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domenica 11 marzo 2012

Film "Reverón" a Roma - Intervista al protagonista Luigi Sciamanna



CARACAS - L'Ambasciata del Venezuela in Italia ha organizzato per il prossimo 29 marzo la proiezione del film "Reverón" di Diego Risquez, un omaggio al grande artista venezuelano interpretato dall'attore di origini abruzzesi Luigi Sciamanna, accompagnato sul set da altri due italovenezuelani: Diana Volpe (nel ruolo di Doña Lola) e Antonio Delli (come Alfredo Boulton). Lingua originale e sottotitoli in italiano. L'appuntamento è a Roma, nella sala Deluxe della Casa del Cinema  in Largo M.Mastroianni, 1. Entrata libera.

Di seguito l'intervista a Luigi Sciamanna, "L'essere Reverón di un attore calvo", rilasciatami in occasione dell'uscita del film nelle sale venezuelane. Versione in spagnolo:
http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article18741&lang=es

Luigi Sciamanna

Armando Reverón



CARACAS – Parlare di Armando Reverón è parlare della ‘luce’ che si riflette nel mar dei Caraibi e filtra dagli alberi della Cordillera de la Costa, illuminando le tele che il pittore dipinge tra le rocce, piedi in acqua e sole negli occhi. Ma quando Reverón lo devi interpretare devi penetrare nelle zone d’ombra, in quel labirinto di pazzia, vitalità e dolore che è stata la vita del più grande pittore del ‘900 venezuelano.
Così ha fatto Luigi Sciamanna, protagonista di origine abruzzese del film “Reverón” di Diego Rísquez, un omaggio al ‘loco de Macuto’ che viveva libero in una capanna sulla montagna e morì rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Sul set anche altri due italo-venezuelani: Diana Volpe (Doña Lola) e Antonio Delli (Alfredo Boulton).
Le aspettative, in un momento in cui il pubblico venezuelano sta nuovamente volgendo lo sguardo al suo cinema, erano molte. Inoltre “Reverón” era un film che il regista covava dagli anni ‘70 e c’era la curiosità di vedere come se la sarebbe cavata Sciamanna con un personaggio schizofrenico che si spoglia, si masturba e si arrampica sugli alberi. Difficile da affrontare per un attore calvo che da vent’anni non riusciva a farsi assegnare una parte da protagonista.

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L'artista Armando Reveron
Perché la calvizia è una tragedia per un attore - scherza Sciamanna - sei costretto a fare il bibliotecario o il sacerdote. Ma con “Reverón” è arrivata la grande occasione, l’esperienza più intensa della mia carriera. Per un anno intero ho studiato tutto quello che potevo. Ma al primo ciak ho dovuto dimenticare la parte razionale per vivere il personaggio e dargli tutto: la mia anima, la mia pelle, le mie budella, la mia psiche”. Un lasciarsi andare “intenso e doloroso”.
Reverón aveva una personalità spiritualmente, psicologicamente, religiosamente e sessualmente complessa. Poi arriva il momento in cui devi interpretare scene in cui sei vecchio, ammalato, mentalmente turbato... lavori col dolore e devi capire il dolore”.

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Reveron e la sua amata Juanita
Sciamanna, oltre a dar voce al brano “Niña dulce”, ha collaborato al film come co-sceneggiatore ristrutturando i personaggi di Reveron e Juanita (la compagna dell’artista sulla cui vita progetta di scrivere un testo teatrale o cinematografico) ed inserendo quelli di Doña Lola e Oscar Yánes.

“Volevo che si capisse la vera scommessa di Reverón: togliere dalla vita tutti gli ‘avanzi’ per arrivare all’essenza. Senza perdersi o sacrificare nulla, solo dicendo ‘io voglio vivere così’: con questa donna, dinanzi a questo mare e dipingere, dipingere, dipingere. Era pazzo, ma c’era tanta luce in quella pazzia”.

Reverón ha vissuto per anni nel ’Castillete’: capanna sugli scogli spazzata via durante la ‘tragedia di Vargas’. Una casa-taller costruita con l’aiuto dei vicini perché “non è vero che Reverón non ne voleva sapere della gente: lui non ne voleva saperne della città”.
Un nido riempito da bambole “perverse, intimidatorie”, pianole che non suonano, telefoni che non squillano. Oggetti che costruisce con il legno perché “a lui non servono e allora tiene come oggetti scenici”.
Reverón era capito dagli altri artisti, non dalla società. Per tutti era un pazzo che viveva con una donna che non era sua moglie e dipingeva incomprensibili quadri bianchi (è il ‘periodo bianco’ del pittore che Rísquez traduce con un magnifico uso della luce, ndr). Passando davanti alla sua porta si facevano il segno della croce. Era una Venezuela rurale, ma le società rispetto agli artisti sono sempre rurali”.
‘El castillete’ è il ventre da cui Reverón è stato strappato. Stava male e due amici pittori lo convinsero a passare un po’ di tempo al ‘Sanatorio’ in città. Era l’epoca degli elettroshock e, al secondo ricovero, l’artista morì.
Nel film questo passaggio è particolarmente forte, metafora necessaria per mostrare la violenza subita dal pittore, rapato e vestito per vivere in un posto orribile: un manicomio negli anni ’50. Basta guardare le sue foto dell’epoca: non lo si riconosce, c’è una totale perdita dell’identità”.
A riprese concluse, Sciamanna ha provato sulla sua pelle l’esperienza vissuta da Reverón.
Abbiamo girato la scena in cui mi tolgono la barba e la mattina dopo ero a casa, solo. Ero confuso, non sapevo cosa fare, mi toccavo e non avevo la barba che tanto amavo, mi chiedevo ‘perché non ho la mia barba?’ Da un anno vivevo quella vita, quel personaggio... Dovevo iniziare le prove in teatro per una pièce su Heiddeger ma non riuscivo, non avevo la forza, l’anima, non avevo più niente. Sono restato a letto per un mese. Come poteva non morire Reverón?


Immagini tratte dal film:

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