il presidente dell’Associazione liminese Giuseppe Noto - altre sono in viaggio e arriveranno a breve.
È stato il presidente dell’Associazione Siciliani nel mondo di Caracas, l’editore Eligio Restifo, ad illustrare durante il suo intervento al Civ il percorso che ha portato alla concessione del fondo.
- La nostra lotta è iniziata quando ancora i nostri immigranti in Venezuela erano considerati dal governo italiano i ‘fratelli ricchi dell’America del Sud’ - spiega Restifo -. È stato un duro lavoro convincere l’Italia che la realtà del Paese era cambiata e che esistevano gruppi di persone con estreme necessità.
Restifo ha poi ricordato ai presenti l’incontro con il deputato regionale Carmelo Lo Monte il quale, ascoltate le esigenze dei suoi corregionali all’estero, creò l’Associazione Siciliani nel Mondo, integrata da più di 60 Comuni dell’isola che, sommando i loro sforzi, riuscirono a raccogliere velocemente il denaro necessario per le polizze sanitarie, triennali, e l’acquisto di farmaci per indigenti.
Ad aiutare l’Associazione nella scelta dei primi 11 beneficiari della polizze la sig.ra Miriam Guevara, di Rescarven, il cui sforzo si è unito a quello del Consolato generale d’Italia. Anche se i membri dell’Associazione sono tutti abitanti della capitale, gli 11 beneficiari Rescarven sono di Caracas, Valencia e Barinas, selezionati dalle siciliane Elisabetta Autieri e Josefina Di Salvio tra centinaia di candidati sparsi per il Paese.
Già in passato, il gruppo di siciliani aveva presentato alla sede consolare di Caracas i nominativi di 16 corregionali in difficoltà che oggi, per l’acquisto dei propri farmaci, si possono rivolgere alla rete Pharmatención, di proprietà del dott. De Lucca, un medico siciliano che offre loro prezzi solidali.

domenica 1 agosto 2010

Franco de Vita, l'orgoglio della stella della Solidarietà italiana

Il noto cantautore italo venezolano, decorato commendatore della Repubblica italiana durante una cerimonia al Centro Italiano Venezolano, ci spiega cosa significa essere un emigrante

di Monica Vistali

CARACAS - Scarpe classiche color oro ai piedi del celebre cantante Franco De Vita, che giovedì è stato decorato della Stella della solidarietà italiana dal Consigliere politico dell’Ambasciata d’Italia, Alberto Pieri. Alla cerimonia, svoltasi negli spazi del Centro Italiano Venezolano di Caracas, hanno partecipato numerosi esponenti della collettività, rivelatosi fans dell’artista in feroce caccia di fotografie ed autografi.
Il Consigliere Pieri, intervenendo dopo i saluti del Presidente del Civ, Mario Chiavaroli, ha sottolineato il valore della Stella donata al neo-commendatore De Vita, la più importante in termini di prestigio e prima nella storia, che nel dopoguerra italiano decorava coloro che si erano distinti per i loro contributi alla ricostruzione ed oggi premia gli ambasciatori dell’italianità nel contesto internazionale, gli sforzi ed i successi di chi dona lustro al Paese d’origine.
- Franco de Vita - ha sottolineato Pieri - è un esponente di primo grado di un’Italia prodiga di genio e risorse. Conta più di 25 milioni di dischi venduti e 1500 concerti in ben 50 Paesi nel mondo. Si dice che il nostro è un ‘popolo di poeti, santi e naviganti’ - ha concluso il diplomatico - oggi vorrei aggiungere a questi anche i cantanti e i musicisti.
Un artista diviso tra Italia, Venezuela e Spagna, dove oggi vive. Un figlio di migranti che ha trascorso l’infanzia nella Penisola - dove ha vissuto dai 3 ai 13 anni - per poi vivere da emigrante ritornando in quella Venezuela che gli ha dato i natali. Un’adolescenza in quella ‘terra di nessuno’ che sono i banchi delle scuole italiane all’estero, come la A. Codazzi di Caracas, dove ha studiato.
- Quando sono tornato in America latina ho dovuto imparare lo spagnolo, non avevo amici. Ero forestiero nella mia terra. Lo stesso vale per quando torno in Italia: i luoghi e le persone non sono più le stesse. Una volta che lasci il tuo Paese - decreta De Vita - sarai straniero per sempre.
Tutto cambia, certo.
- Ricordo un’Italia ‘di paese’, i giochi giù in strada, il calcetto con gli amici. Una terra viva. Oggi - si rammarica il cantante, originario di Pellare, a Salerno - tutto è più moderno ma più spento, più stanco.
E il Venezuela?
- Non è un fatto politico - spiega De Vita - ma anni fa la gente viveva meglio. Sento che questa terra paradisiaca si sta deteriorando. Criminalità, insicurezza... e in Italia purtoppo è lo stesso.
Qualcosa di buono, però, è nato: una coscienza stimolata anche da alcuni suoi brani, tra i quali spicca ‘Extranjero’.
- Anni fa essere italiani, e migranti, era una vergogna. I genitori cercavano di nascondere l’italianità dei propri figli perchè non venissero discriminati, non gli insegnavano la lingua della loro terra. Oggi invece la gente è orgogliosa di essere italiana e le seconde, terze generazioni portano con fierezza all’estero la bandiera italiana.
Il cantante, che ha segnato con le sue note il panorama musicale di tutta l’America latina con più di quindici album e canzoni composte per il collega Ricky Martin, tra gli altri, ha ringraziato calorosamente per il riconoscimento ricevuto ma, dopo pochi contatti con il pubblico e il tempo dedicato alla stampa, come una vera star ha lasciato presto il Civ abbandonando i suoi fans al ricco buffet.